C’è molto di più di un banale compromesso sindacale nell’accordo che incorona Maurizio Landini candidato unico per la segreteria generale della Cgil. Non è una mediazione, bensì un’operazione che – volontariamente o meno – incrocia lo spirito dei tempi e, per questo, potrebbe rivelarsi felicissima. Basta rifletterci un attimo e pensare alla sfida che stava per prendere corpo al Congresso del «sindacato rosso». Da una parte l’ex leader della Fiom, personaggio notissimo, popolare e telegenico, famoso per le sue maglie della salute e per l’epica lotta con il manager Fiat Sergio Marchionne. La felpa contro il maglione. Due irregolari senza cravatta a buon diritto iscritti nel grande elenco delle sfide all’italiana, dai guelfi e ghibellini in giù.
Dall’altra parte, lo sfidante, poi ritiratosi, che il grande pubblico ha iniziato a conoscere (solo) in questi giorni: Vincenzo Colla, segretario confederale e già leader della Cgil emiliana, un uomo d’apparato dal vago accento bersaniano, misurato nelle espressioni e accomodante nei toni. Uno che la cravatta la mette sempre e non la toglie mai. Tutto il contrario di Landini.
Oltre che uno scontro tra visioni e propositi, sarebbe stata una sorta di «guerra dei mondi» che l’accordo ha disinnescato. Passa Landini lo scapigliato, desideroso di aprire il sindacato all’esterno e, soprattutto, pronto a proiettarlo nell’oltre.
Al tempo del populismo, più un modo d’essere che un programma politico, lo stile è dirimente. E l’ex Fiom possiede tutte le carte in regola, almeno mediatiche, per «sfondare». Difficile indovinare quanto il suo sindacato sarà «giallo», cioè vicino al Movimento 5 Stelle (ormai presenza ingombrante fra le inclinazioni di voto degli iscritti) o, in generale, al governo Conte. Molto poco, a giudicare dalle parole di fuoco riservate all’esecutivo dal sindacalista di Castelnovo, grande accusatore dei processi politici che attentano ai corpi intermedi.
Landini non inseguirà, piuttosto si farà inseguire. E c’è da scommettere che in poco tempo saranno tanti a intrupparsi dietro lui. Scatterà l’ennesima «sindrome Fico (Roberto)»: la sinistra o almeno la sua base, orfana di leader e programmi, opacizzata dalle polveri del proprio cantiere eterno, inizierà a guardare al nuovo segretario, esattamente come oggi guarda al presidente della Camera («l’unico che fa opposizione al governo», si mormora nei bar) o a Papa Francesco («uno dei pochi realmente di sinistra», altra frase ricorrente di fronte ai cappuccini).
Naturalmente, peseranno molto i contrappesi interni e le ritualità imposte dalle responsabilità ingombranti del quasi segretario. Ma non ci sarà da attendere molto perché Landini, pur intiepiditosi (ad arte?) negli ultimi anni, si prenda la scena battagliando a tutto campo, dal lavoro ai diritti. La Cgil ha mandato un messaggio al Paese, non c’è dubbio. Ma soprattutto ha messo in campo un peso massimo che, comunque la si pensi, farà il suo nell’agone. Stavolta non c’è Marchionne, magari ci sarà Salvini in uno scontro pirotecnico tra ex consumatori di felpe. Se l’obiettivo era tornare protagonisti, l’operazione potrebbe funzionare davvero.