C’è un’operazione in corso all’interno dei Cinque Stelle. Una grande, orchestrata e pianificata campagna mediatica per far passare un concetto: Marcello De Vito, presidente dell’assemblea capitolina finito in manette per tangenti sul nuovo stadio, è solo una mela marcia.
Un intruso. Un corpo estraneo.
Una solenne menzogna. Perché De Vito, ora scaricato come un pacco dai vertici del Movimento, era espressione del Movimento stesso. Assolutamente organico ai papaveri pentastellati, ortodosso, allineato con i duri e puri della prima ora. Ossessionato da tutte le parole d’ordine dei grillini: legalità, trasparenza, lotta alla corruzione e alla casta. Bellissime parole, a quanto pare tutte disattese. Almeno a giudicare dalla reazione di Di Maio che lo ha immediatamente espulso, al di fuori di ogni regola del partito.
Ma basta dare un’occhiata agli ultimi spot elettorali di De Vito, per capire di avere davanti un grillino doc. Il tutto condito da una esibita ostilità nei confronti di tutte le grandi opere. Per poi – scherzo del destino – scivolare su quelle medie, come lo stadio della Capitale. A dimostrazione che il problema non è la dimensione di quello che si vuole costruire, ma la statura di chi presiede quei lavori. Bastano un piccolo uomo e un politico meschino per fare una grande truffa con un’opera modesta. E neppure i Cinque Stelle sfuggono a questa regola.
Con gli arresti di Roma hanno definitivamente perso la loro verginità, è crollato il mito di una presunta superiorità morale e financo antropologica. «Questa congiunzione astrale… è tipo l’allineamento della cometa di Halley, hai capito? Cioè è difficile secondo me che si riverifichi così… e allora noi, Marcè, dobbiamo sfruttarla sta cosa, secondo me, cioè guarda… ci rimangono due anni», si dicono al telefono l’avvocato Camillo Mezzacapo e Marcello De Vito, con un linguaggio astrale involontariamente ironico. E di fatto inserendo anche la corruzione nel firmamento fondato da Grillo e Casaleggio. E, ad essere malevoli, i sondaggi dimostrano che il Movimento non è lontano dalla sua notte di San Lorenzo.
Non solo, avvisiamo il partenopeo Di Maio che bollare come mela marcia, come metastasi isolata senza pericolo di contagio, il compagno di partito che sbaglia, porta iella. E non esistono gesti apotropaici per scongiurarla. Lo insegna la storia recente. Dietro a un corrotto molto spesso se ne nasconde un altro, e così via. Il 17 febbraio 1992, il socialista Mario Chiesa, allora presidente del Pio Albergo Trivulzio, venne colto con le mani nella marmellata: una mazzetta di sette milioni di lire. Bettino Craxi lo definì: «un mariuolo isolato». Da quella stecca nacque l’inchiesta Mani pulite. Il sassolino che preludeva una valanga. E sappiamo tutti che fine hanno fatto Craxi e il Partito socialista.