Crescere nella famiglia in cui si è nati è un diritto e l’adozione un punto di non ritorno che contraddice quel diritto. Quindi a perfetti estranei sono da preferire i nonni, in attesa che la mamma delinquente esca dal carcere e venga riabilitata. Non lo dice la panettiera al verduriere in pausa pranzo. Lo afferma un procuratore generale di Cassazione, forse non a caso una donna. Perché i figli non si tolgono nemmeno ai mafiosi. E soprattutto perché darli in adozione in certi casi assomiglierebbe a un’«operazione di genetica familiare»: lo stacco di brutto dalla pianta malsana così almeno gli offro una chance di riscatto che un parente con lo stesso sangue non può garantire. Come se il bambino fosse nato con una macchia indelebile sul Dna. Come se la propensione a compiere atti orrendi si trasmettesse sull’asse ereditario.
Ci sono criteri precisi stabiliti dalla Cassazione in base ai quali un minore deve fare a meno dei nonni se mamma e papà si mettono nei guai. In questo caso particolare c’è un bambino di due anni nato da due giovani disgraziati responsabili di crimini raccapriccianti. E ci sono quelle che fino a prova contraria vanno considerate due brave persone: due vittime anche loro, che nel disastro cercano di tenere assieme quello che possono mentre la figlia è in galera. Il Comune di Milano spinge per l’adozione e sottolinea il divario di età e l’impegno sproporzionato alle loro forze. Il medesimo appunto fatto all’anziana coppia del Monferrato, cui lo stesso pg chiede che venga ridata la figlia.
Non certo due mafiosi. Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano, 75 e 63 anni, erano stati giudicati troppo vecchi e troppo sbadati per avere un figlio. E la loro bambina era stata data in affido e poi in adozione nonostante fosse stata rimangiata l’accusa di abbandono. Caduto il reato insostenibile di anzianità, e con sinistri risvolti kafkiani, la Corte d’Appello aveva poi riconosciuto che i due genitori non avevano fatto niente di male, che essere vecchi non costituiva una colpa. Ma la bambina potevano scordarsela perché intanto erano passati sette anni, lei aveva altri genitori e sarebbe stato un trauma. Ora si riparte da lì, dal buonsenso di un procuratore donna che ribadisce il concetto più ovvio: crescere nella famiglia in cui si è nati è un diritto. Sì, ma che fatica.