martedì, 26 Novembre 2024

“Debito pubblico peggio che nella Seconda Guerra Mondiale”

Francesco Spini (LA STAMPA)

Il debito pubblico italiano, quella mole da 2.316,7 miliardi di euro (così a fine dicembre), è sempre al centro delle cronache finanziarie. Più ancora che il numero assoluto, conta la sua sostenibilità. E in questo soccorre un altro numero, ossia il rapporto tra debito e pil, il prodotto interno lordo. Al momento è pari al 132,1% ma presto, con la crescita zero potrebbe superare il 133%. Lo si legge in una ricerca presentata in occasione della trentesima edizione del Workshop Ambrosetti di Cernobbio in cui c’è un avvertimento per chi non sentisse l’urgenza di invertire la marcia: l’attuale rapporto debito/pil è solo a 18 punti «dal livello massimo raggiunto nell’economia post bellica del 1920 ed è del 22% superiore al picco raggiunto nella Seconda Guerra Mondiale».

Tutti si chiedono se sia possibile una riduzione significativa del rapporto debito/pil. Per trovare la risposta bisogna andare in Belgio, dove fra il 1993 e il 2007 tale rapporto è stato ridotto di ben 51,1 punti percentuali, passando dal 138,1 all’87%. Si può fare: per scendere mediamente di 3,7 punti l’anno serve un flusso costante di avanzi primari e per questo serve la crescita, mica quella stentata dell’Italia. Il Belgio in quegli anni ha visto il pil salire in media del 2,4% all’anno. In più è stato aiutato da una invidiabile stabilità politica: in 14 anni si sono susseguiti 4 governi. Nel contempo tali governi hanno aumentato l’Iva, le tasse sui capitali e sulle proprietà, oltre che le accise. Ma hanno diminuito al ribasso le imposte sulle persone e sulle imprese. Ma soprattutto sono riusciti nella mission impossible di tagliare la spesa pubblica, scenda dal 56,8% del pil al 48,2%.J

Non è mica solo il Belgio. L’Irlanda tra il 1994 e il 2006 ha ridotto il rapporto debito/pil di 69,2 punti dal 94,1% al 24,9%; la Danimarca tra il ’94 e il 2007 lo ha tagliato di 53,2 punti, dall’80,1 al 26,8%; in Olanda la sforbiciata è stata di 25,6 punti, dal 76,1 al 50,5%. Lo studio conclude ricordando le due strade per ridurre il magico numerello: aumentare le entrate o diminuire le uscite. Ma aumentare le tasse «ha tipicamente un effetto recessivo: i vantaggi derivanti dal maggior avanzo primario sarebbero vanificati dalla minor crescita». Resta la riduzione delle spese che è «una strada più auspicabile», anche aumentando gli investimenti e contenendo la spesa corrente. Missione non impossibile, ma quasi, se parliamo dell’Italia.

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