Mentre le due anime del Governo gialloverde continuano a litigare praticamente su tutto, il leader degli industriali lombardi lancia un j’accuse pieno di rabbia (“Un anno perso”), elencando tutti i fallimenti dell’esecutivo. Dal Pil al Fisco, dall’occupazione al digitale, ecco l’Abc della crisi economica italiana.
Il Pil, la crescita zero virgola e l’export
Italia a quota zero crescita o 0,1. È questo quello che ci dobbiamo attendere per il 2019. L’ultimo bollettino della Banca d’Italia, infatti, stima anche per il secondo trimestre una crescita praticamente in stagnazione. E vale poco evocare che anche la Germania è in frenata (comunque sia allo 0,5%), perché questo è un altro fattore che indide negativamente su di noi. Da sottolineare, per dare un indicatore dello stallo della produzione e dell’export, che nel secondo trimestre 2019 l’indice Ucimu (Unione costruttori italiani macchine utensili) degli ordini di macchine utensili ha segnato un calo del 31,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente con un deciso arretramento nella raccolta di ordinativi sia sul mercato interno (-43%) sia sul mercato estero (-28,5%). Da più osservatori il Decreto crescita e quello Sblocca-cantieri vengono considerati inefficaci rispetto agli obiettivi indicati dal governo.
Occupazione, restiamo maglia nera
Secondo gli ultimi dati Istat, l’Italia è scesa sotto la soglia di disoccupazione del 10%, al 9,9. Ma restiamo ben al di sopra della media della Ue a 28 Paesi, che si ferma al 6,3%. A stare peggio di noi, con livelli di disoccupazione sopra il livello indicato, sono solo Spagna e Grecia. Ma in entrambi i Paesi il ritmo di riduzione della disoccupazione è più veloce che da noi.
Ma il caso italiano presenta anche altre fragilità . La Cassa integrazione straordinaria nei primi sei mesi del 2019 è tornata a salire del 41,88%, specie nell’industria e nell’edilizia, con 139mila lavoratori a zero ore. E non basta. Se si aggiunge all’andamento Cigs il dato di maggio relativo alle richieste di Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego), si vede che sono a quota 104.800, cioè +1,3% sull’anno. Senza contare il calo delle ore lavorate pro capite nell’ultimo decennio e il boom del part-time involontario cresciuto dal 15 al 20% per cento negli ultimi anni.
Tasse record: +314 euro per abitante
La Flat tax è tutta di là da venire. Quel che è certo è che nei primi mesi dell’anno in corso la pressione fiscale è salita, secondo i dati Istat, dal 37,7 al 38%. E questo sicuramente per effetto del rallentamento della crescita del Pil, ma anche perché si sono rivelate non efficaci le poche misure pro-imprese inserite nella legge di Bilancio per il 2019. D’altra parte, lo stesso valore della pressione tributaria è considerato ben più alto rispetto a quanto indicato dall’Istat. Un recente report di Confartigianato, per esempio, ci definisce come “primi tartassati d’Europa“.
In pratica, paghiamo 19 miliardi di tasse in più rispetto alla media dell’Eurozona, pari a un maggior prelievo di 314 euro per abitante. Non solo: sulla competitività delle nostre imprese, così come nelle buste paga dei nostri lavoratori, pesa “anche” un cuneo fiscale e contributivo da paura, pari al 47,9%, vale a dire 11,8 punti in più della media Ocse.
Disoccupazione giovanile: a casa uno su due al Sud
Disoccupazione giovanile al top, con un ragazzo su due che non lavora (tasso di disoccupazione record del 51,9%), e Pil pro capite in picchiata, con un tracollo del 10% negli ultimi dieci anni: sono i due dati che hanno spinto Confindustria e Confcommercio a lanciare un grido di dolore sullo stato di crisi profonda del Sud. A indicarlo sono i ricercatori del Check-up Mezzogiorno di luglio 2019. I disoccupati totali sono circa un milione e 500mila, molti di più sono gli inattivi. Il tasso di attività si ferma al 54% e quello di occupazione al 43,4%, con gli occupati tornati sotto la soglia dei 6 milioni nel primo trimestre dell’anno. Non basta. Rispetto ai 300 mila residenti in meno in Italia, nei soli ultimi tre anni 2015-18, oltre 222 mila sono venuti meno al Sud. Ha, infine, smesso di crescere il numero delle imprese: dopo molti trimestri di aumento, infatti, nei primi mesi del 2019 le imprese attive risultano meno di un milione e 700mila, come un anno fa.
Agenda digitale, sos fondi europei
L’iltimo allarme sull’arretratezza digitale del nostro Paese è arrivato da Confindustria Digitale. L’indice Desi della Commissione europea, che indica lo stato di attuazione dell’Agenda Digitale, da un quinquennio colloca l’Italia agli ultimi posti in classifica Ue, e nel 2019 ci siamo ritrovati al 24esimo. Da noi ci si ferma ad appena 85 euro per cittadino di spesa pubblica per il digitale, a fronte dei 186 della Francia, 323 del Regno Unito e 207 della Germania.
Per raggiungere i livelli Ue, gli investimenti pubblici dovrebbero raddoppiare a 10-11 miliardi di euro l’anno. Le risorse messe a disposizione dall’Europa (2014-2020) per l’Agenda Digitale ammontavano a 3,1 miliardi di euro. Sono stati presentati 16.855 progetti, dei quali è stato concluso solo il 13%, mentre è in corso il 73% e non risulta avviato il 12% (dati OpenCoesione). Mancano meno di 18 mesi alla fine del 2020 e di quei miliardi stanziati da Bruxelles c’è il rischio che vada bruciato circa il 50%.