venerdì, 29 Novembre 2024

Clima, le conclusioni della COP26 deludono le associazioni ambientaliste. “Ma la direzione è giusta”

[ REDATTORE SOCIALE ]

Una sostanziale delusione di fondo, ma anche la consapevolezza di aver intrapreso la strada giusta. Questa potrebbe essere la sintesi delle reazioni delle associazioni ambientaliste alle conclusioni della COP26 di Glasgow sul clima. Reazioni diverse, che prendono spunto da un testo finale considerato assai lontano dalla perfezione. Ma per alcuni si tratta comunque di un punto di partenza importante, per altri di un tradimento delle aspettative dei giovani e, più in generale, dell’intera umanità.

E’ il caso, quest’ultimo di Amnesty International. La cui segretaria generale, Agnès Callamard, afferma: “Dopo due settimane di negoziati, la conferenza sul clima Cop26 si è risolta in un tradimento catastrofico nei confronti dell’umanità”. Per l’organizzazione, insomma, invece di proteggere le persone più danneggiate dall’emergenza climatica, i leader mondiali hanno ceduto agli interessi dell’industria del fossile e ad altri potenti attori economici.
“La Cop26 non ha prodotto un risultato in grado di proteggere il pianeta e le persone che lo abitano – aggiunge la segretaria di Amnesty International -. Ha tradito le fondamenta su cui sono state edificate le Nazioni Unite. I negoziati si sono conclusi con decisioni che ignorano, demoliscono o barattano i nostri diritti, soprattutto quelli delle comunità più marginalizzate al mondo, trattate come danni collaterali sopportabili”.

“Il mancato impegno a mantenere l’aumento della temperatura globale entro un grado e mezzo condannerà oltre mezzo miliardo di persone, soprattutto nel Sud del mondo, a contare su insufficienti quantità di acqua e centinaia di milioni di persone a temperature estreme. Nonostante questo disastroso scenario, gli stati ricchi non si sono impegnati a destinare fondi per risarcire le comunità che hanno subito perdite e danni a seguito del cambiamento climatico. Né si sono impegnati a destinare finanziamenti a fondo perduto per affrontare la crisi climatica ai paesi in via di sviluppo, col risultato che gli stati più poveri e con meno risorse per contrastarla si ritroveranno alle prese con un insostenibile livello di debito – ha aggiunto Callamard -.

È amaro constatare come le tante scappatoie contenute nell’accordo finale della Cop26 favoriscano gli interessi delle imprese fossili e non i nostri diritti. Il documento finale non menziona l’uscita dal fossile, dimostrando quella mancanza d’ambizione e di azione così necessaria in questo periodo drammatico. Inoltre, l’attenzione destinata alla compensazione per gli stati ricchi che a un certo punto usciranno dal carbone ignora le possibili conseguenze per i popoli nativi e le comunità che rischiano di essere sgomberati per favorire i meccanismi di compensazione. Siamo di fronte a un’inaccettabile ripiego rispetto all’obiettivo di zero emissioni”.

“Le decisioni prese dai nostri leader a Glasgow comportano gravi conseguenze per tutta l’umanità – ha concluso Callamard -. Ma siccome loro hanno dimenticato le persone che dovrebbero servire, allora le persone devono mettersi insieme per mostrare loro cosa può essere raggiunto. Nei prossimi dodici mesi dobbiamo restare uniti per chiedere ai nostri governi di assumere iniziative ambiziose che abbiano le persone e i diritti umani al loro centro. Se non uniremo cuori e menti per risolvere questa minaccia esistenziale all’umanità, perderemo tutto”.

Il Wwf: “Testo lontano dalla perfezione, ma la direzione è giusta”


“Siamo venuti a Glasgow aspettandoci dai leader globali un accordo che prevedesse un cambio di passo nella velocità e nella portata dell’azione climatica. Anche se questo cambio di passo non è arrivato, e il testo concordato sia lontano dalla perfezione, ci stiamo muovendo nella giusta direzione”. Così una nota del Wwf, secondo cui “i governi dovevano fare progressi per risolvere tre grandi lacune: la mancanza di obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve periodo, la mancanza di regole per fornire e monitorare i progressi fatti, e l’insufficiente finanziamento all’azione climatica necessaria per indirizzare il mondo verso un futuro più sicuro”. Il Wwf riconosce che alcuni progressi sono stati fatti: “Ora i Paesi hanno nuove opportunità per realizzare ciò che sanno che deve essere fatto per evitare la catastrofe climatica. Ma se non faranno leva sull’attuazione concreta dell’azione per il clima e non mostreranno risultati sostanziali, la loro credibilità sarà sempre a rischio”.

“La COP26 – continua il Wwf – si è conclusa con decisioni deboli in una serie di aree importanti, tra cui l’adattamento, il cosiddetto Loss and Damage (perdite e danni) e la finanza climatica. Occorre però riconoscere che nel testo ci sono degli appigli significativi che i paesi possono sfruttare per aumentare le proprie ambizioni climatiche a breve termine e per implementare politiche climatiche vincolanti. Questa COP per la prima volta menziona i sussidi ai combustibili fossili in un testo finale approvato. Questo è un elemento importante, così come il riconoscimento della necessità di accelerare gli investimenti in energia pulita, garantendo allo stesso tempo una giusta transizione”.

Il primo testo è stato ben accolto dal Wwf, che però è rimasto profondamente deluso dall’annacquamento del linguaggio sul carbone che è passato da phase-out a phase-down per un singolo paese, l’India. Sottolinea ancora l’organizzazione ambientalista: “Sono necessari un linguaggio forte, nonché scadenze e modi di operare chiari se si vuole raggiungere la transizione necessaria da tutti i combustibili fossili. I paesi sanno che non si potrà mai risolvere la crisi climatica senza una profonda decarbonizzazione in ogni settore, azioni concrete per fermare la perdita della natura, e un restauro su larga scala”. Il WWF “accoglie con favore la richiesta di un’accelerazione a breve termine degli impegni per il clima entro il 2022. Siamo nel mezzo di un’emergenza climatica, ma ancora in tempo. Con un riscaldamento ben al di sopra dei 2°C, secondo recenti analisi, il futuro sarà catastrofico per milioni di persone e per la natura.

I paesi devono raggiungere collettivamente il 50% di riduzione di CO2 entro il 2030 e innalzare i propri impegni di conseguenza nel 2022 rispettando l’obiettivo di 1,5°C. È importante il fatto che il testo finale riconosca il ruolo critico della natura nel raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C, incoraggi i governi a incorporare la natura nei loro piani climatici nazionali e stabilisca un dialogo annuale sugli oceani per la mitigazione basata sugli oceani”.

Legambiente: “L’accordo di Glasgow è inadeguato”

“L’Accordo di Glasgow è inadeguato a fronteggiare l’emergenza climatica soprattutto per le comunità più vulnerabili dei paesi poveri, ma si mantiene ancora vivo l’obiettivo di 1.5°C”. Così Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente ha commentato l’intesa firmata a Glasgow che per l’associazione ambientalista non è delle migliori. “Tra i punti dolenti – continua Ciafani – c’è la questione cruciale dell’abbandono dei combustibili fossili affrontata in maniera inadeguata, anche se la loro strada è ormai segnata. E il fatto che non sia stato fatto nessun passo in avanti sulla creazione del fondo Loss and Damage Facility per aiutare i paesi poveri a fronteggiare la crisi climatica, e sui cui a Glasgow è mancato un forte impegno da parte dell’Europa. Per fronteggiare la crisi climatica e per centrare l’obiettivo di 1.5°C è fondamentale che tutti i paesi più avanzati, a partire dall’Italia, aumentino al più presto i propri impegni di riduzione delle emissioni climalteranti e garantiscano un adeguato sostegno finanziario all’azione climatica dei paesi più poveri”.


Il Glasgow Climate Pact purtroppo, spiega l’associazione ambientalista, ha rinviato al prossimo anno l’adozione della roadmap per ridurre le emissioni climalteranti al 2030 in linea con la soglia critica di 1.5°C. Sarà la COP27, che si tiene il prossimo anno in Egitto, a dover adottare la roadmap per dimezzare le attuali emissioni al 2030 attraverso la revisione annuale degli impegni di riduzione a partire dal 2022. Grazie anche alla riduzione graduale del carbone nelle centrali senza ccs ed all’eliminazione dei sussidi inefficienti alle fonti fossili, in modo da accelerare una giusta transizione energetica. Per la prima volta nei negoziati sul clima, con l’Accordo di Glasgow, si è affrontata la questione cruciale dell’abbandono dei combustibili fossili, anche se ancora in maniera inadeguata. Ma la loro strada è ormai segnata.


“Se si vuole per davvero fronteggiare l’emergenza climatica – spiega Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – va avviato al più presto il phase-out di tutti i combustibili fossili e dei loro incentivi. L’Europa deve fare da apripista cogliendo l’occasione della discussione in corso sul nuovo Pacchetto Clima ed Energia”.
Quanto al ruolo dell’Italia, per Legambiente il nostro Paese deve contribuire a centrare l’obiettivo di 1.5°C aumentando il suo impegno di riduzione delle emissioni al 2030 attraverso la revisione del Piano Nazionale Integrato Clima ed Energia (PNIEC).

Infatti, l’attuale Piano consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990. Serve una drastica inversione di rotta. “Si deve aggiornare al più presto il PNIEC – conclude Ciafani – per garantire una riduzione delle nostre emissioni climalteranti, in linea con l’obiettivo di 1.5°C, di almeno il 65% entro il 2030. Andando quindi ben oltre l’obiettivo del 51% previsto dal PNRR e confermando il phase-out del carbone entro il 2025 senza ricorrere a nuove centrali a gas.

L’Italia ha a disposizione ben 70 miliardi, allocati dal PNRR per la transizione ecologica, da investire per superare la crisi pandemica e fronteggiare l’emergenza climatica, attraverso una ripresa verde fondata su un’azione climatica ambiziosa, in grado di colmare i ritardi del PNIEC ed accelerare la decarbonizzazione dell’economia italiana in coerenza con l’obiettivo di 1.5°C dell’Accordo di Parigi”.

Greenpeace: “Accordo debole, manca di coraggio”

“L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5°C è appeso a un filo ma è stato dato un chiaro segnale: l’era del carbone è agli sgoccioli e questo conta. Mentre si riconosce la necessità di tagliare in modo drastico le emissioni già in questo decennio, gli impegni sono stati però rimandati al prossimo anno. I giovani cresciuti con la crisi climatica non potranno tollerare altri rinvii. Perché dovrebbero quando lottano per il loro futuro?”. Lo ha dichiarato Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. Che ha aggiunto: “Il vertice di Glasgow avrebbe dovuto impegnare i governi a ridurre le emissioni di gas serra per restare al di sotto di 1,5°C, ma non è andata così e nel 2022 dovranno tornare al tavolo dei negoziati con obiettivi più ambiziosi.

Tutto quello che siamo riusciti a ottenere è stato solo grazie ai giovani, ai leader indigeni, agli attivisti e ai Paesi più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche impegno concesso a malincuore. Senza di loro, questi negoziati sarebbero stati un completo fallimento. Il nostro clima – continua Morgan – un tempo stabile, è stato profondamente alterato, come dimostrano ogni giorno gli incendi, gli uragani, la siccità e la fusione dei ghiacciai. Il tempo è scaduto e per la nostra stessa sopravvivenza dobbiamo mobilitarci urgentemente con tutte le nostre forze affinché si ponga fine all’era dei combustibili fossili”.

“La COP26 ha fatto qualche progresso nell’adattamento ai cambiamenti climatici: i Paesi sviluppati – prosegue Morgan – hanno finalmente cominciato ad ascoltare le richieste dei Paesi in via di sviluppo, aumentando i finanziamenti necessari per affrontare l’aumento delle temperature. È stato riconosciuto che i Paesi più vulnerabili stanno già subendo perdite e danni reali a causa della crisi climatica, ma quel che è stato promesso non si avvicina neppure a ciò che sarebbe necessario. Questo problema deve essere in cima all’agenda dei Paesi sviluppati alla COP che l’anno prossimo si terrà in Egitto”.
E ancora: “La parte del testo sull’eliminazione graduale del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili è un debole compromesso, ma si tratta comunque di un passo avanti, e l’attenzione data alla necessità di una transizione equa è essenziale.

La richiesta di ridurre le emissioni del 45% entro la fine di questo decennio è in linea con ciò che occorre fare per rimanere al di sotto di 1,5°C e questo accordo riconosce la scienza. Ma dovrà essere implementato. La truffa delle compensazioni delle emissioni viene purtroppo agevolata dall’accordo di Glasgow, con la creazione di nuove e intollerabili scappatoie che mettono in pericolo la natura, i popoli indigeni e l’obiettivo stesso di limitare le temperature a 1,5°C.

Il segretario generale delle Nazioni Unite ha annunciato che un gruppo di esperti esaminerà il mercato delle misure di compensazione, ma – conclude Morgan – resta ancora molto lavoro da fare per porre fine al greenwashing e agli imbrogli che avvantaggiano i grandi inquinatori”.

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