venerdì, 22 Novembre 2024

ALLARME LONGEVITA’

Roberto Bernabei (professore medicina)

Da sempre nelle società organizzate l’anziano è un elemento importante del progresso sociale, lo specchio cui guardano le giovani generazioni per trarre ispirazione e stimoli per progettare il futuro sulla base di valori che hanno resistito alla prova del tempo. Questa è però una visione che oggi vacilla sotto i colpi delle crisi economiche, della disgregazione della famiglia tradizionale, e persino a causa della stessa longevità, che allunga la vecchiaia e moltiplica le fragilità e le cosiddette “malattie croniche”.

La strategia per arginare la discriminazione latente che coinvolge gli anziani – tanto tangibile da aver ricevuto un nome preciso: ageismo – non è certo quella di metter mano a una campagna di moralizzazione dei giovani. Piuttosto bisogna sforzarsi di inquadrare la tematica in una prospettiva differente, e persino cercare di trasformare gli anziani nella soluzione al problema di fondo che sembrano porre: quello dell’insostenibilità economica della loro longevità.

È nata così l’ambizione di Italia Longeva di riuscire a individuare nella terza età una grande occasione per uscire dalle crisi: non solo con le detrazioni fiscali e le manovre finanziarie, ma anche producendo cose, manufatti, oggetti tangibili e utili che entrino nel mercato e possano essere venduti ai milioni di anziani italiani, e poi possibilmente in tutto il mondo.

Insomma il nostro Paese, il più anziano insieme con il Giappone, può diventare un enorme laboratorio nel quale sperimentare nuovi prodotti, costruiti dalle nostre industrie e destinati a divenire la risposta italiana alla questione dell’invecchiamento progressivo della popolazione del pianeta. Per questo sono state identificate tecnologie, strumentazioni e software che possono essere inseriti in un processo di ammodernamento dell’assistenza all’anziano ben più ampio di ciò che comunemente si intende con il termine “telemedicina”.

Così abbiamo in qualche modo ideato il concetto di “tecnoassistenza”, che include ma supera la telemedicina, perché abbraccia anche la domotica per l’anziano, la teleassistenza, e in generale tutte le tecnologie e le innovazioni che possono aiutarci a raggiungere due obiettivi: assistere gli anziani a domicilio – o comunque il più a lungo possibile al di fuori degli ospedali e di altre strutture istituzionali – e  trasformare i bisogni della terza età in nuovi stimoli all’inventiva “made in Italy” e alla produzione industriale.

Ma l’azione di Italia Longeva, ben prima di risolversi in una “terza rivoluzione industriale”, deve affrontare due enormi ostacoli culturali, corrispondenti alla necessità di due ulteriori – e preventive – trasformazioni del mind set più diffuso. Il primo: trasformare il sistema sanitario, al di là dei manifesti e delle petizioni di principio, in un’organizzazione che curi in ospedale solo i pazienti acuti e assista a casa le persone che hanno bisogno di “cure a lungo termine”, quali sono tipicamente i pazienti anziani. Da questo punto di vista, il nostro Servizio Sanitario Nazionale appare ancora come “un mondo alla rovescia”. Che cosa penseremmo, infatti, se in Italia esistessero ospedali senza Pronto Soccorso, sale operatorie senza anestesisti, unità operative con un solo medico? Certamente resteremmo sbigottiti, anche perché ci siamo scontrati per anni sul famoso prezzo della siringa, diverso in ogni regione, per apprendere poi che ci sono differenze inquietanti che riguardano – ancor prima che i costi – il tipo di prestazioni erogate e il numero di pazienti che il sistema è “disposto” a curare.

Ebbene proprio questo è ciò che accade nell’assistenza domiciliare, servizio in un certo senso più importante delle cure ospedaliere, perché riguarda un numero maggiore e sempre crescente di persone: gli anziani.

L’Istat avverte che nel 2050 un italiano su tre sarà ultrasessantacinquenne, e ogni evidenza conferma che l’assistenza domiciliare sarà l’unica soluzione possibile, oltre che la più efficace. Eppure scopriamo, ad esempio, che la Calabria assiste a casa meno di un decimo dei pazienti seguiti a domicilio in Emilia Romagna; che ci sono regioni, come la Val d’Aosta, che garantiscono servizi di ADI allo 0,4% degli ultrasessantacinquenni, e che anche nelle situazioni migliori come in Emilia Romagna curiamo a domicilio solo il 4% degli over65. Tutti gli altri? A intasare il Pronto Soccorso, quando va bene…

Questi dati sono stati elaborati da Italia Longeva non solo per riflettere sulla cosiddetta “transizione epidemiologica”, ma anche per far sì che politica e opinione pubblica si accorgano che l’assistenza agli anziani è la vera emergenza del presente: più allarmante, per complessità e per numeri, delle ondate migratorie che stanno interessando l’Italia, e più vicina al nostro cuore – e alle nostre tasche – perché legata al crescente invecchiamento dei nostri nonni… e di tutti noi.

Un’emergenza della quale si parla poco, perché alle mancanze della sanità suppliscono famiglie e badanti, oppure interviene l’oblio: soprattutto per chi non ha risorse per curarsi. E invece sono oltre un milione i “pazienti” della sanità territoriale in assistenza domiciliare, RSA, e riabilitazioni varie. Numeri destinati ad aumentare, mentre l’assistenza a domicilio, rimessa alle Regioni, sta producendo servizi e disuguaglianze inaccettabili, di cui è ormai tempo di occuparci.

Sin qui ciò che riguarda la “cura” – per sua natura una fase emergenziale – che può essere così riassunto: riorganizzare in fretta il Servizio sanitario, affinché garantisca rapidamente una soglia minima di prestazioni omogenee erogate a domicilio, e conseguentemente l’intero Paese inizi a beneficiare di tutti i vantaggi che la tecnologia può offrire nel curare i pazienti a casa propria. Non ultima l’opportunità di produrre e testare queste tecnologie in Italia, e poi venderle in tutto il mondo.

Venendo ora alla “prevenzione” (che è logicamente una fase precedente, ma rappresenta in concreto il processo più arduo e di più lunga durata) ci scontriamo come anticipato con la necessità di un’altra piccola rivoluzione culturale: convincere giovani e meno giovani che la longevità è una vera e propria conquista, che implica impegno costante e buone abitudini di vita. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo pensato di richiamare l’attenzione del grande pubblico sulle “Blue Zone”. È questo il termine usato dai demografi per identificare le aree geografiche del mondo in cui le persone vivono più a lungo della media.

Il concetto è nato quando lo studioso Gianni Pes, italiano, ha tracciato sulla cartina geografica una serie di cerchi blu, per individuare queste zone: la Sardegna, l’isola di Okinawa in Giappone, il distretto di Nicoya in Costa Rica, l’isola di Icaria in Grecia e la comunità di avventisti di Loma Linda, in California. Sono aree nelle quali risiedono piccole popolazioni, spesso di pastori che conducono una vita frugale. Ci ricordano che cibi elaborati, sedentarietà, isolamento sociale, vizi e ogni altra abitudine che si discosti dallo stile di vita di popoli pastorali, con un’alimentazione essenziale e la necessità di spostarsi al seguito delle greggi, sono le strategie meno efficaci per candidarsi alla longevità, e più in generale a una vecchia in salute. Queste aree ci forniscono quindi indicazioni di carattere nutrizionale, psicologico e sociale, ma ci ammoniscono anche sull’importanza del moto fisico quotidiano e sulla gravità della minaccia rappresentata dalla solitudine e dalla conseguente depressione, che purtroppo colpisce tanti anziani, soprattutto – e non a caso – nelle grandi città.

Da questo punto di vista, sulla base di solide basi scientifiche, ci dobbiamo impegnare in un grande sforzo di comunicazione e di sensibilizzazione, che si rivolge tanto ai giovani quanto agli anziani: tentare di persuadere tutti che la sfida della longevità consiste nel far durare più a lungo possibile il senso di responsabilità individuale e sociale – e quindi l’impegno di ciascuno – per una vita sana, autonoma e autosufficiente, allo scopo di preservare una “qualità di vita” che aiuti a non perdere il gusto della vita.


ROBERTO BERNABEI

Professore ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore Cattolica.
Direttore del Dipartimento di Geriatria Neuroscienze e Ortopedia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore del Policlinico Universitario “A. Gemelli”. Direttore della Scuola di Specializzazione in Geriatria della Cattolica.
Consigliere di amministrazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Giovanni Paolo II per il Centro di Alta Specializzazione di Campobasso.
E’ responsabile coordinatore di numerosi corsi di formazione all’assistenza geriatrica e Presidente del corso di laurea in Terapia Occupazionale della Cattolica e del satellite Moncrivello.
Responsabile scientifico di numerosi progetti ex art. 12/CCM e Membro del Tavolo Alzheimer del Ministero della Salute. Ha coordinato e coordina numerosi studi no profit e trial clinici per lo studio di molecole rilevanti nell’anziano.
Membro del Consiglio Superiore di Sanità negli anni 2002-2005, 2006-2009 e 2010-2013; attualmente membro del comitato di presidenza e vice presidente sezione prima del Consiglio stesso.
Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria negli anni 2006-2009.
E’ visiting professor presso il dipartimento di Community Health di Brown University School of Medicine Providence, RI.
E’ Board member dell’ European Academy for Medicine of Ageing.
Membro del Geriatric Working Group di AIFA.
Membro dell’ International Advisory Board di Sanofi-Aventis.
Membro di Neuronet, Advisory Board di Novartis.
E’ stato Project leader di uno studio sull’ assistenza domiciliare in 11 paesi europei finanziato dal V°Programma Quadro della EU e di uno studio sulla residenzialità in istituzione per gli anziani in 9 paesi europei finanziato dal VII° Programma Quadro della EU.
E’ stato executive vice-president di interRAI, una non-profit corporation statunitense formata da oltre 60 ricercatori di 27 paesi esperti nell’assistenza continuativa all’anziano fragile e nella produzione di strumenti per la loro assistenza nei diversi servizi della rete.
Membro dell’Editorial Board del Journal of Gerontology, di Aging, del Giornale Italiano di Gerontologia. Ha pubblicato oltre 250 lavori in giornali per reviewed (JAMA, BMJ, Annals of Internal Medicine, Neurology, JAGS, J Gerontol etc), 8 libri, 20 capitoli di libro.