Vincenzo Boccia dice cosa Confindustria non vuole, cosa rifiuta tra le proposte politiche circolanti, e così dice in realtà ciò che vuole. Rifiuta dazi estemporanei, antieuropeismo, giochini sulle valute, redditi regalati e “consegnati a casa”, confusione nelle regole per il lavoro. E così dice anche cosa vuole. Almeno per quanto ha a che fare con la richiesta chiara di continuità con un metodo riformista e concreto, traducibile facilmente in Jobs Act, legge Fornero e industria 4.0.
Ma c’è anche un’altra breve ma importante lista di cose che Boccia e Confindustria contestano, con una pressoché assoluta compattezza. Anche in questo caso è semplice e rapida la casistica delle cose da cambiare secondo gli imprenditori.
Si parte dal nuovo codice degli appalti e si arriva alle norme che danno una pervasiva facoltà di ingerenza alle procure nella vita delle imprese, con effetti non solo indesiderabili ma anche irrazionali. E in questi casi, ritenuti appena meno importanti della continuità riformista, le parole degli industriali sono apparse decise ma prive di un evidente, ben identificabile, bersaglio. Perché la volontà politica da contrastare non è, in questo caso, la semplice beceraggine anti-tutto e assistenzialista, ma qualcosa che ha radici nel giustizialismo che comunque pervade il nostro discorso pubblico. Una condizione quasi di stallo, apparentemente, ma che può portare invece a sviluppi legati alle possibili nuove maggioranze.
In sostanza le scelte di semplificazione delle regole sugli appalti e del diritto penale di impresa potrebbero essere il portato del centrodestra in un tavolo alla tedesca per impostare la coalizione. La migliore ibridazione, a essere inguaribili ottimisti, tra la fattività della linea riformista figlia della visione renziana e la cultura liberale, pro-impresa, pro-business e soprattutto priva di complessi e ossequi verso i magistrati che è costitutivamente berlusconiana (e che distingue Forza Italia dai sovranisti). Un modo, insomma, per provare a praticare nella realtà e non nel talk show la tecnica faticosa del compromesso sui programmi politici.
E la fatica potrebbe essere ben ripagata, gli industriali lo hanno fatto capire, con indicazioni chiare della possibilità di crescere a ritmi più forti (e governare con il 2 per cento di crescita non è una brutta esperienza). E lo hanno fatto capire riducendo al minimo o quasi eliminando le classiche lamentazioni su fisco e credito. Il fronte caldo non è più lì. E’ sulle riforme, e soprattutto su quelle nuove, da far nascere con la sana ibridazione tra le due culture e pratiche politiche che potrebbero incontrarsi nel nostro tavolo alla tedesca.