mercoledì, 27 Novembre 2024

Due parole per Milan Kundera

OSCAR IARUSSI [ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]

“ll massimo di diversità nel minimo spazio”. Troviamo questa frase appena citata in un prezioso volumetto uscito per Adelphi l’anno scorso, “Un Occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale”. Ne è autore il ceco Milan Kundera, scomparso a 94 anni, naturalizzato francese dopo essere fuggito a Parigi negli anni successivi alla fine della Primavera di Praga del 1968 (la seconda rivolta antisovietica, dopo la Rivoluzione ungherese del 1956).

Kundera diventò popolare in Italia anche grazie al titolo di un suo romanzo, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (1984) usato come «tormentone» da Roberto D’Agostino nel programma “Quelli della notte” di Renzo Arbore. Negli stessi anni scriveva un articolo per la rivista francese «Le Débat» che, insieme a un testo precedente, è confluito in “Occidente prigioniero”. Il libello colpisce al cuore l’attualità, parla di noi: «L’Europa centrale voleva essere l’immagine condensata dell’Europa e della sua multiforme ricchezza, una piccola Europa ultraeuropea, modello in miniatura dell’Europa delle nazioni concepita sulla base di questa regola: il massimo di diversità nel minimo spazio. Come avrebbe potuto non inorridire di fronte alla Russia, che si fondava sulla regola opposta: il minimo della diversità nel massimo spazio?». Punto. Non v’è opinione che possiamo ascoltare in Tv sull’invasione russa dell’Ucraina in grado di reggere il confronto con il lapidario passaggio di Kundera.

Poco oltre, l’autore si fa una domanda e si dà una risposta, un po’ alla Marzullo ante litteram: «Ma il comunismo è la negazione della storia russa o piuttosto il suo coronamento? Senza dubbio è insieme la sua negazione (negazione della sua religiosità, per esempio) e il suo coronamento (coronamento delle sue tendenze centralizzatrici e dei suoi sogni imperiali)». Una fenomenologia di Vladimir Putin o quasi, scritta nel 1983, molto prima che il nuovo zar salisse al potere… Profezia? Diciamo: grande letteratura, sentimento identitario, acume intellettuale.

“Un Occidente prigioniero” è l’ultimo dei libri di MK letti, amati, sottolineati, “rivisti” talora al cinema. Se ne va un grande novecentista, un europeo autentico, e un solitario, orgoglioso, infine silenzioso difensore del Romanzo come forma di conoscenza del mondo, dell’amore, di se stessi e del tempo che ci è dato.

OSCAR IARUSSI

[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]