giovedì, 28 Novembre 2024

A DOWNING STREET LIZ TRUSS. Ritratto di signora

Paola Peduzzi [ IL FOGLIO ]

È la terza premier donna del Regno, di destra come le altre. Così si è costruita la sua leadership: un’ambizione sfrontata, un silenzio familiare molto utile, uno storico di riferimento e un candore allegro che non va sottovalutato

Per i parlamentari conservatori inglesi, Liz Truss è sempre stata una barzelletta: imbarazzante ogni volta che prende la parola, bizzarra, strana, “un robot senza una rotella”. Quando è stato il loro turno per scegliere il successore di Boris Johnson alla guida del Regno Unito, hanno cercato di farla fuori in ogni modo, senza riuscirci: è arrivata al ballottaggio con l’ex cancelliere Rishi Sunak. Quando a scegliere è stata la base del Partito conservatore – poco meno di duecentomila persone cui il sistema britannico concede, in caso di sfiducia al governo, lo straordinario potere di rappresentare tutto l’elettorato – Liz Truss non ha più avuto problemi: ora è il nuovo primo ministro inglese, le manca il mandato della regina Elisabetta dalla quale arriverà martedì e poi con il primo, tradizionale discorso fuori dalla sede del premier al 10 di Downing Street, si comincia. 

Quarantasette anni, sposata, due figlie adolescenti, attuale ministro degli Esteri, Liz Truss è la terza donna ad andare al potere negli ultimi quarant’anni – Margaret Thatcher e Theresa May prima di lei, tutte donne di destra. Data questa consuetudine con la leadership femminile – il fatto di avere da settant’anni una regina deve aver contribuito – s’è saltata la fase del dibattito relativa a votare-una-donna-in-quanto-donna o più direttamente: la retorica del soffitto di cristallo schiantato vale anche per una donna di destra? Il Regno è tre passi avanti, ma in ogni caso, uno dei momenti più significativi della storia della Truss, quello in cui i suoi stessi detrattori hanno detto: questa è una nuova Thatcher, riguarda proprio il fatto di essere una donna, nella fattispecie: una donna che ha fatto le corna al marito. 

Era il 2009, e sembrava che finalmente la Truss potesse diventare parlamentare: ci aveva provato già due volte e aveva perso. L’allora leader dei Tory David Cameron, per quella tornata elettorale, l’aveva finalmente candidata a South West Norfolk, un seggio in cui la maggioranza conservatrice era solida, quindi la vittoria era certa. Pareva una campagna elettorale in discesa quando si tornò a discutere del fatto che la Truss aveva avuto per un anno e mezzo una relazione extraconiugale con Mark Field, parlamentare conservatore. Il fatto era noto, ne avevano scritto i tabloid: i due si erano conosciuti nel 2000, quando la Truss aveva 25 anni e si era appena sposata con Hugh O’Leary, e Field, di undici anni più anziano e anche lui sposato, stava cominciando la sua carriera politica a Londra. La loro relazione era cominciata nel 2004 ed era durata un anno e mezzo: nel 2006 ne scrisse il Daily Mail. I conservatori di South West Norfolk sostenevano però di essere stati messi al corrente di questo affaire soltanto dopo che la Truss era stata scelta come candidata: la corrente tradizionalista locale dei Tory, soprannominata “Turnip Taliban” (i talebani della rapa, il prodotto agricolo tipico della zona), si offese, pensò che si trattasse di un affronto da parte di Cameron deciso a rendere i conservatori più moderati contro la base del partito, e provò a scalzare la Truss. 

Lei fu convocata per un incontro urgente in cui avrebbe dovuto spiegarsi e confrontarsi con i conservatori locali, e alla fine ci sarebbe stato un voto. I Turnip Taliban erano decisi a eliminarla e a costringere Cameron a scegliere un altro candidato per il loro seggio. Roy Brame, orgoglioso rappresentate dei talebani della rapa, disse allora e dice ancora oggi: “La gente dice che la Truss non è brava a parlare di sé. Ma in quell’incontro, dove duecento persone le chiesero dettagli intimi e personali, fu davvero molto brava”. Vinse quel particolare voto di fiducia preventiva 132 a 37, e ai giornalisti Brame disse la frase che la stessa Truss ha poi cercato di tenersi appiccicata addosso: “Abbiamo appena visto la nuova Thatcher”. 

Alle elezioni del 2019, in un incontro simile a quello di dieci anni prima ma senza il processo, Truss disse: “Sono felicemente sposata”. Il matrimonio di Field era finito nel 2006, sua moglie lo aveva lasciato; quello della Truss era sopravvissuto, erano nate Frances e Liberty (che oggi la aiutano nella comunicazione social ma alle quali per lungo tempo la madre ha negato l’utilizzo dello smartphone confiscandoglielo e mettendolo in una scatola: “In casa mi chiamano la carceriera dei telefoni, ma penso che l’unico modo per ridurne l’utilizzo sia levarli di torno fisicamente”), che oggi hanno 16 e 13 anni. Hugh O’Leary, prossimo first husband del Regno, interpellato sul tradimento e ancor più sul perdono concesso alla moglie, ha soltanto detto: “Non voglio parlarne”, e questo forse è il segreto della loro sopravvivenza coniugale. Il silenzio scacciapettegolezzi è una caratteristica che accomuna gli uomini della Truss: anche suo padre, John Truss, professore emerito di Matematica pura alla Università di Leeds, laburista dalle idee molto distanti da quelle della figlia, ha risposto a tutti i giornalisti che l’hanno cercato: lasciatemi in pace. Che è come dire: lasciate in pace Liz.

Se sia stato siglato un patto familiare non si sa, ma nessuno dei parenti stretti ha voluto imbrigliare l’ambizione sfrontata della Truss, che pur avendo una formazione di sinistra e avendo lavorato nel Partito liberaldemocratico – gira un video di lei ragazza che parla alla conferenza del partito – ha conquistato i suoi elettori essendo orgogliosamente conservatrice. Pur essendo stata una delle “ragazze di Cameron”, il leader che nel 2010 operò una modernizzazione dei Tory che avviò una stagione al potere che dura tuttora, la Truss è una “tory impenitente”, come ha scritto l’Economist, convinta che il senso di superiorità della sinistra sia sbagliato oltre che frustrante: i veri progressisti siamo noi, dice la Truss, quelli di sinistra sono i reazionari. Questo atteggiamento supera e ripara quello che molti elettori (i più anziani) definiscono: il senso di colpa dei conservatori à la Cameron, tanto decisi a conquistare gli elogi del Guardian da dimenticarsi di coccolare il proprio elettorato.

Così la base conservatrice è stata disposta a perdonare alla Truss anche il fatto di essere stata contraria alla Brexit: chiunque al suo posto sarebbe stato massacrato e infatti i parlamentari hanno cercato di azzoppare la sua candidatura alludendo spesso alla sua “incoerenza”. Ma gli elettori no, hanno scelto di affidarsi a una signora che ha cambiato idea ma che non si scusa di essere di destra e che con il suo ambizioso candore che fa imbarazzare l’éstablishment dice: “La stagione dell’introspezione è finita”.

Quando la Truss ha detto questa frase era già considerata una potenziale premier. Era stata nominata ministro degli Esteri da Boris Johnson nel settembre del 2021 e, a dicembre, era stata invitata a parlare alla Chatham House, il centro studi-tempio dell’establishment di politica estera britannica. I commenti a quel discorso raccontano bene la Truss di palazzo e la Truss di popolo: media e colleghi furono freddi e critici, gli elettori si segnarono la parola “introspezione”. La ministra degli Esteri l’aveva utilizzata in un contesto internazionale: disse che con la fine della Guerra fredda era iniziata l’èra dell’introspezione in cui, pensando che i pericoli fossero ormai alle spalle, le democrazie si erano “appisolate”, avevano tagliato le spese alla difesa, si erano “distratte” con il benessere e si erano dedicate alle guerre culturali dentro ai campus universitari, cedendo alla “wokeness”. L’unica preoccupazione esterna è stata a lungo quella del terrorismo islamico, così l’occidente ha preso a comprare la tecnologia a buon mercato cinese e il gas a buon mercato russo illudendosi che Pechino e Mosca fossero così dei partner in qualche modo affidabili.

La guerra di Vladimir Putin in Ucraina non era ancora scoppiata ma l’intelligence inglese, assieme a quella americana, già diceva (inascoltata e anzi derisa): le truppe russe sono assiepate al confine, l’invasione è prossima. La Truss era da tempo convinta che fosse necessario costruire un “network della libertà” fatto di condivisione di mercati, di informazioni e di valori da opporre alla Russia e alla Cina, sempre più minacciose: in questo network il posto d’onore, ovviamente, era riservato alla Global Britain, la Britannia libera dai legacci dell’Unione europea pronta a prosperare nel mondo intero, e magari a guidarlo. 

L’approccio determinato e inflessibile della Truss le ha dato molto credito internazionale, oltre che il disprezzo del governo russo che come si sa oggi è un titolo di merito. Gli ucraini, che per Johnson hanno inventato canzoncine e dolcetti, aspettano deliziati la Truss. Questo patrimonio di credibilità (insperato, dicono i suoi detrattori) resiste anche se è sempre più evidente che, in stile trumpiano, la Truss non ha intenzione di fare sconti agli alleati storici. Non all’Unione europea, ma su questo nessuno ci sperava (vuole stracciare il Protocollo nordirlandese che vuol dire buttare via l’intero accordo Brexit); non al francese Emmanuel Macron, ma si sa che il rapporti dei vicini di Manica sono tesissimi soprattutto perché in quel canale si vedono più chiaramente gli effetti perversi del divorzio inglese dall’Ue; ma nemmeno agli Stati Uniti né alla celebre “special relationship”. Secondo una ricostruzione del Financial Times, la Truss avrebbe detto al segretario di stato americano Antony Blinken che non capisce che cosa ci sia oggi di così speciale nella relazione tra Londra e Washington, con il Canada, il Giappone e il Messico andiamo molto più d’accordo – l’atteggiamento era: “Che cosa avete fatto per me da ultimo?”. Le cancellerie occidentali si sono un po’ agitate, ma in questo momento la solidarietà e l’unità nei confronti della Russia hanno la meglio su ogni altra divergenza. 

C’è, nei confronti dell’America, una convinzione della Truss molto più profonda di quel che un retroscena può catturare. Uno dei suoi autori di riferimento è lo storico Rick Perlstein, uno dei più importanti studiosi del mondo conservatore anglosassone. In particolare “The Invisible Bridge”, che compare sugli scaffali dell’ufficio della Truss al ministero degli Esteri e che racconta come Richard Nixon, Ronald Reagan e il conservatorismo abbiano conquistato non soltanto il potere in America, ma anche il dominio culturale. Il ponte invisibile del titolo deriva da una conversazione (che Perlstein cita all’inizio del suo saggio) tra il leader sovietico Nikita Kruscev e Nixon, che allora era vicepresidente: “Se la gente pensa che lì fuori ci sia un fiume immaginario – disse Kruscev – Non devi dirle che il fiume non esiste. Devi costruire un ponte immaginario sul fiume immaginario”. 

Nick Cohen, commentatore e saggista della sinistra liberale, ha scritto che il libro di Perlstein (anche lui di sinistra ma convinto che la sua parte politica non abbia capito e non capisca tuttora come la destra sa imporsi e conquistare consensi) costituisce un manuale di riferimento per la Truss: lì dentro è spiegato come si mobilita a proprio favore il risentimento popolare; come non si deve mai pensare di perdere anche quando tutti ti dicono: perderai; come si fanno sembrare vere le fantasie degli elettori. Il grande errore della sinistra, secondo Perlstein, è “la miopia con cui i commentatori non hanno voluto vedere la terra culturale scivolargli da sotto i piedi”, che in realtà si può applicare all’ascesa di tutti i leader di destra, non soltanto della Truss. Ma questa come si sa non è stata una contesa tra destra e sinistra, bensì un affare tutto interno al mondo conservatore. Che ha deciso di perdonare a Liz Truss le corna al marito come la sua ostilità alla Brexit, premiandola invece per la sua ambizione disinvolta, per aver superato sensi di colpa e introspezioni, perché è un robot cui manca una rotella che sa far sembrare vera la fantasia della Global Britain e che si batterà per farla diventare realtà.

E perché è una donna piena di entusiasmo ed energia, un antidoto al catastrofismo che adombra il dibattito inglese: “perkiness” è il termine che usano alcuni commentatori per definire l’allegro candore con cui la Truss dice ciò che pensa,  così diversa rispetto a molti suoi colleghi. Si dice che questo buonumore sia lo stesso di Boris Johnson, suo predecessore, suo sostenitore e chissà cos’altro nel futuro:  chi si aspettava un cambiamento radicale di approccio alla cosa pubblica resterà deluso, ma sottovalutare la Truss potrebbe essere un errore.

Delle tre signore che hanno guidato il Regno Unito lei potrebbe essere la sintesi degli anni duemilaventi e se sarà più affilata e rispettata come la Thatcher o più isolata e ostracizzata come la May lo diranno le sue prime scelte sul governo che la affiancherà a Downing Street. Per tutto il resto, dalle bollette in aumento (e la protesta di chi non le vuole pagare) all’inflazione ai ricaschi della Brexit alla bolla immobiliare e più in generale al costo della vita tanto alto, la conclusione è quella che scandisce ogni conversazione con gli elettori inglesi: implacabile, winter is coming

Paola Peduzzi

[ IL FOGLIO ]