È la politica internazionale il piatto forte del Consiglio europeo straordinario che si tiene oggi e domani a Bruxelles. Sul tavolo, la questione dell’avvelenamento del politico d’opposizione russo Alexei Navalny, le proteste in Bielorussia, i rapporti con la Cina e la Turchia e la crisi nel Mediterraneo orientale, sino al riaccendersi del conflitto in Nagorno-Karabakh. Una lista talmente lunga e complessa da risultare scoraggiante se non fosse che elenca appena quanto accaduto fuori dal nostro giardino di casa negli ultimi sei mesi. Per questo, come ha spiegato il presidente Charles Michel nella lettera di convocazione ai capi di stato e di governo, il vertice Ue dovrà concentrarsi “sulla capacità dell’Europa di forgiare il suo stesso destino”, mentre ai suoi fianchi si moltiplicano le sfide diplomatiche. Ammesso che ci riesca e che superi le divisioni che si agitano tra i paesi membri.
La Cina e gli altri. Un’agenda fitta?
Nella lettera di invito ai leader europei, il presidente Michel elenca le numerose questioni all’ordine del giorno. In cima alla lista e in apertura dei lavori, però, c’è la Cina. Michel sottolinea che l’Europa “desidera insistere su un rapporto economico più equilibrato e reciproco, garantendo parità di condizioni. Inoltre, [continuando] a promuovere i nostri valori e standard”. In una bozza delle conclusioni del vertice, che i leader europei si troveranno sul tavolo, il Consiglio Europeo “sottolinea le sue forti preoccupazioni” per la situazione dei diritti umani in Cina e ad Hong Kong. Nel documento si “incoraggia” Pechino anche ad assumere “maggiori responsabilità” e “azioni più ambiziose” nella lotta ai cambiamenti climatici. E si conferma l’obiettivo di finalizzare entro la fine dell’anno l’accordo bilaterale sugli investimenti per superare “le attuali asimmetrie” nell’accesso al mercato cinese.
Inoltre, il Consiglio “condanna il tentativo di assassinio” di Alexei Navalny con il novichok e chiede la “piena collaborazione” delle autorità russe per assicurare un’indagine internazionale imparziale.
Recovery Fund: ospite inatteso?
Ma appena poche ore prima dell’apertura del consesso, sul Consiglio si abbatte la ‘tegola’ dello stato di diritto: la Commissione europea presenta il suo primo rapporto annuale sul tema e mette in evidenza le molte violazioni in paesi come Polonia e Ungheria. Il braccio di ferro tra il blocco di Visegrad e i paesi cosiddetti “frugali” sulla condizionalità dello stato di diritto legato al bilancio Ue rischia di allungare i tempi per il via libera definitivo alRecovery fund da 750 miliardi su cui i capi di stato e di governo europei hanno faticosamente trovato un’intesa a luglio. Ecco così che il piano per il rilancio economico dell’Unione a 27 potrebbe diventare un convitato di pietra al consiglio, tanto più che anche il Parlamento europeo avverte che dopo cinque cicli di incontri, i negoziati sono a un punto morto.
Turchia, partner difficile?
Altre due questioni diplomatiche rischiano di ‘incrociarsi’ pericolosamente: Turchia e Bielorussia. L’Unione Europea ha rifiutato di riconoscere Alexander Lukashenko come legittimo presidente della Bielorussia a seguito delle contestate elezioni di agosto e di una brutale repressione delle manifestazioni di protesta. Delusa dal debole sostegno europeo nella sua situazione di stallo con la Turchia nel Mediterraneo orientale, dove le navi turche continuano a perforare i fondali ciprioti, Nicosia ha annunciato che non approverà ulteriori sanzioni contro il regime bielorusso finché Bruxelles non mostrerà maggiore fermezza nei confronti di Ankara. Paralizzata tra l’incudine e il martello di fronte a una Turchia che moltiplica le provocazioni – il suo coinvolgimento nel Nagorno-Karabakh a fianco dell’Azerbaijan rischia di diventare un’altra spina nel fianco europeo – l’Unione dovrà approfittare di questo incontro per trovare una sola voce con cui discutere con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Di tutti quelli posti sul tavolo, il dossier Turchia – un partner commerciale, un interlocutore sulla questione migratoria e un membro Nato – si rivela, ancora una volta, il più spinoso.
Ironia della sorte, i nodi europei arrivano al pettine proprio poche ore dopo il surreale dibattito Trump-Biden, a testimonianza della deriva in cui si trova lo storico alleato americano, punto di riferimento dell’Europa nel mondo. Nelle cancellerie europee ci si domanda se cambierà qualcosa con una vittoria di Joe Biden, certo, ma si fa fatica ad immaginare un ritorno della leadership Usa sul palcoscenico internazionale dall’oggi al domani. Per evitare di continuare a procedere in ordine sparso, l’Europa deve puntare ad un’autonomia strategica basata sui pilastri di stabilità, standard e valori. Per ottenerla bisogna superare ostacoli radicati, come la regola dell’unanimità nelle decisioni di politica estera. Pronti a collaborare con tutti, ma in modo autonomo. Una sfida che siamo lontani dall’aver già vinto.
Il commento
Di Valeria Talbot, co-head area Mena, ISPI
“Due giorni fa Erdogan ha inviato un messaggio distensivo, aprendo ad un dialogo senza precondizioni sulla questione delle acque contese nel Mediterraneo Orientale. Questa volta la minaccia di sanzioni da parte di Bruxelles sembra aver ottenuto i risultati sperati, ma la Ue, più prima che poi, dovrà decidere cosa fare del suo rapporto con Ankara”.
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A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications)