lunedì, 25 Novembre 2024

DESTINAZIONE JIHAD: I FOREIGN FIGHTERS D’ITALIA

Francesco Marone e Lorenzo Vidino (ISPI)

Negli ultimi anni migliaia di foreign fighters sono partiti da più di 100 paesi per unirsi a gruppi armati, specialmente di matrice jihadista, in Siria e Iraq e in altri teatri di guerra. Il fenomeno ha interessato anche l’Italia, anche se in misura assai più ridotta rispetto ad altri paesi europei: i foreign fighters d’Italia sono, infatti, circa 130. Quali sono le caratteristiche socio-demografiche di questi individui? Dove risiedevano? Facevano parte di network estremistici in Italia e in Europa? Quale ruolo hanno assunto nell’area del conflitto? Quanti sono già ritornati? Esistono profili comuni? Questi sono solo alcuni degli interrogativi a cui questo Rapporto ISPI cerca di dare una risposta. Tramite un’analisi dettagliata dei profili dei foreign fighters legati all’Italia, sulla base di informazioni originali, vengono messe in evidenza, per la prima volta, le peculiarità dell’intero contingente nazionale, anche grazie al confronto con gli altri paesi occidentali.

Executive summary

I conflitti degli ultimi anni in Siria e Iraq e in Libia hanno attratto decine di migliaia di foreign fighters che si sono recati in quei paesi per unirsi alle fila del cosiddetto Stato Islamico e di altri gruppi armati. Nonostante il numero sia significativamente inferiore rispetto a quello di altri paesi europei, il problema dei combattenti stranieri (e della minaccia che possono rappresentare) riguarda anche il nostro paese. Secondo recenti dati ufficiali, gli individui legati all’Italia sono 129 (a fronte dei circa 1.900 partiti dalla Francia e quasi mille dalla Germania e dal Regno Unito). Il presente studio ha esaminato in maniera dettagliata i profili di 125 individui con legami con l’Italia che si sono recati in aree di guerra dall’inizio dei conflitti legati alle cosiddette Primavere Arabe (Siria, Iraq e Libia) fino a ottobre 2017, attraverso l’analisi di informazioni fornite in esclusiva dal Ministero dell’Interno.

Il database dei 125 individui analizzati è principalmente composto da soggetti che si sono uniti a formazioni estremiste come lo Stato Islamico, Jabhat al-Nusra e altri gruppi jihadisti minori, ma include anche una piccola schiera di soggetti che sono entrati a far parte dell’Esercito Libero Siriano e di altre fazioni non riconducibili all’ideologia jihadista (sono esclusi soggetti unitisi a formazioni curde). Nel complesso, i profili tendono a riflettere alcuni tratti tipici della scena jihadista in Italia, composta per buona parte da immigrati di prima generazione (nati e cresciuti all’estero), ma anche da un numero crescente di estremisti autoctoni (homegrown) – ovvero “immigrati di seconda generazione” e convertiti di origine italiana.

In termini di residenza dei soggetti in Italia, il fenomeno dei foreign fighters riguarda principalmente il Nord e il Centro e, in particolare, la Lombardia – una distribuzione geografica non dissimile da quella mostrata tradizionalmente dalla scena jihadista italiana in generale. È interessante notare che, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, i foreign fighters legati all’Italia non provengono prevalentemente da metropoli o grandi centri urbani.

In particolare, l’analisi ha evidenziato i seguenti punti.

  • Il 90,4% dei foreign fighterslegati all’Italia (113 su 125) è di sesso maschile.
  • L’età media al momento della partenza era di 30 anni. Il soggetto più giovane incluso nella lista è una ragazza di 16 anni residente all’estero, mentre il combattente con l’età più elevata è un cittadino marocchino di 52 anni. Occorre notare che la lista del Ministero dell’Interno non include soggetti con età inferiore ai 14 anni.
  • A differenza di quanto avviene in altri paesi dell’Europa occidentale, la maggior parte dei foreign fighterslegati all’Italia è nata all’estero: in particolare, 40 individui sono nati in Tunisia, 26 in Marocco, 14 in Siria, 6 in Iraq, 11 in paesi dell’Europa occidentale e 11 in paesi della regione balcanica. Soltanto 11 individui (pari all’8,8% del totale) sono effettivamente nati in Italia.
  • Per quanto riguarda la cittadinanza, ancora una volta in controtendenza rispetto a molti altri paesi europei, soltanto una minoranza di 24 foreign fightersè di nazionalità italiana (il 19,2% del totale, includendo anche 10 soggetti con doppia cittadinanza), mentre la maggior parte proviene da paesi del Nord Africa (50,4%). Il 16% ha un passaporto siriano o iracheno[1] e il 9,6% ha nazionalità di paesi balcanici. Sono presenti anche un cittadino statunitense e uno francese.

Al di là della cittadinanza formale, un ampio numero di foreign fighters legati all’Italia è di origini straniere. Il 66,4% è infatti composto da  immigrati di prima ge- nerazione (nati e cresciuti all’estero), di cui almeno tre naturalizzati.  Gli “immigrati di seconda generazione” rappresentano almeno il 16,8% del totale.

  • Per quanto riguarda le residenze degli individui, si può sostenere che, nel complesso, la questione dei foreign fightersriguardi principalmente il Nord e il Centro del paese. Tra le regioni spicca nettamente la Lombardia (31,7% degli 82 individui associati a un luogo di residenza) – comunque la regione italiana più popolosa in generale –, ma si registrano presenze significative anche in Emilia Romagna (12,1%) e in Veneto (10,6%). Tra le province, si conferma la  rilevanza dell’area di Milano (13,4%). Una parte minoritaria, ma non trascurabile, dei soggetti era  residente all’estero.
  • Solo il 35,2% dei foreign fighterslegati all’Italia era coniugato al momento della partenza per l’area del conflitto.
  • Il 44,8% del totale era impiegato in lavori di carattere manuale in senso lato, l’8% aveva un  lavoro d’ufficio, l’2,4% era composto da studenti e il 34,4% risultava disoccupato.
  • Le informazioni sull’istruzione dei foreign fighterslegati all’Italia sono disponibili per 81 individui. Di questi, l’87,7% aveva un livello di istruzione che  si può definire basso, mentre solo il restante 12,3% aveva un livello che può essere caratterizzato  come medio-alto.
  • L’11,2% del totale dei foreign fighterslegati all’Italia era composto da convertiti all’Islam. È interessante notare che i convertiti, per quanto minoritari,  appaiono sovra-rappresentati rispetto al corrispondente peso nella più ampia popolazione  musulmana residente in Italia.
  • Il 46,4% del totale dei soggetti ha frequentato almeno  occasionalmente  un  determinato  luogo di culto islamico, mentre per il 9,6% non risulta alcuna frequentazione. Per il 44% non sono disponibili informazioni.
  • Il 44% dei 125 soggetti possedeva precedenti penali (non necessariamente connessi ad attività estremistiche) prima della partenza per l’area del conflitto.
  • Il 22,4% del totale dei soggetti aveva trascorso un periodo in carcere prima della partenza per l’area del conflitto (non necessariamente per reati connessi ad attività estremistiche). Tra questi si ricorda, in particolare, il ben noto Moez al-Fezzani, figura chiave della galassia jihadista italo-tunisino-libica, nonché reclutatore di diversi militanti in Italia.
  • Non meno del 42,4% di tutti i soggetti aveva qualche forma di connessione nota con altri foreign fightersprovenienti dall’Italia. Almeno il 24% degli individui presenta qualche forma di connessione nota con gruppi estremistici in Italia e in Europa.
  • La destinazione più popolare tra i foreign fighterslegati all’Italia è soprattutto la Siria, paese verso il quale è partito l’88,8% del contingente complessivo, mentre il 5,6% si è recato in Libia e il 2,4% direttamente in Iraq. Il picco delle partenze si è registrato nel biennio 2013-2014, periodo durante il quale è partito il 49,6% dei soggetti.
  • In termini di affiliazioni a gruppi armati nell’area del conflitto (in alcuni casi, multiple), 76 individui hanno aderito (almeno per un certo periodo) al cosiddetto Stato Islamico; 18 si sono uniti a Jabhat al-Nusra, organizzazione originariamente associata ad al-Qaeda (oppure ai suoi successori); 5 sono entrati a far parte dell’Esercito Libero Siriano; 31 hanno operato (anche) con altre formazioni minori (Jaysh al-Islam, Suleiman Fighting Company, ecc.).
  • Dei 125 foreign fightersalmeno il 33,6% è deceduto, mentre ad aprile 2018 il 19,2% è già ritornato in Europa (il 9,6%, in particolare, in Italia). Si ritiene per almeno il 24% dei soggetti l’attività sia ancora in essere nell’area del conflitto, benché le informazioni al riguardo siano piuttosto incerte.
  • Non risulta che alcun foreign fighterpresente nella lista ufficiale italiana sia stato coinvolto attivamente nel supporto e tantomeno nell’esecuzione di attacchi terroristici in Occidente. Nondimeno, secondo le informazioni disponibili, per almeno tre individui esistono alcune indicazioni, per quanto parziali, relative a un interesse nella pianificazione di attacchi in Occidente.

Note

[1] Una minoranza dei soggetti è quindi ritornata in patria per combattere e non potrebbe essere ricondotta alla categoria del foreign fighter in senso stretto, proprio perché in questi casi manca il carattere dello “straniero” (foreign).

CODICE ETICO E LEGALE