Era previsto che la visita di Vladimir Putin in Italia confermasse una amicizia tra Roma e Mosca che da decenni sopravvive alla nostra fedeltà atlantica e ai conseguenti disaccordi. E così è stato. Nei colloqui con il presidente Mattarella al Quirinale, ma anche più tardi negli scambi di idee con il premier Conte e con i suoi vice Salvini e Di Maio, il capo del Cremlino e i dirigenti italiani si sono scambiati, in un clima di grande cordialità, auspici comuni e consolidati dissensi. Da un lato la volontà di far crescere l’interscambio e i reciproci investimenti, e una serie di convergenze a mezza voce per non farle apparire anti-Trump: l’Iran resista alle sanzioni Usa e non esca dall’accordo nucleare come ha minacciato di fare tra pochi giorni, i dazi commerciali provocano squilibri pericolosi, l’Europa è fortemente critica verso la scomparsa del trattato contro gli euromissili (ormai scontata, con Usa e Russia che si accusano reciprocamente di violazioni) ma spera, dopo la mezza intesa al G-20 di Osaka, che almeno l’intesa New Start sui missili nucleari intercontinentali possa essere prolungata e dunque salvata. Della Libia si è parlato senza che alcuna delle parti avesse una ricetta che andasse oltre la cessazione delle ostilità, che peraltro Mosca, vicina al generale Haftar, ha rifiutato di sottoscrivere all’Onu esattamente come gli Usa.
Poi dalla richiesta italiana per la liberazione dei marinai ucraini ancora detenuti in Russia dopo l’intercettazione dello Stretto di Kerch nel novembre scorso, e dalla vaghezza di Putin su quel che potrà accadere nel Donbass dopo l’elezione a presidente dell’ex comico Zelensky, si è quasi inevitabilmente passati al tema spinoso delle sanzioni anti-russe, decise appunto dopo l’annessione della Crimea nel 2014. E qui Putin, come aveva già fatto nell’intervista concessa al Corriere, ha dato prova del suo ben noto spirito pratico. Pieno rispetto per la partecipazione italiana alle sanzioni europee, rammarico per aver dovuto varare contro-sanzioni che colpiscono l’Italia forse più di altri Paesi pronti a rimproverarci di essere filo-russi, e grande apprezzamento nei confronti di Matteo Salvini, come se lo stesso Salvini non avesse promesso, l’estate scorsa, di far scomparire le sanzioni «entro la fine del 2018» e «con qualsiasi mezzo». Le sanzioni sono state invece rinnovate due volte, alla fine dell’anno passato e il mese scorso. Putin finge di non ricordare, l’amico è comunque amico e chi ha esperienza sa che la politica non è sempre coerente.
Un successo tra vecchi amici, scontato e quasi inevitabile. Ma è rimasta fuori dalla breve permanenza di Vladimir Putin sulla scena italiana, dopo l’altrettanto positiva visita in Vaticano, la necessità di comprendere l’ennesimo e più insidioso enigma russo, come avrebbe detto Winston Churchill. È del tutto normale che il capo del Cremlino riceva con piacere i doni che gli vengono offerti dai disaccordi euro-americani, anche se apprezza di sicuro molto meno il fatto di essere stato spinto nelle braccia della Cina da raffiche di sanzioni occidentali. Ma cosa intende Putin quando dichiara «obsoleta» la democrazia liberale e nel contempo esalta la «modernità» di populisti e sovranisti? Davvero la Russia orfana di ogni ideologia ne ha adottata una nuova? E perché le simpatie di Putin vanno ai Farage, alle Le Pen, al Afd tedesco, a Viktor Orbán, al nostro Salvini che continua a sparare sull’Europa, e vanno persino a Donald Trump?
Per tutto l’Occidente capire è cruciale. E le risposte a noi non paiono misteriose. Putin ha compreso da tempo che in Europa nessuno ha nostalgia della guerra fredda, nemmeno quegli eroi del «cambiamento» che si richiamano a Trump e da lui si fanno benedire. Bene, deve dirsi Putin, incassiamo intanto quel che c’è da incassare in termini di dissensi transatlantici. Ma se i nazional-populisti che capiscono così bene le masse vincessero, come peraltro non hanno ancora fatto in Europa, allora la Ue esploderebbe davvero, sull’Atlantico scenderebbe il caos, e tornerebbero quei «rapporti bilaterali» che favoriscono sempre il più forte. Rapporti desiderati dall’incombente Putin non meno che da un Trump in odore di rielezione. Attenti, i Vladimir Putin sono due: il primo è ragionevole e seducente, il secondo è il legittimo erede di un impero.
Post Scriptum. Per favore Occidente, quando celebri la Vittoria o il Giorno più Lungo, ogni tre, ogni cinque oppure ogni dieci anni, in Gran Bretagna o in Normandia, non ti scordare di invitare la Russia. Perché senza i suoi venti e oltre milioni di morti, non ci sarebbe stata Vittoria.