mercoledì, 27 Novembre 2024

Cosa cambia per l’Italia con la riforma del Patto di stabilità

Dario Prestigiacomo [ EUROPA TODAY ]

Più tempo per ridurre il debito pubblico, ma tetti su spese e impegni su riforme che rischiano di replicare gli scontri con i falchi dell’austerity.

Sospeso per tre anni in seguito alla pandemia, il Patto di stabilità e crescita tornerà in vigore ufficialmente nel 2024. Ma potrebbe avere una nuova veste: dopo mesi di negoziati, la Commissione europea ha presentato la sua proposta di riforma delle regole che governano la spesa pubblica degli Stati membri. Regole che per anni sono state accusate, in particolare dall’Italia, di essere state un cappio al collo che ha bloccato la crescita e l’occupazione. Ma per i cosiddetti Paesi frugali, dalla Germania all’Olanda, queste regole sono considerate come una garanzia di stabilità dei conti, soprattutto di quelli degli Stati ad alto debito pubblico, visti come delle ‘cicale spendaccione’ che, quando le cose vanno male, bussano alle porte delle ‘formiche’, per chiedere il denaro dei loro contribuenti. A prescindere dalle posizioni nell’Ue, resta il fatto che con le crisi scoppiate già prima del Covid, buona parte degli economisti ha sentenziato che il Patto, così come è concepito, non funziona. E Bruxelles sta provando a cambiarlo. Con una proposta che, però, potrebbe non risolvere le divisioni interne al blocco.

Le regole attuali

Il Patto di stabilità nella versione attuale prevede che gli Stati membri mantengano un rapporto tra spesa annuale in deficit (cioè superiore alle entrate fiscali) e Prodotto interno lordo (Pil) pari al 3% e un rapporto tra debito pubblico e Pil pari al 60%. La critica maggiore al Patto ha riguardato soprattutto il secondo parametro: i Paesi che superano la soglia del 60% devono impegnarsi in un percorso di riduzione del debito che prevede un taglio del 5% all’anno. Questo percorso è stato considerato irrealistico da raggiungere per chi, come l’Italia, ha un debito pubblico grande oltre due volte il parametro di riferimento (134%). A meno di non voler mettere mano a una lunga stagione di tagli alla spesa pubblica e riforme lacrime e sangue come quella che ha visto la Grecia sull’orlo del fallimento. 

La pandemia di Covid-19, che ha fatto ingigantire i debiti di tutta l’Ue, ha reso ancora più evidente il limite di questa regola. Ma cambiare i due parametri su deficit e debito pubblico avrebbe richiesto una modifica dei Trattati, ossia aprire il vaso di pandora delle divisioni politiche tra gli Stati membri, con la concreta prospettiva di non raggiungere un accordo in tempi rapidi. Viste le nuove sfide che l’Europa ha di fronte (ripresa post pandemia, transizione ecologica e digitale, riassetto degli equilibri geopolitici, tensioni tra Cina e Usa, tanto per citarne alcune), avere un Patto più adatto ai tempi che corrono è diventato un imperativo un po’ per tutti. Da qui il via libera alla riforma, a cui si è cominciato a lavorare già prima del Covid-19.

La riforma

I negoziati sono andati avanti per anni, e adesso siamo ai round finali. La proposta di oggi della Commissione Ue ha provato a fare sintesi tra le posizioni dei vari governi. Come dicevamo, i due parametri su deficit e debito non possono essere toccati, ma Bruxelles propone di cambiare il modo in cui conteggiare le spese degli Stati e il percorso per raggiungere tali parametri. La parola d’ordine è credibilità: tra i fallimenti del Patto nella versione attuale, c’è infatti anche quello di essersi trasformato in uno strumento complesso (i calcoli sui deficit annuali hanno goduto di ampia discrezionalità politica) e pressoché inattuato nel concreto. Per esempio, nonostante le ripetute violazioni delle regole, nessun Paese è stato mai sanzionato con la ‘multa’ prevista in questi casi, ossia un’ammenda pari allo 0,1% del Pil. Semmai la sanzione reale (non scritta nelle regole) è stata quella di scatenare aspri scontri politici tra Bruxelles e alcune capitali, come Roma, con effetti negativi per gli Stati interessati sul fronte della stabilità sui mercati (si pensi allo spread).

Un piano specifico per Paese

La Commissione vuole superare tutte queste criticità dando più tempo ai Paesi per ridurre il loro debito pubblico, ma anche stabilendo regole più semplici da rispettare per raggiungere tale obiettivo. Innanzitutto, per i calcoli del deficit si prenderà come riferimento la spesa primaria netta, ossia quanto spende ogni Stato al netto di quanto paga per gli interessi sul debito (nel 2021, tali interessi hanno pesato per circa 60 miliardi sui conti italiani, tanto per avere un’idea). In compenso, scompaiono le cosiddette ‘golden rule’, ossia non verranno più decurtate dal conteggio una serie di investimenti, come quelli per la transizione ecologica per esempio. 

Secondo aspetto importante: per ciascuno Stato membro, Bruxelles tratterà “un unico piano a medio termine” adattato alle caratteristiche del Paese, che prevede “un maggiore margine di manovra nella definizione dei propri percorsi di aggiustamento di bilancio”, ma anche “impegni di riforma e investimento” che, una volta presi, dovranno essere rispettati. Per ciascuno Stato membro con un disavanzo pubblico superiore al 3% del Pil o un debito pubblico superiore al 60% del Pil (il nostro caso), la Commissione pubblicherà una “traiettoria tecnica” specifica. Ogni Paese avrà quattro anni per attuare il suo percorso di aggiustamento: niente più bracci di ferro anno per anno, insomma, come richiesto dall’Italia. Ma nel compiere questo percorso, il Paese dovrà rispettare una serie di parametri tecnici, onde evitare che il tempo in più concesso non si trasformi in un modo per sfuggire agli impegni (una preoccupazione sollevata dai frugali).

Il nodo dei parametri tecnici

Sono proprio questi parametri a rischiare di far scatenare le polemiche tra i governi Ue e mettere a rischio la riforma. Nei giorni scorsi, la Germania aveva presentato un documento in cui chiedeva che i Paesi ad alto debito pubblico lo riducano di almeno un 1% del Pil all’anno e che le loro spese annuali restino inferiori sempre di un 1% del Pil rispetto alla loro crescita potenziale. Se tali parametri fossero stati adottati nel 2022, l’Italia avrebbe dovuto tagliare la sua spesa pubblica di 20 miliardi in un solo anno.

Ecco perché la Commissione ha cercato una via di mezzo tra le pressioni di Berlino e quelle italiane. Lo schema funziona così: chi ha un debito pubblico alto, si impegna con Bruxelles per ridurlo in quattro anni. Potrà farlo mantenendo il rapporto tra deficit e Pil (quindi la spesa annuale) sotto il 3%, oppure, se dovesse superarlo, tagliano il debito pubblico dello 0,5% del Pil all’anno (e non l’1 come chiedeva la Germania). Fin qui, sembra che la Commissione abbia sposato le istanze italiche. Ma nel pacchetto c’è anche un terzo parametro: lo Stato con debito eccessivo avrà un obbligo di mantenere la spesa annuale al di sotto della crescita potenziale del Pil. È quanto propone Berlino, solo che a differenza del documento tedesco, qui Bruxelles non specifica di quanto questa spesa debba stare al di sotto della crescita potenziale.

I rischi per l’Italia

Ma anche senza seguire alla lettera la richiesta della Germania, questo parametro potrebbe ‘punire’ l’Italia. Per fare un esempio pratico, possiamo prendere come riferimento il 2024, l’anno in cui tornerà in vigore il Patto di stabilità: secondo le ultime previsioni di Bruxelles, il prossimo anno il Pil dell’Italia crescerà solo dell’1%. Questo vuol dire che oltre l’1% del Pil, il governo Meloni non potrà allargare i cordoni della borsa. Altro che tetto del 3%. 

Cosa succederà poi se non rispettano le regole? “Per gli Stati membri che devono far fronte a notevoli problemi di debito pubblico, le deviazioni dal percorso di aggiustamento di bilancio concordato porteranno automaticamente all’apertura di una procedura per i disavanzi eccessivi”, avverte Bruxelles. “Il mancato rispetto degli impegni di riforma e di investimento che giustificano una proroga del periodo di aggiustamento di bilancio potrebbe comportare una riduzione del periodo di aggiustamento”, aggiunge la Commissione. In compenso, in caso di fattori esterni come una pandemia o una guerra come quella in Ucraina, Bruxelles potrebbe dare più tempo ai Paesi. 

Dario Prestigiacomo

[ EUROPA TODAY ]