Tredici anni a capo del governo, di cui gli ultimi dieci ininterrotti; oltre trent’anni ai vertici della diplomazia e dell’amministrazione di Israele, un paese cardine per le dinamiche di una delle regioni più complesse al mondo; soldato delle forze speciali convertito alla politica, dove è diventato una delle figure più polarizzanti e divisive nel dibattito pubblico; un soprannome che unisce le opinioni opposte di sostenitori e critici: “Re Bibi”. Sembra il prototipo dell’uomo forte della politica Benjamin “Bibi” Netanyahu, il primo ministro di Israele che si prepara a correre per il quinto mandato. Questa volta, però, il trono di Re Bibi sembra più instabile del solito: dopo le elezioni di aprile, Netanyahu non è riuscito a raccogliere voti sufficienti a far partire un governo e, per non dare chance all’opposizione, ha deciso di andare a elezioni anticipate il 17 settembre. Una scommessa dall’esito incerto.
Non è mai sembrato destinato alla mediocrità Benjamin Netanyahu. Nato a Tel Aviv nel 1949 e cresciuto negli Stati Uniti (dove il padre Benzion, ebreo di origini polacche, era professore di storia), al termine delle scuole superiori arriva per Bibi il momento di rientrare in Israele per il servizio militare dove, dopo l’addestramento di base, viene selezionato per entrare in una unità di élite. È il Sayeret Matkal, un reparto specializzato in recupero ostaggi e operazioni di raccolta di intelligence dietro le linee nemiche. Netanyahu rimarrà nel Sayeret Matkal per cinque anni, partecipando a numerose operazioni tra cui la liberazione degli ostaggi del volo SN 571, durante la quale viene ferito a una spalla.
Nel 1972 completa il servizio militare e torna negli USA per gli studi universitari. Quattro anni dopo, l’esercito israeliano completa con successo un’altra missione di recupero ostaggi, l’Operazione Entebbe, che però si lascia dietro una vittima: Yonatan Netanyahu, fratello maggiore di Benjamin, anche lui in servizio nel Sayeret Matkal. Saputo della morte di Yonatan, Benjamin interrompe gli studi e rientra in Israele dagli USA, dove nel frattempo si era laureato in architettura e management al MIT di Boston e stava preparandosi a iniziare un dottorato in scienze politiche. È il 1976 e Netanyahu è alla vigilia dell’inizio della sua carriera politica.
Dopo un breve passaggio nel mondo della consulenza al Boston Consulting Group, Netanyahu fonda nel 1978 un centro di ricerca su temi di sicurezza e antiterrorismo, dedicandone il nome al fratello ucciso. Già nel 1982 l’inviato israeliano negli Stati Uniti Moshe Arens propone a Netanyahu di fargli da vice ambasciatore; Bibi accetta. Due anni dopo, a 35 anni, Netanyahu viene nominato ambasciatore di Israele alle Nazioni unite. Nel 1988 Netanyahu viene eletto alla Knesset, il Parlamento israeliano. Netanyahu diventa ben presto una figura chiave all’interno di Likud, il partito di centro-destra fondato da
Menachem Begin, e nel 1996 viene eletto primo ministro di Israele: Bibi è il più giovane premier ad assumere la carica e il primo a essere nato nello Stato di Israele. Tre anni dopo Netanyahu perde le elezioni, restando comunque parte dei successivi esecutivi come ministro degli esteri e delle finanze, tornando poi premier nel 2009. Verrà rieletto primo ministro nel 2013 e nel 2015. Nel frattempo, le relazioni tra israeliani e palestinesi diventano sempre più tese: sotto il comando di Netanyahu, l’IDF porta a termine diversi interventi nella Striscia di Gaza, tra cui le operazioni Colonna di nuvola nel 2012 e Margine di protezione nel 2014; la risposta della popolazione della Striscia culmina con le proteste della Marcia del ritorno, che per sei mesi trasforma ogni venerdì il confine con Israele in un teatro di scontro. Alle elezioni del 2019, nonostante le indagini per corruzione e frode che lo riguardano, la rielezione di Bibi sembra a portata di mano; quest’ultima volta, però, i seggi di Likud sono insufficienti a dare la fiducia a Netanyahu, che non riesce a raccogliere l’appoggio esterno dei partiti ultraconservatori ed è costretto a convocare elezioni anticipate.
È difficile sottostimare l’influenza che Netanyahu ha avuto sull’opinione pubblica e nell’agone politico israeliano e regionale. Per i più anziani tra gli elettori israeliani, Bibi è stato il primo ministro che ha spostato sempre più a destra le posizioni di Likud e il baricentro del dibattito pubblico; molti tra i più giovani semplicemente non sanno immaginare quale altro nome possa avere il loro premier. Per gli arabi israeliani, Netanyahu è l’uomo che ha sdoganato la loro discriminazione dichiarando che Israele “non è lo Stato di tutti i suoi cittadini”. Per i palestinesi, è l’uomo che ha reso quasi impossibili i negoziati di pace, chiedendo condizioni considerate inaccettabili per la costituzione di un futuro Stato palestinese e rivendicando la sovranità su parte della West Bank.
Per l’Iran e l’Unione europea, è stato una delle voci che hanno convinto Washington a sfilarsi dall’accordo sul nucleare iraniano. Per gli USA, Netanyahu è stato alternativamente un ostacolo nel cercare di stabilizzare la regione e uno stretto alleato, a cui Donald Trump ha concesso il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Per gli analisti, è il premier che ha smentito l’assunto secondo cui Israele avrebbe potuto prosperare solo ammorbidendo il proprio atteggiamento verso gli altri Paesi della regione. Dal canto suo, “Re Bibi” continua a presentarsi come il guerriero che mantiene Israele al sicuro in un Medio Oriente sempre più instabile; le elezioni diranno in quanti ne sono ancora convinti.