Il ricordo del gesuita che con il Papa tedesco fu direttore della sala stampa vaticana. La sua rinuncia è stata un “atto di governo” che sarà ricordato nei libri di storia, e non c’è bisogno di complottismi per spiegarla.
Ha affrontato gli scandali esplosi durante il suo governo senza “teatralità o ricerca di salvare l’immagine propria o della Chiesa”, ma guidato dal “desiderio della verità e della giustizia”. Ma padre Federico Lombardi, gesuita, direttore della sala stampa vaticana con il Papa tedesco e, ora, presidente della fondazione Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, vede nel Pontefice appena scomparso soprattutto un “maestro dell’intelligenza della fede nel nostro tempo”.
Perché Benedetto XVI si è dimesso
Nonostante molte spiegazioni, attorno alla decisione della rinuncia, che lei definì all’epoca un “atto di governo”, è rimasto un certo alone di mistero: perché Benedetto XVI si è dimesso?
“La mia risposta rimane sempre la stessa. Si è dimesso esattamente per i motivi che lui ha spiegato benissimo nella sua dichiarazione fatta davanti ai cardinali l’11 febbraio 2013. Per me è incredibile che, nel caso di una persona così lineare nel suo pensiero e nel suo comportamento, si continuino a cercare altri motivi misteriosi, diversi da quelli che egli ha dichiarato come i motivi della sua libera decisione. E chi sa meglio i motivi di una decisione se non chi la prende? E i motivi che ha dichiarato non erano affatto strani. Erano del tutto ragionevoli: non si sentiva più in grado di svolgere bene la sua responsabilità di governo della Chiesa nelle circostanze concrete del tempo attuale e nel declino delle sue forze.
Ci aveva ragionato e ci aveva pregato su, e aveva deciso. Chi lo conosceva non ha mai avuto nessun motivo per dubitarne. Forse qualcuno pensa che avrebbe dovuto crollare e morire sotto il peso del suo compito, a cui non si vedeva più adeguato? O che avrebbe dovuto rimanere papa nonostante la debolezza estrema? Ha preso liberamente e al tempo opportuno la decisione più ragionevole davanti a Dio e agli uomini. Ma capisco che per chi ha una mentalità un po’ complottistica sia quasi impossibile capire o immaginare la limpidezza di Ratzinger…”.
Ratzinger tra Wojtyla e Bergoglio
Tra Giovanni Paolo II e Francesco, due personalità carismatiche, la figura di Benedetto, più schiva, rischia di rimanere un po’ nell’ombra: lei oggi cosa ne metterebbe in luce?
“Certamente Giovanni Paolo II è stato protagonista di un pontificato gigantesco, già solo per la sua eccezionale durata oltre che per tanti altri aspetti. Ma non bisogna dimenticare che anche Ratzinger è stato uno dei protagonisti di questo immenso pontificato, perché era uno dei principali collaboratori del papa, in un ruolo chiave come quello della Dottrina della Fede, per quasi tutta la durata del lunghissimo pontificato. Io amo parlare di una “accoppiata formidabile”: Wojtyla – Ratzinger.
Non si può pensare a Giovanni Paolo II senza pensare in certa misura anche a Ratzinger. La dimensione dottrinale del pontificato di Wojtyla porta in gran parte il segno dell’intelligenza di Ratzinger. Allo stesso tempo Ratzinger ha raggiunto la statura e l’esperienza per essere papa collaborando per 24 anni con Papa Wojtyla. Rispetto alla “forza” della personalità di Papa Wojtyla, come guida della Chiesa e maestro di popoli in cammino nella storia, Ratzinger si è messo in luce piuttosto come maestro dell’intelligenza della fede nel nostro tempo.
Egli era perfettamente consapevole che in questa sua caratteristica stavano allo stesso tempo la sua forza e il suo limite. Il suo pontificato – breve o lungo che fosse – doveva essere guidato non da grandi riforme o memorabili atti di governo, ma da questo scopo: presentare la fede cristiana nel mondo di oggi; ricordare all’umanità del nostro tempo la presenza di Dio, non un Dio qualsiasi, ma il Dio di Gesù Cristo. Se non si capisce questo, non si capisce nulla del suo pontificato, anzi, più ampiamente, della sua intera vita. Un “atto di governo” memorabile poi lo fece davvero: la rinuncia, di cui abbiamo già parlato”.
Gli scandali della chiesa sul pontificato di Benedetto
Il pontificato è stato punteggiato da momenti difficili: ad esempio, gli abusi sessuali, le questioni finanziarie, i “vatileaks”: lei che gli è stato per otto anni accanto come portavoce, come ha visto Benedetto XVI reagire di fronte a questi problemi?
“Naturalmente Benedetto ha sentito il peso delle prove che ha dovuto subire. Naturalmente ne ha sofferto. Come uomo abituato a vivere amando la verità e la coscienza pura, avvicinando il mistero di santità di Dio nella liturgia, ha sofferto profondamente per l’esperienza del male, nel mondo e nella Chiesa. Tutti ricordiamo il grido di dolore per la “sporcizia nella Chiesa” durante la Via Crucis al Colosseo del 2005. Direi che Benedetto ha vissuto il dolore per il male con grande umiltà e senza perdere mai la speranza. Insomma, ha sofferto come soffre un uomo di fede, senza gridare né lasciarsi sconvolgere.
Perché l’uomo di fede sa che il male purtroppo esiste e anche se il suo manifestarsi nelle diverse forme – di falsità e inganno, di abuso, di violenza – è sempre una sorpresa molto dolorosa e sconcertante, cerca le vie per la conversione e la purificazione, per la giustizia e la misericordia. Quello che Benedetto diceva su questi temi nei suoi discorsi o documenti od omelie, era vero, corrispondeva al modo in cui li viveva. Non c’è mai stata teatralità o ricerca di salvare l’immagine propria o della Chiesa. C’è stato sempre anzitutto il desiderio della verità e della giustizia davanti a Dio e agli uomini”.
Il rapporto tra Benedetto XVI e Francesco
Con papa Bergoglio c’è sempre stato un rapporto cordiale, ma nel corso degli anni la coabitazione non è stata priva di dissonanze: come leggere il rapporto tra Benedetto e Francesco?
“Credo che nessuno di noi avesse previsto un periodo così lungo di convivenza. Ora, in tutto questo tempo, io ritrovo moltissimi momenti di cordialità e di affetto, di espressione di unione spirituale nell’amore per la Chiesa e naturalmente per il bene di tutti. Questa è la sostanza del loro rapporto. Ritrovo anche alcuni momenti in cui si è parlato di dissonanze. Ma sono stati incredibilmente pochi e facilmente superabili: facendo uno sforzo per ricordarli non arrivo alle dita di una mano. E chi ha parlato di dissonanze è sempre stato qualcun altro, mai loro due. La mia spontanea considerazione è che meglio di così – per nove anni! – non poteva proprio andare. Io ne sono contentissimo. Non ne sono stato affatto stupito.
Conoscendoli me lo aspettavo. Vedo che c’è qualcuno che continua a cercare di immaginare o costruire tensioni, ma mi sembra talmente ridicolo che non riesco a preoccuparmene. La sostanza della vecchiaia di Benedetto inserito in preghiera nella comunione della Chiesa è troppo evidente e preziosa per mettermi a pensare se doveva essere vestito di bianco o di qualche altro colore e così via. In verità questi aspetti non mi interessano”.
Ratzinger, l’eredità nella storia della Chiesa
Qual è a suo avviso l’eredità principale, magari non evidente al grande pubblico, che lascia questo papa alla storia della Chiesa?
“Penso che realisticamente dobbiamo dire che la rinuncia sarà probabilmente la cosa più ricordata nei libri di storia. Ma, a parte questa, l’eredità più importante credo che sia di aver dato un esempio eminente di intelligenza della fede nella nostra epoca e di averlo dato al livello ecclesiale più alto, quello appunto del pontificato. Questa intelligenza della fede si è fusa con una spiritualità profonda e sincera; tutt’altro che razionalisticamente arida. I grandi maestri del pensiero cristiano parlavano di intellectus fidei: intellectus quaerens fidem, fides quaerens intellectum (l’intelletto cerca la fede, la fede cerca l’intelletto).
Questo esempio Ratzinger lo ha dato nel pontificato perché era già stato presente in tutta la sua vita, era in certo senso la sua vocazione. Ma nel pontificato l’orizzonte della sua intelligenza della fede e del suo esercizio nel magistero è diventato universale. Un testimone della verità, amata, “fatta” nella carità, cercata fino alla fine, fino all’estrema vecchiaia, soprattutto nel volto di Gesù Cristo. Che altro tipo di eredità alla fine dovrebbe mai lasciare un papa, un successore di Pietro, che ha detto per primo: ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’?”.
Iacopo Scaramuzzi
[ la Repubblica ]