Per la prima volta nella storia della Repubblica (ma forse anche del Regno) si andrà a votare per il rinnovo del Parlamento con le mutande da bagno. Al netto delle cause del gocciolio nelle sezioni elettorali – l’uscita dei grillini, lo scoramento di Draghi, il disimpegno della destra di governo – si voterà solo tra una cinquantina di giorni e abbiamo avanti a noi metereologie e timing procedurali che non lasciano immaginare tutta questa attenzione ai programmi e ai candidati.
Il caldo e la stagione spingono al disimpegno, e il tempo imposto dalla legge chiude il preliminare della pubblicazione delle liste nel giro di poco più di due settimane e mezzo. È chiaro che questo peserà sul voto, tendendo a cristallizzare i rapporti di forza che si registrano oggi con i sondaggi, che già sono lo strumento con cui le alleanze tra partiti si ripartiscono le candidature comuni. Un’altra conseguenza , legata al «glorioso» taglio dei parlamentari, sarà un più marcato effetto maggioritario: chi vince, vincerà «di più», per via del ridotto numero dei deputati e senatori ( circa il 40% in meno).
Un altro frutto di tutta questa fregola elettorale sarà che per la prima volta dopo un paio di decenni ci sarà un rinnovamento limitato (nelle ultime legislature andava intorno al 64%). La ragione di tale tendenza conservativa è nelle leggi vigenti, che impongono alle formazioni politiche che non sono in parlamento di raccogliere migliaia di firme ( sulle spiagge…) per presentare le liste, mentre per quelle presenti con proprio simbolo da almeno un anno l’onere non c’è.
E già questo spiega, per esempio, il caso di alcune inusitate «unioni civili» tra vecchi democristiani titolari di simboli elettorali col copyright e giovani ministri in uscita dai Cinquestelle, con buona dotazione parlamentare ma senza simbolo. Per capire, però, quel che sta accadendo tra i partiti e gli schieramenti in questa breve vigilia del voto, bisogna dire qualcosa sul famigerato Rosatellum, la legge elettorale con cui si voterà a settembre.
Stiamo parlando di una ibridazione tra sistema proporzionale e maggioritario: 256 deputati e 128 senatori saranno eletti col sistema proporzionale (che prevede una soglia d’ingresso del 3%, circa 1,3 milioni di voti) in una lista chiusa che non consente al cittadino l’espressione di una scelta ma solo l’indicazione del simbolo; 144 deputati e 72 senatori saranno eletti, invece, con il maggioritario (collegi regionali «uninominali», un solo candidato per lista o coalizione. Vince chi prende un voto in più degli altri concorrenti). La parte proporzionale serve per rivendicare l’identità politica: si vota il simbolo e vengono eletti tanti candidati quanti saranno percentualmente i voti raccolti secondo l’ordine di lista imposto dal partito.
Allo stato dell’arte pare che il centro-destra sia già nella fase delle trattative sull’uninominale distribuendosi i collegi «potabili» in base agli ultimi sondaggi. Il centro-sinistra rincorre. Il Pd, partito egemone nell’area, dopo la scellerata liaison con Conte si dibatte tra il richiamo frontista della vecchia strategia, e l’apertura a Calenda. In realtà la posta in gioco per i potenziali alleati è insieme politica e di sopravvivenza. Un fronte «draghiano» dal punto di vista dei numeri sul maggioritario (perché, come abbiamo visto, sul proporzionale ogni forza arriva con la sua bandiera), non sarebbe una gran cosa, ma riuscirebbe a salvare il diritto di tribuna a qualche alleato che al 3% rischia di non arrivare (Di Maio per esempio).
Si potrebbe aprire però un po’ di luce nel nuovo parlamento pur nell’angustia di una legge elettorale pensata solo per i capi-bastone. Sarebbe un segno di apertura se il Centro-Destra e il Centro-sinistra convenissero di rinunciare alle candidature di uomini e donne di partito per mettere in tutti i collegi del maggioritario persone che rappresentino i mondi vitali del paese: intellettuali, giovani talenti, donne e uomini di cultura, del mondo solidale, dell’associazionismo, dello sport.
Insomma: il meglio della società italiana. Non occorrerebbe rinunciare alle proprie posizioni politiche e culturali, perché candidature così sono reperibili nel paese a destra come a sinistra. Sarebbe un gesto intelligente e generoso, offerto al corpo elettorale come segno di una nuova volontà di dialogo. Sarebbe finalmente un gesto politico, dopo tanti tatticismi di minimo cabotaggio.
Pino Pisicchio
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]