Si chiama contact tracing e potrebbe aiutare nella lotta al Coronavirus. Tanto che anche l’Italia sta pensando di adottare questa nuova tecnologia per il tracciamento dei contagi a livello nazionale, seguendo il modello della Corea del sud. L’esecutivo pochi giorni fa ha infatti lanciato una call per selezionare i migliori progetti in merito. Sono arrivati sul tavolo del ministero dell’Innovazione più di 300 progetti di app per il tracciamento dei contagi da coronavirus. Applicazioni che si basano sulla geolocalizzazione e sui Big Data.
Contact tracing, oltre i Big Data
Tracciare gli spostamenti delle persone è però contrario alla normativa sulla privacy ed è possibile solo andando in deroga al diritto del singolo cittadino. Si tratterebbe tuttavia di un caso eccezionale, dettato anche dall’esigenza di seguire le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha spiegato come per combattere il virus occorra “trovare il contagiato, isolarlo, testarlo, trattare ogni caso e tracciare ogni contatto”. In questo contesto le autorità nei prossimi giorni potrebbero chiedere agli operatori mobili ma anche ad alcune piattaforme come Google o Facebook di mettere a disposizione i dati in loro possesso, con un grosso risparmio di risorse umane per le forze dell’ordine. Per passare dalla teoria ai fatti servirebbe però un decreto specifico del governo e un commissario che si assuma la responsabilità di una gestione anonima dei dati.
Il sistema coreano
Ma andiamo con ordine. Il modello da seguire secondo diversi esperti del Politecnico di Milano e dell’Università Bocconi è quello coreano. Il governo sudcoreano da settimane utilizza dati raccolti dalle reti cellulari, dai sistemi GPS, dalle transazioni effettuate con carta di credito e dalle telecamere di videosorveglianza per tracciare gli spostamenti della popolazione. Nello specifico il Korean Center for Disease Control (Kcdc) ha organizzato un sistema di raccolta di dati imponente.
Si tratta di mettere insieme informazioni geolocalizzate per il tracciamento dei contatti di chi ha contratto il virus. Oltre che dei potenziali contagiati e dei viaggiatori che entrano nel paese. Il meccanismo è semplice. Tutti devono scaricare una app sul telefono per riportare volontariamente ogni giorno eventuali sintomi e la propria posizione. In sostanza: test mirati, rapidi e precoci. Il Kcdc è così in grado di effettuare fino a 20.000 test rapidi al giorno. Chi ha sintomi viene testato a casa e, in caso di contagio, curato in isolamento (per evitare che contagi la sua famiglia). Nessuno viene stato lasciato a casa a guarire da solo. Grazie al sistema di tracciamento, tutti i contatti dei contagiati sono rintracciati e testati rapidamente.
L’esperimento in Lombardia
Negli ultimi giorni è stata avviata una prima sperimentazione del contact tracing in Lombardia. La Regione più colpita dal virus ha reso disponibile l’applicazione allertaLOM, sviluppata dalla holding regionale Aria Spa, per raccogliere informazioni sul grado di contagio della popolazione. Lo sviluppo dell’applicazione è stato possibile grazie alla collaborazione tra l’infettivologo Raffaele Bruno e il virologo Fausto Baldanti del Policlinico San Matteo e dell’Università di Pavia. Una volta scaricata l’utente compila un questionario nel quale dichiara l’età, la condizione medica, il tragitto per andare in ufficio ed eventuali sintomi. Un primo passo verso l’applicazione del contact tracing a tutto lo Stivale? Forse. Nel mentre il Garante della privacy, Antonello Soro, ha ribadito l’esigenza di una norma adeguata al tempo di Covid-19.
Diana Cavalcoli
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