Dove è finita la critica letteraria? E dove la distinzione tra cultura alta, media, e bassa? Oggi, per rinfrescarsi le idee (le poche che sono rimaste) è possibile rileggersi un classico uscito nel 1960, Masscult e Midcult di Dwight Macdonald, nella nuova traduzione di Mauro Maraschi (Piano B edizioni, pagg.142, euro 14). Un libro di cui si è molto scritto e molto parlato, e le cui categorie oggi forse non sapremo più dove collocare. Macdonald prese di mira non tanto il Masscult, quanto il Midcult, ossia i prodotti artistici rivolti al pubblico medio ma travestiti da superiore esperienza estetica.
Per intenderci era Midcult Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway, e prima ancora i dipinti di Giovanni Boldini di inizio secolo, che vendevano alla borghesia ritratti convenzionali ma con qualche pennellata veloce qua e là per sembrare aggiornati all’impressionismo (che nel frattempo era già superato da altre avanguardie). È Midcult La grande bellezza di Paolo Sorrentino, di cui si attende un nuovo film su Berlusconi, irrimediabilmente Midcult già dalle premesse. Era cultura alta il Nanni Moretti di Ecce Bombo, è Midcult La stanza del figlio o Caro diario, e ormai è diventato Midcult tutto Nanni Moretti, retroattivamente.
A livello di social, sono Midcult tutti i neonati cultori della fotografia ai tempi di Facebook e Instagram, con ragazze più o meno agé che si fanno fotografare seminude credendo di fare nudo artistico, e sedicenti fotografi che le fotografano solo per farle mettere seminude: frequentano tutti le stesse mostre, pascolano tutte le gallerie d’arte alternative sentendosi piccole avanguardie, quando sarebbero già stati kitsch negli anni Dieci del secolo scorso. Spiegare a costoro perché Boldini fa schifo è impossibile, anche perché il postmoderno ha rivalutato perfino lui, e molta critica neotradizionalista guarda piuttosto con sospetto Marcel Duchamp o Lucio Fontana.
Sono sicuramente Midcult, da decenni, tutti i romanzi premiati allo Strega, perché chi li legge crede di avere tra le mani un prodotto di cultura alta, mentre è solo e sempre un prodotto medio. Il problema, casomai, è che oggi è sparita la cultura alta: sono rimaste solo quella media e quella di massa. Ma quest’ultima talvolta supera la media: basta vedere il livello raggiunto da molte serie televisive di Netflix, artisticamente superiori a molti supposti film d’autore.
Ci sono ancora, a dire il vero, piccoli circoli di intellettuali emarginati che amano autodefinirsi cultura alta, ma solo perché il sistema li esclude e vorrebbero concorrere anche loro al Premio Strega (con prodotti del tutto simili, che sarebbero alti solo perché hanno la sfiga di non vendere). Basta leggere, per esempio, i romanzi dei critici Matteo Marchesini e Gilda Policastro, i quali si reputano cultura alta solo perché lo Strega non li ha mai voluti, e perché non applicano a se stessi, quando si mettono a fare romanzeria, l’intransigenza che chiedono agli altri.
Tuttavia il Midcult, già quando ne scrisse Macdonald, non era per Alberto Arbasino una novità, neppure negli anni Sessanta (Arbasino è sempre stato avantissimo). «L’industria del Midcult non è davvero un fenomeno nuovo», si legge in Fratelli d’Italia. «Questi romanzetti da spiaggia circolavano tali e quali anche negli anni Trenta, soltanto non si pretendevano Alta Cultura presentandosi con tanto sussiego sofferente e Kitsch! Ci si è già passati parecchie volte, nei cicli e ricicli fra produzione e consumo, che vendono e comprano come esperienze spirituali privilegiate l’avviamento commerciale d’una formula: il falso problema, la falsa audacia, la falsa poesia, il falso chic…». Attenzione perché Arbasino non salvava all’epoca neppure l’amico Alberto Moravia (i veri scrittori non salvano mai gli amici solo perché amici), e anzi considerava come «gente che mai oserebbe vantare la propria millecento contro una Jaguar o una Mercedes, elogia Moravia in quanto bestseller per la gente comune, rispetto a Gadda o Beckett che hanno la colpa di essere troppo difficili e dunque d’avere pochi clienti».
Invece il dito nella piaga del discorso di Macdonald lo mise Umberto Eco (in Apocalittici e integrati, Bompiani, uscito nel 1964), quando fece notare una contraddizione del discorsino del critico statunitense: l’avanguardia sembra la sola a avere un valore, ma solo finché riservata a pochi, gli happy few. Nel momento in cui viene adorata dal pubblico medio, cessa di essere avanguardia. Insomma, Van Gogh alla fine dell’Ottocento era cultura alta, nel momento in cui comincia a essere visto da folle di turisti e stampato su poster e magliette diventa cultura media, quando non Masscult. Ma allora, scrive Eco «il criterio snobistico si sostituisce al rilievo critico (…) il quale rischia di venir condizionato proprio da quel pubblico che tanto aborre: egli non amerà ciò che ama il pubblico medio, ma in compenso odierà ciò che esso ama; in un modo o nell’altro è ancora il pubblico medio a dettar legge, e il critico aristocratico è vittima del suo stesso gioco».