Come sarà l’estate? Molti siti meteo in questi giorni si lanciano in previsioni stagionali. “In Italia – scrive un sito molto quotato mentre lampeggiano pubblicità di vario tipo – l’estate 2018 non apparterrebbe a quelle roventi dal momento che l’anticiclone africano avrebbe un’azione limitata; le fasi molto calde non sarebbero infatti durature. Nel contempo non sarebbe un’estate particolarmente secca dal momento che sarebbero attese delle fasi instabili sia in avvio sia in chiusura di stagione”.
Se vi siete fatti un’idea avete fantasia. La Sibilla cumana, sacerdotessa di Apollo (“Ibis redibis non moriebis”), era più esplicita. Tutto dipende da dove si mettono le virgole ma la Sibilla detestava la punteggiatura. In ogni caso, per prudenza, sovrasta il testo del sito meteo commerciale questa cauta avvertenza: “Si tratta di scenari, previsioni sperimentali non utili per pianificare attività umane”. L’espressione “previsioni sperimentali” suona come un ossimoro: l’esperimento è in questo caso soltanto un modello, un algoritmo che qualche computer ha fatto girare; ma da quali dati è partito?
Stiamo vivendo la tipica “mezza stagione” di una volta. Più fresca che calda, alternanza frequente di precipitazioni, passaggi veloci di nuvole. Le piogge sono nella norma o poco sopra. A Torino maggio si conferma come il mese più piovoso. Tutte cose che non fanno notizia. Notizia è annunciare come sarà l’estate 2018. Purtroppo l’atmosfera è un sistema caotico, le previsioni sono impossibili. Servono solo a moltiplicare i clic e a far lampeggiare pubblicità sullo schermo del vostro computer – perché, ricordiamolo, non esistono bar che diano panini gratis, ma sono i clic e la pubblicità a produrre il fatturato dei siti meteo privati.
Tutt’al più si può ragionare in termini di tendenze, e allora le ultime 10-20 estati effettivamente “sperimentate” dicono che il nostro pianeta sta attraversando un periodo gradualmente più caldo. Nulla impedisce però che la prossima sia una estate fuori tendenza. Inoltre si parla del pianeta Terra, rispetto al quale la superficie dell’Italia è circa un duemillesimo (la cosiddetta padania un cinquemillesimo).
Se volete farvi un’idea dello stato dell’arte delle conoscenze in fatto di cambiamenti climatici, leggete “L’uomo e la farfalla”, un libro di Filippo Giorgi appena pubblicato da Franco Angeli (148 pagine, 19 euro). La farfalla allude all’”effetto” omonimo e al titolo di una conferenza: “Il battito d’ali di una farfalla in Brasile può scatenare una tempesta in Texas”. Non è proprio così, ma la battuta rende bene l’idea, che risale a un articolo del 1962 nel quale l’informatico, matematico e meteorologo Edward Lorenz introdusse il concetto di caos deterministico dopo una simulazione al computer che rivelò gli “attrattori strani”. Filippo Giorgi è un esperto di modellistica climatica noto a livello internazionale, è responsabile della sezione di Fisica della Terra al Centro di fisica teorica di Trieste e, in quanto unico scienziato italiano incluso nell’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, nel 2007 ha condiviso il premio Nobel per la Pace con i colleghi del panel e il vicepresidente americano Al Gore.
L’anagrafe e il lavoro di giornalista scientifico hanno congiurato affinché potessi vivere da vicino il cambiamento climatico e le ricerche per studiarlo. Nel 1958, quando terminavo le scuole medie, nell’atmosfera c’erano 315 parti di anidride carbonica per milione. Oggi sono 406. Nel 1957-58, Anno Geofisico Internazionale, a Mauna Loa, isole Hawaii, Charles Keeling (1928-2005) raccoglieva i primi dati affidabili su questo gas a effetto serra, il secondo per importanza dopo il vapore acqueo, seguito al terzo posto dal metano. Ne è derivata quella che si chiama “curva di Keeling”. Tracciata in un grafico con sotto lo scorrere degli anni, è una linea in costante crescita, seghettata dalle lievi oscillazioni annuali dovute alla vegetazione (disegno in alto). Nel febbraio 1979, come inviato della “Gazzetta del Popolo”, ho seguito a Ginevra la prima Conferenza Mondiale sul Clima, voluta dalla lungimirante World Meteorological Organization, emanazione dell’ONU. Fu l’inizio degli eventi scientifici e politici che hanno portato all’attenzione di tutti l’emergenza climatica, da molti considerata il più importante problema a lungo termine che l’umanità si trovi ad affrontare.
Filippo Giorgi ricostruisce nitidamente i settant’anni di studi sull’effetto serra e sul cambiamento climatico. Lo fa con la forza dei numeri e la prudenza dello scienziato, temperando l’una con l’altra e spiegando i complessi meccanismi di feedback positivo che assecondano la spinta al riscaldamento (tra gli altri, la fusione dei ghiacci polari, le emissioni di metano e CO2 liberate dal disgelo del permafrost, le perturbazioni della circolazione termo-alina in quel grande termostato che sono gli oceani). Di qui in poi, esistono decine di modelli per estrapolare i dati noti fino al 2100 e oltre tenendo conto delle diverse politiche che a livello planetario si potranno seguire. E nelle “politiche” sta il punto meno prevedibile: basta pensare al presidente americano Trump che vuole considerare carta straccia gli accordi di Parigi firmati nel 2015 da 192 paesi (cioè tutti).
Se non ci saranno le azioni coordinate decise a Parigi, l’aumento di temperatura prevedibile a livello globale sarà di quasi 5 gradi, la fusione dei ghiacci polari porterà alla scomparsa della calotta artica, alla riduzione di quella antartica e di conseguenza alla salita del livello del mare di circa un metro. A questi cambiamenti si accompagneranno quelli sulle risorse idriche, sulla biodiversità e sulle terre coltivabili, con annessi “rifugiati climatici”, mentre si infittiranno gli eventi meteorologici estremi a causa della maggiore energia termica accumulata nell’atmosfera. Il traguardo più ambizioso fissato a Parigi – aumento della temperatura globale inferiore e 2 gradi nel 2100 – è già adesso irraggiungibile.
Chiudendo il libro di Filippo Giorgi, il lettore ne trae un effetto collaterale importante: la consapevolezza della complessità di discipline come la meteorologia e la climatologia, e non cadrà più tanto facilmente nelle previsioni stagionali di questo o quel sito, questo o quel giornale. A lettura finita sapremo parecchie cose in più sulla macchina del clima, ma anche su quante cose ancora si ignorano. Del resto siamo di fronte a scienze giovani. Ce lo racconta un altro bel libro, “La conquista della meteorologia” di Peter Moore (Nutrimenti, 530 pagine, 20 euro). Del 1803 è la prima classificazione delle nuvole, opera di Luke Howard, del 1823 il primo libro moderno di meteorologia, opera di John Frederic Daniell, nel 1861 compare per la prima volta l’espressione “previsioni meteorologiche”.