Nel mondo disgregato l’Italia deve guardare al proprio cortile. La politica estera non ci vede più (in realtà non ci ha mai visto) come protagonisti di primo livello nella politica mondiale. Però abbiamo per decenni mantenuto un profilo alto, politicamente e militarmente, grazie alla partecipazione a missioni delle Nazioni Unite che ci vedono ai primi posti da contributori dei caschi blu del Palazzo di Vetro, così come nelle missioni della Nato e multinazionali in aree lontane (che diventano remote in un pianeta sempre più spezzettato). Anche perché ormai la potenza corre non sui cingoli dei carri armati, ma sui binari delle strade ferrate e nel cavo degli oleodotti.
In Africa, per dire, quel po’ di influenza che l’Italia mantiene la deve in gran parte alla presenza diffusa e spesso capillare dell’ENI. Il ri-dispiegamento dei nostri militari all’estero, annunciato e quantificato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti in una recente audizione in Parlamento, risponde alle nuove direttive del Libro Bianco della Difesa e alla rimodulazione di quelle che sono le priorità strategiche dell’Italia: Mediterraneo e Africa.
In Iraq la nostra presenza sarà dimezzata, e diminuita quella in Afghanistan dove abbiamo 900 militari. Aumenterà invece in Libia, fino a 400 uomini. Libano e Kosovo sono i nuovi confini dell’impegno italiano. Cui dovranno aggiungersi i 470 militari della costituenda missione italiana in Niger, con il compito di sentinelle dei confini e deterrenza rispetto al fenomeno delle migrazioni gestite e sfruttate dai trafficanti di esseri umani.
Gli organismi internazionali si ridimensionano invece di includere. Gli Stati Uniti abbandonano alcune agenzie dell’ONU. L’Unione Europea che è arrivata al massimo del suo allargamento, si richiude con l’uscita della Gran Bretagna. Nascono o acquistano peso nuove entità prima marginali, come il G5 Sahel che diventa decisivo per il controllo dei flussi di migranti illegali e le infiltrazioni jihadiste.
La nuova ambizione dell’Italia è quella di una maggiore efficacia nella gestione delle minacce dirette, come fattore di stabilizzazione di un’area limitata ma per noi vitale: il Mare Nostrum e la sua “estensione” africana. La Libia resta il vero buco nero, e gli scontri di questi giorni all’aeroporto di Tripoli, una vera e propria battaglia con molti morti, dimostra che la situazione resta caotica, soggetta a improvvise accelerazioni di guerra. E che quello che ai tempi di Gheddafi era per noi un caposaldo e un ingresso robusto nell’economia nord-africana, rimane un’incognita e un’insidia.
Essere ambiziosi, oggi, significa in primo luogo avere coscienza dei limiti della propria influenza e dell’opportunità di delimitare il campo del proprio intervento: restare aggrappati all’interesse nazionale diretto.