Da anni esperti e politici si interrogano sui limiti (metodologici, quantitativi e temporali) degli acquisti dei titoli di stato da parte della Bce attraverso misure come il Quantitative Easing (QE). In pratica la Bce si sostituisce ai mercati nell’acquisto dei titoli attenuando così dinamiche di mercato che potrebbero spingere pericolosamente in alto gli spread. Ad entrare però a gamba tesa in questo dibattito è stata la Corte costituzionale tedesca che è intervenuta (anche) ieri su un caso che si protrae ormai dal 2014, ovvero da quando Mario Draghi ha avviato il QE che ha finora permesso alla Bce di acquistare da tutti i paesi europei oltre 2 mila miliardi di titoli del debito pubblico.
Una petizione firmata in Germania da oltre 1.700 persone (tra cui molti economisti e giuristi) aveva chiesto alla Corte costituzionale se questo tipo di intervento da parte della Bce fosse in linea coi Trattati e con le finalità della Bce stessa. In una lunga maratona giudiziaria, la Corte tedesca si era rivolta alla Corte di giustizia europea che nel 2018 aveva dato ragione alla Bce e al suo programma di acquisto dei titoli. La questione è però tornata alla Corte tedesca che il 5 maggio ha messo in dubbio il verdetto della Corte di giustizia europea non ritenendo sufficienti le motivazioni fornite in merito alla ‘proporzionalità’ del QE della Bce e obbligando quest’ultima a fornirle ulteriori spiegazioni entro tre mesi. In pratica, la Corte tedesca ipotizza che quanto fatto dalla Bce non sia entro il perimetro delle proprie competenze.
Si aspetterà dunque la risposta della Bce, ma è opportuno anzitutto ricordare che al momento non ci saranno effetti concreti. La Bce potrà continuare con il suo piano di QE. Anzi l’intervento della Corte tedesca riguarda il QE avviato nel 2014 e non il PEPP, ovvero il piano di acquisti di titoli pubblici e privati per oltre 750 miliardi di euro avviato dalla Bce dopo lo scoppio dell’emergenza Covid-19. Non può quindi frenarne al momento la prosecuzione. Malgrado questo però rimane un fatto: le misure straordinarie messe in piede dalla Bce possono essere fortemente limitate (vedremo se non addirittura bloccate) da una alta Corte nazionale. Un rischio che potrebbe essere addirittura maggiore in merito al PEPP. Si tratta infatti di un piano di acquisto di titoli portato avanti dalla Bce in deroga a due criteri. Il primo riguarda la cosiddetta ‘capital key’.
La Bce dovrebbe infatti acquistare da ogni paese dell’Eurozona una quantità di titoli del debito pubblico proporzionale alla quota detenuta nel capitale della Bce da ogni paese. Per l’Italia si tratta del 13,8%, ma gli acquisti effettuati negli ultimi tempi dalla Bce dal nostro paese sono quasi il doppio. Questa deroga non potrà continuare all’infinito perché a un certo punto la proporzionalità dovrà essere ristabilita. In pratica se la Bce non annunciasse una estensione temporale del PEPP (oltre la fine dell’anno) e/o un ampliamento dell’ammontare di titoli acquistabili, già nei prossimi mesi potrebbe decidere di acquistare meno titoli italiani e più titoli tedeschi (o di altri paesi).
C’è poi il secondo criterio derogato dalla Bce: l’acquisto dei titoli con un rating sotto il livello che in modo (troppo) sprezzante viene definito ‘spazzatura’. Già ad aprile la Bce aveva concesso un ‘waiver’ speciale alla Grecia, ma in vista di possibili ulteriori downgrade per altri paesi (Italia inclusa) Christine Lagarde si è già impegnata a un loro acquisto (e alla loro accettazione quali ‘collateral’) da qualsiasi paese dell’Eurozona.
Se la Corte costituzionale tedesca è stata messa in moto per il precedente QE, non è da escludere che possa essere ancora chiamata a giudicare il PEPP, tanto più che le due deroghe sopra indicate sembrano più profonde di quelle del precedente QE. La Bce avrebbe davvero la forza di proseguire con la PEPP – se non addirittura di rafforzarla – se la Corte costituzionale tedesca reputasse insufficienti le spiegazioni fornitele in merito al precedente QE? In ballo c’è la stessa indipendenza della Bce rispetto ai singoli poteri nazionali.
Se la Bce fosse impossibilitata a rafforzare – o anche solo a proseguire – nel suo programma di acquisto dei titoli tramite il PEPP, l’unico aiuto a un paese membro da parte della Bce stessa potrebbe avvenire con un altro strumento: la “Outright Monetary Transactions (OMT)”. E’ il cosiddetto bazooka predisposto da Draghi per evitare il fallimento di un paese membro e il possibile crollo dell’intera Eurozona (soprattutto se il paese in questione avesse le dimensioni dell’Italia). Si tratta dello strumento che meglio di ogni altro riassume il ‘whatever it takes’ pronunciato da Draghi. In pratica, la BCE potrebbe acquistare titoli da uno stato membro in difficoltà senza alcun limite. Un’arma talmente potente che non è mai stata utilizzata. Anche perché per poterlo essere bisogna passare da un altro strumento molto poco amato dall’Italia: il Meccanismo europeo di stabilità (MES) con il suo bagaglio di fortissima condizionalità.
Ma questi ragionamenti mostrano i loro limiti perché si basano sempre sull’intervento della Bce. E’ come se le responsabilità rispetto all’emergenza Covid-19 dovessero ricadere tutte sulle spalle della banca centrale. Ma evidentemente non è e non può essere così. La responsabilità è anzitutto politica. E in effetti l’Europa si è già mossa approntando un piano piano comune attraverso il Sure, i prestiti Bei e prestiti ‘speciali’ del Mes (questi ultimi con l’unica condizionalità legata alle spese sanitarie). Strumenti importanti ma non sufficienti rispetto alla portata della crisi generata dal coronavirus. Una risposta più piena è attesa a giorni dalla Commissione europea che su richiesta dei capi di stato e di governo del Consiglio europeo sta delineando il Recovery Fund.
In questa prospettiva, non è escluso che l’intervento della Corte tedesca possa sortire un effetto positivo, perché fa emergere i limiti degli interventi della Bce e impone ai leader politici di intervenire per altre vie. Una situazione che potrebbe anche influire, almeno in parte, sulle due ossessioni tedesche e di altri paesi del nord Europa: il risk sharing fiscale e la monetizzazione del debito. Finora è sembrato che tra le due la prima fosse ancora più forte. La diminuita possibilità di procedere con la monetizzazione del debito, potrebbe invece portare ad un ammorbidimento rispetto al risk sharing e a ulteriori progressi sull’accordo sul prossimo bilancio Ue 2021-2027 e sul Recovery Fund.
Franco Bruni | Antonio Villafranca
[ ISPI Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ]