L’Aquila è atterrata”: il 20 luglio 1969 le parole del comandante Neil Armstrongarrivarono nitide al centro di controllo della Nasa a Houston e da lì rimbalzarono sulle tv e le radio di tutto il mondo, in un entusiasmo che molto probabilmente non è stato ancora eguagliato da nessun’altra impresa umana. Quelle immagini in bianco e nero annunciavano un futuro luminoso e quasi fantascientifico, nel quale i collegamenti fra la Terra e la Luna sarebbero stati la regola, ma è accaduto solo per pochissimi anni ancora, poco più di tre, e altre sei missioni in tutto.
L’11 dicembre 1972 il comandante della missione Apollo 17, Eugene Cernan, è stato l’ultimo uomo a lasciare la sua impronta sul suolo lunare. Da allora c’è stato un lunghissimo silenzio rotto soltanto adesso, in uno scenario completamente diverso.
Lo sbarco sulla Luna era stato il risultato di una corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica scatenata il 4 ottobre 1957 dal ‘bip’ del primo satellite artificiale, il sovietico Sputnik; da allora le due superpotenze avevano inseguito un record dopo l’altro senza risparmio di colpi e con un netto vantaggio iniziale dell’Urss, soprattutto quando il 3 novembre 1957 lo Sputnik 2 aveva portato nello spazio il primo essere vivente, la cagnetta Laika, e il 12 aprile 1961 era arrivato in orbita il primo uomo, Yuri Gagarin.
Poco più di un mese dopo quell’evento storico, John Kennedy annunciava al Congresso l’inizio del Programma Apollo. Oggi la situazione è molto diversa: Stati Uniti e Russia sono partner nella costruzione e nella gestione della più grande struttura mai costruita fra le stelle, la Stazione Spaziale Internazionale, e collaborano a questa impresa insieme alle agenzie spaziali di Europa, Canada e Giappone; chiusa l’epoca dello Space Shuttle, che nei trent’anni compresi fra il 1981 e il 2011 aveva assicurato i voli degli astronauti americani ed europei, la Russia è attualmente l’unico Paese in grado di portare uomini in orbita con il suo lanciatore Soyuz.
La diplomazia spaziale è subentrata alla competizione, tanto che, anche dopo la dichiarazione di voler portare di nuovo l’uomo sulla Luna nel 2024 con il programma Artemis, gli Stati Uniti non vogliono farlo da soli. Hanno già annunciato, ad esempio, di voler unire le loro forze a quelle del Giappone. La sfida si sposta piuttosto altrove, fra i nuovi protagonisti che nel frattempo si sono affacciati allo spazio.
La Cina, ad esempio, sta costruendo una sua stazione spaziale e mostra un grande interesse per la Luna, della quale dal 3 gennaio 2019 sta esplorando il lato nascosto con la sonda Chang’e 4; sono interessati alla Luna anche l’India e Israele. La novità più grande sono però i privati, scesi in campo dopo la cancellazione del programma Constellation da parte dell’amministrazione Obama. Quella decisione ha portato la Nasa a stringere accordi con aziende private, come la SpaceX di Elon Musk, la Sierra Nevada e ancora Boeing, Lockheed Martin, Orbital-ATK e la Blue Origin di Jeff Bezos, che ha recentemente presentato il lander lunare ‘Blue Moon’.
Un’altra grande differenza rispetto a mezzo secolo fa è che questa volta si torna sulla Luna per restarvi e già, nei laboratori della Nasa come in quelli dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), si studiano tecnologie capaci di difendere l’uomo dai pericoli delle radiazioni e per costruire gli alloggi che li ospiteranno, molto probabilmente stampati in 3D utilizzando come ‘inchiostro’ il suolo lunare.