I concetti politici di destra e sinistra, dalla loro prima formazione concreta sino all’epoca contemporanea, hanno avuto così tante rielaborazioni e mutamenti, si sono confrontati con così tante vicende politiche e sociali, hanno vissuto una storia così travagliata a livello mondiale, che le loro sfumature di significato si sono enormemente ampliate e i loro contenuti sono stati parzialmente stravolti; così, si va oggi sempre più diffondendo un pensiero trasversale, che va da partiti post-ideologici come il Movimento 5 Stelle a pensatori molto ideologici come Costanzo Preve, che dichiara il superamento della dicotomia destra-sinistra, intese come categorie non più attuali per leggere la complessa realtà politica odierna.
Chi scrive è convinto che questo pensiero sia fondamentalmente errato; e che esso stia prendendo piede nel nostro scenario politico, sociale e teorico per motivi ben identificabili: 1. la possibilità, da parte di certi partiti, di estendere il loro bacino elettorale il più possibile, sacrificando la visione di fondo che i partiti tradizionali avevano; 2. la speranza, da parte di altri partiti, di evitare lo stigma associato oggi ai movimenti di estrema destra o di estrema sinistra; 3. infine, da parte di certi analisti, la volontà di appiattire il dibattito e di evitare una riflessione ben più profonda e rigorosa sul cambiamento di queste categorie nella realtà odierna, così da poter fondere idee di sinistra con idee di destra in calderoni ben poco convincenti.
Una breve panoramica delle forme che ha assunto questa dicotomia nel mondo politico renderà auto-evidente la tesi proposta. I concetti di destra e sinistra, per come si intendono oggi, risalgono alla collocazione dei conservatori e dei radicali nell’emiciclo dell’assemblea del Terzo Stato agli Stati generali francesi del 1789. Ma, in verità, una più o meno netta dicotomia tra i conservatori e i radicali, o tra i sostenitori dell’assolutismo e i sostenitori della libertà, si può ritrovare in qualsiasi società storica che abbia acquisito forme di organizzazione politica, e diviene sempre più evidente con il procedere della storia. I movimenti cristiani eretici e radicali formatisi nel medioevo (tra cui spiccano i taboriti), le ribellioni dei contadini nel Sacro Romano Impero nel XVI secolo e la guerra civile inglese sono tappe storiche fondamentali per la formazione di un pensiero che oggi non esiteremmo a definire di sinistra. Se dovessimo far rientrare questi movimenti in un’unica definizione, il compito sarebbe ben più facile di quello che a prima vista potrebbe sembrare; poiché è stata la Rivoluzione francese stessa, con tutte le sue tendenze più progressiste, a riassumere in sé il radicalismo dell’antichità e del medioevo e a riplasmarlo alla luce della modernità.
Sicché, potremmo dire che i movimenti padri e generatori della moderna sinistra si potrebbero riassumere nelle famose parole: libertà, uguaglianza, fratellanza. I movimenti politici, economici, sociali, intellettuali, che perseguivano tali ideali erano progressisti e radicali, mentre i movimenti che difendevano l’assolutismo e il classismo erano conservatori. La storia politica degli ultimi secoli ha arricchito enormemente gli schieramenti di destra e sinistra, ma ha lasciati intatti i loro nuclei fondamentali; così, se è vero che oggi, in luogo di parlare di destra e di sinistra, sarebbe più opportuno parlare di destre e di sinistre, è anche vero che le prime si regolano tutte sul concetto di gerarchia (che sia per tradizione, per posizione economica o per merito), le altre sul concetto di eguaglianza (ovvero giustizia sociale).
La destra ha assunto diverse forme negli ultimi due secoli, anche contrastanti fra loro; forme che la politica contemporanea ha assorbito e sincretizzato, a seconda delle specificità della politica di ogni paese. Esiste innanzitutto la destra liberale, volta a tutelare la libertà del cittadino in ogni sfera della sua vita. Nella nostra Repubblica l’idea liberale ha come padre nobile Benedetto Croce, il quale ha elaborato un liberalismo (di centro-sinistra, e non di destra, come talvolta si sente ripetere) piuttosto diverso dal liberalismo classico dell’Italia monarchica; si tratta di una concezione della libertà quasi religiosa, ma fatta di una religiosità interamente terrena, che può essere desacralizzata in qualsiasi momento storico e che occorre preservare con tutti gli sforzi. Il nocciolo di questa concezione liberale è, oggi, presente in tutti i partiti di centrodestra e centrosinistra, in accordo con la stessa concezione crociana del liberalismo come concezione metapolitica e pre-partitica. Sennonché, la concezione crociana del liberalismo si presta a due diversi tipi di critica sostanziale, il primo da destra, il secondo da sinistra.
Per quanto riguarda le critiche da destra, è nota la distinzione che Croce opera tra liberalismo, concezione metapolitica ed etica della libertà generale, e liberismo, concezione politica della libertà economica, onde quest’ultimo concetto risulta di grado inferiore al primo. Si tratta di una distinzione ancora oggi di moda in Italia, ma che ha avuto una scarsissima diffusione all’estero (nonostante il tentativo di rilancio da parte di Sartori), dove non pare possa ambire ad acquistare dignità scientifica. La critica che è stata posta dinanzi questa distinzione riguarda il fatto che liberalismo e liberismo non possono essere separati, in quanto una società libera abbisogna egualmente sia della libertà politica sia della libertà economica. La correttezza di questa critica riguarda, in ultima analisi, ciò che propriamente si intende per libertà economica; ma al livello di scienza politica, è noto ormai che i concetti di liberalismo e liberismo siano indissolubilmente legati. Luigi Einaudi ha visto in questa distinzione, in questa subordinazione totale dell’economia e persino della politica all’etica, una pericolosa concessione allo Stato etico di natura fascista, o in generale alla statolatria tipica indifferentemente di fascismo e comunismo reale. Questa tesi einaudiana potrebbe darsi per comprovata empiricamente, dato che è noto come Croce appoggiò il fascismo fino almeno al 1924, anche dopo il rapimento di Matteotti.
Quanto alla critica proveniente dagli ambienti di sinistra, in particolare dagli esponenti del liberalsocialismo, essa è molto più logica e raffinata. Se infatti è corretto sostenere che il liberalismo, per coerenza verso i suoi fondamenti, deve conservare la libertà economica, allora si entra nel terreno dell’ambiguità e dell’incoerenza: perché la storia ci dimostra che, spesso, la maggiore libertà dell’imprenditore significa la minore libertà dei suoi lavoratori. Il liberalismo politico ed economico difende la proprietà assolutistica dei mezzi di produzione e di distribuzione, entrando così in una grave contraddizione. Così, appare chiaro come la libertà economica propugnata dal liberalismo non è quella libertà che ha scatenato le più grandi rivolte e rivoluzioni d’Europa, ma il privilegio delle classi dominanti. Una libertà assoluta, senza eguaglianza e giustizia, perde il suo significato: una società dove essa è concessa a sole poche persone, è una società tirannica; e una società dove essa è concessa a tutti, è a tutti gli effetti una non-società, un ritorno allo stato animale.
Vi sono poi due forme di destra classica piuttosto simili tra loro: la destra conservatrice, che si propone di conservare i valori esistenti della società, con particolare riguardo all’autorità, al nazionalismo e alla religione; e la destra reazionaria, che si pone contro i progressi che la nostra civiltà ha compiuto negli ultimi secoli: una destra, per esempio, propugnatrice della monarchia assoluta o contraria alla laicità. Si osservi come la destra conservatrice sia un’ideologia in costante movimento, dal momento che la società muta perennemente così come i suoi valori: i conservatori dell’Italia odierna sono molto più progressisti dei conservatori all’indomani della Rivoluzione francese. Non v’è bisogno di un esame critico di queste due fazioni, dal momento che appare evidente come esse si pongano contro il progresso che subiscono passivamente e che tendono a cristallizzare la società in forme che lo svolgersi della storia rende obsolete per forza di cose.
Vi è di seguito la destra sociale, la più vicina alla sinistra, una destra critica del capitalismo puro e più vicina ai lavoratori. In Italia, essa sorge sulle ceneri del Partito Fascista Repubblicano e del Movimento Sociale Italiano, che ne ha raccolto l’eredità. Essa sintetizza le rivendicazioni sociali con i temi classici della destra, la gerarchia, l’autorità, il nazionalismo, in un crogiolo di posizioni molto eterogeneo.
Infine vi sono le destre neofasciste e neonaziste, sparse su piccolissimi partiti in tutto il mondo e caratterizzate, nella quasi totalità dei casi, da un’incredibile confusione ideologica, dovuta specialmente al bilanciamento che esse sono costrette a fare tra l’eredità di movimenti criminali che esse rivendicano e il dover accettare – quantomeno formalmente – il valore della democrazia per poter partecipare alla vita politica dei paesi liberi; ma anche all’impreparazione dei membri, attratti da tali partiti per il fascino dell’estremismo in luogo di una seria volontà di contribuire al miglioramento di un paese.
Ora, la situazione politica è estremamente complessa perché nei movimenti politici non si vedono quasi mai questi modelli realizzati compiutamente; piuttosto, i partiti politici prendono a piene mani elementi di questo o di quel modello, così da creare una propria specifica identità. Così, in Italia, abbiamo un partito come Forza Italia aderente soprattutto alla destra liberale, ma con forti elementi di conservatorismo; abbiamo Fratelli d’Italia che appartiene alla destra conservatrice con elementi di destra sociale; infine abbiamo la Lega che coniuga in misure più o meno eguali liberalismo, conservatorismo e destra sociale. La grande preponderanza dell’elemento nazionalistico nel conservatorismo di Lega e Fratelli d’Italia è il fattore per cui tali partiti vengono definiti dai giornalisti, ma anche dagli stessi membri, sovranisti.
Il sovranismo non è che lo stadio più evoluto dell’imperialismo, quella ideologia che tra XIX e XX secolo ha contagiato in particolar modo Regno Unito, Francia, Italia e Germania e che ha portato morte e distruzione in Europa. Dinnanzi alla prospettiva della costruzione di una federazione europea che, insieme alla pace, porterebbe anche alla diminuzione dei poteri dei vecchi Stati nazionali, è così rinato l’imperialismo non più su basi militari, ma su fondamenti politici, economici ed identitari, che lo portano a rifiutare il cosmopolitismo, ad indebolire la laicità ed a rinforzare quella sorta di guerra civile perenne che in molti Stati, tra cui l’Italia, si combatte tra progressisti e conservatori.
Per quanto riguarda la sinistra, la situazione appare ancora più frammentata ed uscirebbe dai nostri intenti analizzarla in ogni sua particolarità. Se però ci soffermiamo sulle linee generali, notiamo innanzitutto la persistenza di partiti e movimenti che si rifanno dogmaticamente al marxismo-leninismo, alcuni nella sua forma stalinista, altri nella variante trotskista. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di fazioni non meno pericolose dei partiti neofascisti, che si rifanno ad un’ideologia che la storia ha dimostrato essere oppressiva e totalitaria; e che, in luogo dell’emancipazione dei lavoratori, abbracciano uno statalismo sfrenato che si fonda sul potere e sull’odio e il rancore verso le classi agiate.
La sinistra che più oggi va incontro ai consensi del paese è la socialdemocrazia, che trova il suo riferimento nel Partito Democratico. La socialdemocrazia odierna è la sinistra che ha abbandonato gran parte delle idee marxiste ed ha abbracciato un’idea di emancipazione molto più ampia rispetto a quella puramente economica del comunismo: si batte per i diritti delle donne, degli extracomunitari e degli omosessuali, ha fatto suo il tema dell’ambientalismo, propone leggi progressiste basandosi sulla laicità e sulla libertà di pensiero, di parola e di stampa. Il fatto che, spesso, per portare avanti queste nuove battaglie della politica odierna, abbia relegato in secondo piano i diritti dei lavoratori, ha fatto muovere molte critiche a questa nuova sinistra, che è denominata in modo denigratorio sinistra arancione o sinistra arcobaleno.
La questione merita in verità molta più serietà intellettuale. I diritti delle minoranze oppresse vanno di pari passo ai diritti dei lavoratori, e oggi una vera forza di sinistra deve costruire un programma basato su questi aspetti complementari. Da un lato, i gruppi comunisti odierni si propongono di emancipare i lavoratori (se questa emancipazione avverrebbe realmente qualora tali gruppi conquistassero il potere, appare molto dubbio), ma si dimenticano degli altri gruppi oppressi (che, in verità, l’estrema sinistra ha sempre continuato a opprimere storicamente). Dall’altro lato, la socialdemocrazia ha fatto un serio lavoro per l’emancipazione delle minoranze e per i diritti umani; ma ha avuto la colpa di abbracciare il capitalismo nella sua interezza, proponendosi semplicemente di riformarlo in modo quasi impercettibile. Entrambe queste ideologie hanno dunque forti limiti e vanno integrate in una sintesi che tolga i difetti dell’una con i pregi dell’altra.
Tirando le somme, risulta evidente come la politica odierna sia ancora divisa in un più o meno forte bipolarismo, formato da un centrodestra con varianti più liberali e varianti più conservatrici, ed un centrosinistra costituito principalmente dalla socialdemocrazia. Agli estremi di questo bipolarismo vi sono la destra neofascista e la sinistra marxista-leninista, che fortunatamente non hanno alcuna influenza nel dibattito politico e dispongono di scarsissima considerazione presso il popolo italiano. Ma nel nostro paese l’avanzare delle destre conservatrici a discapito della socialdemocrazia è particolarmente evidente. I grossi limiti della socialdemocrazia agevolano i signori della destra, i quali, nella loro accettazione incondizionata del capitalismo, possono ben scimmiottare alcune idee progressiste della sinistra, e contemporaneamente proporre tassazioni che agevolino le classi ricche, rafforzare lo Stato e i poteri del Presidente, calpestare i diritti delle minoranze oppresse, quando non addirittura ripristinare la leva militare obbligatoria e abolire il reato di tortura per le forze dell’ordine.
Per combattere l’avanzare delle destre, né il comunismo tradizionale né la socialdemocrazia sono sufficienti: si ha necessità di un socialismo libertario, una vera sinistra che riesca a coniugare l’esigenza della giustizia sociale con la libertà, che emancipi i lavoratori e le minoranze allontanando qualsiasi idea di statalismo oppressivo e che faccia comprendere come non si può dare vera libertà senza eguaglianza, così come non può esistere vera eguaglianza senza libertà.
VALERIO MIRARCHI
[ radicalsocialismo.it ]
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