“La scuola è fallita. Il ministro Valditara si può mettere tranquillo: il suo compito è quello del magistrato del tribunale di fallimento». Le aggressioni, fisiche e verbali, a professoresse e professori sono ormai diventate parte della quotidianità nelle aule scolastiche di tutto il Paese.
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Cosa c’è che non va, nelle nostre classi e nei nostri giovani? Ne abbiamo parlato con lo psichiatra Paolo Crepet.
«Siamo al secondo episodio in un anno, prima Rovigo e ora Abbiategrasso, di studenti che aggrediscono con un’arma i loro professori. Centinaia presi a botte. Quali sono le conseguenze di questi episodi? Nessuna, solo che centinaia di “avvocati” mono neurali sono dedicati alla difesa del bullo, del teppista, di chi fa ciò che non è tollerabile fare. Abbiamo un problema di educazione, non di disagio. Il disagio nasce dalla totale vacuità in cui crescono questi ragazzi. La scuola non deve essere una psicoterapia di massa. Appena ieri il ministro Valditara ha rassicurato i maturandi, l’esame quest’anno sarà “una chiacchierata”. Ma perché, che senso ha? Con il 99 per cento dei promossi, il ministro Valditara sente ancora il bisogno di rassicurare? Il fallimento della scuola non è solo colpa sua, ma sua e dei tanti e delle tante che sono arrivati prima di lui. Certo lui non si distingue per discontinuità».
A che cosa ha rinunciato la scuola?
«La scuola non deve istruire, ma educare, tirar fuori talento, capacità e aspirazioni. Pochi giorni fa abbiamo celebrato i cento anni della nascita di don Lorenzo Milani, uomo libero e meraviglioso. La sua scuola era un presidio contro la miseria, quella di oggi dovrebbe essere un presidio contro il privilegio. Perché i genitori di oggi rinunciano ad educare i propri figli non perché vanno in miniera, ma a giocare a padel».
Non sono però due episodi isolati che possono definire una generazione, non le pare?
«Dire che sono casi singoli è una penosa bugia. Anche perché l’atto del singolo diventa virale, viene ripreso dai social. È il classico sasso in uno stagno. Non tutti prenderanno il fucile, ma a tutti sarà chiaro che la scuola è un bersaglio mobile, da prendere in giro».
Una richiesta- appello è arrivata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da Alessandra De Fazio, presidente del consiglio degli studenti di Unife. «Non siamo più disposti ad accettare senso di inadeguatezza, depressione o perfino suicidi a causa delle condizioni imposte da un sistema malato che baratta la persona per la performance» ha detto la studentessa. Cosa ne pensa?
«I disturbi mentali sono comunicazione: se parlo di depressione, allora avrò moltissimi depressi. Trent’anni fa scrissi un libro sui suicidi giovanili. Da allora non sono mai aumentati, il numero è sempre lo stesso, troppo alto: sono due al giorno. Ma contarli non serve a niente. Come non serve a niente trasformare la scuola in un centro d’ascolto. Sentiamo in continuazione dire che gli studenti universitari sono stressati. Ma di cosa, vorrei sapere. Non ce la fanno più. Ma di che, di studiare? Quello devono fare, quello è il loro mestiere. Il problema è che molti gli danno pure retta. Così il rischio è di crescere migliaia di pirla, pronti ad andare a piagnucolare da schiere di psicoterapeuti che sono felici di avere un cliente in più. Ci sono ragazzi e ragazze e che invece stanno protestando per il diritto allo studio e alla casa, a me questa sembra la meglio gioventù».
Dove sbagliano genitori e insegnanti?
«Se prima di andare a scuola mi fanno lo zainetto, se ho insomma dei genitori che da sempre fanno tutto per me, durante l’adolescenza alla prima frustrazione crollo. Tantissimi genitori vengono da me dicendo “non gli abbiamo mai fatto mancare niente”. L’unico risultato è che abbiamo abbassato la loro capacità di aggredire l’esistenza. Ora invece di fare i conti con la mala educazione, preferiamo dare la colpa alla pandemia. Mi scrivono molte persone, tra le mail ricevute negli ultimi tempi ricordo quella di una professoressa. Mi ha scritto che i suoi studenti, otto volte su dieci, quando devono compilare il campo data e ora le chiedono che giorno è. Il registro elettronico, la chat dei genitori, la possibilità di geolocalizzare i figli sono potentissimi strumenti di de responsabilizzazione. Ma poi cosa ci aspettiamo? Che a 25 anni vadano in Argentina in cerca di fortuna? Restano a casa, il loro futuro è mettere l’appartamento del nonno in affitto su booking, che per quello non servono competenze».
Come genitori stiamo sempre appiccicati a loro, ma allo stesso tempo li lasciamo soli?
«Da una parte, togliamo. Li lasciamo nel vuoto pneumatico. Abbiamo buttato il napalm su buonsenso, formazione e merito. E al contrario con cosa si nutre la generazione dei giovani e pure quella dei loro genitori? Dell’influencer che insegna il corsivo e di quella che mostra le chiappe. Bisogna dire le cose come stanno, anche se non è sempre simpatico. Io non sono ministro, nessuno me l’ha chiesto e nessuno me lo chiederà mai. Ma a Valditara invece sì. Allora anche per lui è arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità».
NADIA FERRIGO
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