giovedì, 28 Novembre 2024

Così la guerra civile sull’aborto negli Usa fa il gioco di Cina e Russia

Federico Rampini [ CORRIERE DELLA SERA ]

La sentenza che cancella il diritto federale all’aborto darà sostegno all’idea che l’America è una nazione lacerata, e rafforzerà l’analisi del campo anti-occidentale, da Putin a Xi

La storica sentenza della Corte suprema che cancella il diritto costituzionale all’aborto – rinviando la questione alle legislazioni statali o al Congresso – darà nuovo sostegno all’idea che l’America è una nazione lacerata, dilaniata da una sorta di guerra civile a bassa intensità.

È una vicenda che inevitabilmente rafforza l’analisi del campo anti-occidentale.

Xi Jinping e Vladimir Putin convergono nella loro descrizione della democrazia americana come di un sistema malato, moribondo, cassa di risonanza di una società civile sull’orlo del caos, incapace di produrre decisioni forti e governabilità stabile.

Ironia della sorte: fino a pochi anni fa in Cina si potevano operare degli aborti di Stato imposti forzosamente, con metodi polizieschi, su quelle donne che non applicavano la legge del figlio unico. Poi: contrordine compagni, il crollo della natalità ha spinto Xi Jinping nella direzione opposta e ora il regime di Pechino difende a modo suo «il diritto alla vita» perché cerca di incentivare la natalità, senza riuscirci davvero. Ma nulla in Cina o in Russia assomiglia lontanamente a quello «scontro di civiltà» che si consuma tra le due Americhe, quella pro-choice (favorevole al diritto di scelta delle donne, se desiderano interrompere la gravidanza) e quella pro-life che considera un infanticidio eliminare un feto.

Putin e Xi possono gongolare nella previsione che l’aborto, insieme con l’inflazione o il diritto alle armi, spodestano l’Ucraina nell’attenzione degli americani e rendono più precario in prospettiva perfino il consenso bipartisan sull’aiuto a Kiev.

Una guerra di religione agita l’America dagli anni Ottanta, e stavolta vede prevalere la destra. Purtroppo il clima rovente attorno alla sentenza della Corte suprema – preannunciata già da molte settimane – lascia il paese alla mercé delle posizioni più estreme da ambo le parti. Mentre nella società civile americana ci sarebbe spazio per le sfumature.

La questione del «diritto alla vita del feto» spacca in due gli Stati Uniti ma attraversa anche le coscienze più progressiste. Un esempio di sincera incertezza lo dà una intellettuale di sinistra, laica e femminista, Katie Roiphe che dirige un programma di giornalismo alla New York University. Commentando le contro-riforme antiabortiste più recenti, la Roiphe ricorda di aver letto ai suoi studenti un saggio del romanziere David Foster Wallace sul tema «L’autorità e il suo uso in America».

Lì si è imbattuta in questo passaggio: «L’unica posizione coerente consiste nell’essere sia pro-life sia pro-choice (cioè difendere sia il diritto alla vita del feto, sia la libertà di scelta della donna, ndr). C’è una saggezza basilare e indiscutibile in questo principio: di fronte al dubbio insolubile se qualcosa è un essere umano oppure no, è meglio non ucciderlo. Perciò ogni americano ragionevole deve essere pro-life. Al tempo stesso abbiamo questo principio: di fronte al dubbio insolubile su qualcosa, non ho il diritto morale o legale di dire a un’altra persona ciò che deve fare. È parte del patto democratico che noi americani abbiamo stretto fra noi. E questo mi sembra richieda a ogni americano ragionevole di essere pro-choice».

La Roiphe si sofferma su questa possibilità di capire e condividere le idee dell’altra parte, di prenderle sul serio, di esaminarle fino in fondo, per poi trarne le proprie conclusioni senza perciò nutrire disprezzo o sdegno o furia verso chi raggiunge conclusioni diverse. «Questo – osserva la docente – sembra bizzarro e stravagante nel clima attuale. Possiamo contemplare la possibilità che qualcuno dall’altro lato, qualcuno che non la pensa come noi, sia in buona fede e non pazzo o stupido o malvagio?»

La Roiphe da femminista scopre le sue carte: «Sono sempre stata a favore dell’aborto, ma mi chiedo come definire un feto. Non riesco a pensare un feto di 14 settimane come un grumo di cellule. Avendo visto, in un’ecografia, battere il cuore di un feto di otto settimane, sento una simpatia segreta verso l’interpretazione che quello è vita».

Un’altra celebre «femminista critica», la scrittrice Caitlin Flanagan, è sulla stessa lunghezza d’onda: «La verità è che gli argomenti a favore di ciascuna tesi sono forti, e se tu non lo riconosci allora non stai affrontando seriamente la questione dell’aborto».

Le posizioni della Roiphe e della Flanagan sono minoritarie. Se mai un giorno dovessero prevalere, questa sì sarebbe una rivoluzione americana. La Roiphe commenta con amarezza: «Mi interrogo su questo approccio filosofico in generale. Sarebbe nel nostro interesse prendere seriamente in considerazione gli argomenti più forti della parte avversa? Che sconvolgimento ne risulterebbe nel nostro paesaggio politico? Forse Twitter fallirebbe all’istante? L’identità politica appassionata che molti di noi esibiscono, è basata sulla contrapposizione noi contro loro, i sani di mente contro i pazzi, noi speranza dell’umanità contro loro spazzatura della terra. C’è un’oscura lotta faziosa per impadronirsi della gloriosa, ambigua, pericolosa nozione di libertà».

Nel frattempo tutti i regimi autoritari del pianeta si godono lo spettacolo di un’America che spende le sue energie migliori a combattere contro se stessa.

Federico Rampini
[ CORRIERE DELLA SERA ]