Il grottesco bisticcio quotidiano tra Lega e Movimento 5 Stelle, che tanto ha rallentato l’Italia, è durato poco più di un anno. Non si trattava soltanto della rivalità tra due forze politiche che si consideravano entrambe vincitrici delle elezioni del 4 marzo 2018. Era anche uno scontro tra destra e sinistra. O meglio: tra nuova destra e vecchia sinistra. La nuova destra, ormai, la conosciamo: da tre anni domina la vita politica negli Usa, nel Regno Unito, in Italia. È populista, empatica, astuta, spregiudicata. Della vecchia sinistra stavamo perdendo la memoria. I più giovani non l’hanno mai conosciuta. Ma tutti gli altri, se si mettono d’impegno, ricordano il fastidio verso il progresso, la passione per la spesa e il disinteresse per la produzione, il terzomondismo letterario, l’ambientalismo velleitario, la generosità confusa.
Provate a pensarci. Al di là dell’arroganza e del pressapochismo dimostrato dai grillini in tante occasioni, molte delle loro scelte politiche hanno il profumo di quella sinistra. Cos’è, il reddito di cittadinanza, se non antico assistenzialismo con un nome nuovo? Non si aiutano gli imprenditori a creare occupazione, produrre ricchezza e fornire un reddito, come sarebbe salutare. Si crea un meccanismo barocco (i navigator!) che ribalta la questione: prima il reddito, poi il lavoro. Incentivando l’attività in nero e scoraggiando le assunzioni stagionali, come abbiamo visto. Luigi Di Maio è troppo giovane per ricordarsene, ma molti italiani certe iniziative le hanno già viste, e le hanno viste fallire, soprattutto nell’Italia del Sud. Assistenzialismo e meridionalismo: pessima accoppiata. Il Sud si risolleva con infrastrutture, regole, lavoro: il resto non serve.
Cos’è, la decisione di coinvolgere le Ferrovie in Alitalia, se non statalismo? Cos’è stato il tentativo di estromettere i privati dalla ricostruzione del ponte Morandi? Come dobbiamo chiamare, nel Paese delle 10 mila società partecipate, dove lo Stato controlla le più grandi imprese, la passione per il deficit e la spesa pubblica, che ha preoccupato i mercati e ci è costata miliardi a causa dello spread? Cos’è l’evidente fastidio per la concorrenza e il mercato? E cos’è stata, ministro uscente Danilo Toninelli, l’opposizione alla Tav, un’opera che sostituisce (finalmente!) una ferrovia vecchia di 150 anni, e costa all’Italia 4,7 miliardi (non 20 miliardi, come molti Cinquestelle scorrettamente ripetevano)? Antimodernismo, un atteggiamento che segnava la vecchia sinistra, contro il quale si sono battuti i socialisti di Bettino Craxi. Che hanno accumulato colpe ed errori, ma sapevano immaginare il futuro.
Cos’è, se non confuso terzomondismo, l’idea di sostenere l’autoritario Maduro in Venezuela? Come può venire in mente che i sostenitori del rivale Guaidó — tra cui l’Unione Europea, a parte l’Italia — «vogliono esportare la democrazia a colpi di cannone»? Eppure così ha detto Alessandro Di Battista, oltre a sostenere che «in politica estera Donald Trump è il miglior presidente della storia degli Usa» (la conosce?, ndr). Per non parlare delle continue incertezze nelle alleanze. Al Parlamento europeo, il M5S è passato dal gruppo «Europa delle Libertà e della Democrazia Diretta»(Efdd), di cui fa parte Ukip, campione della sciagurata Brexit, al sostegno per Ursula von der Leyen, neopresidente della Commissione Ue. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Ma che confusione.
Cos’è, se non vecchio assemblearismo, il fastidio per la democrazia rappresentativa e la passione per la democrazia diretta? Come si può pensare, caro Casaleggio, che questioni complesse vengano decise a maggioranza da chi non le conosce e non è in grado di approfondirle (per questioni di esperienza, di competenze, di tempo)? Insistere con queste proposte non è soltanto rischioso. Somiglia all’antica favola comunista secondo cui «sceglieva il popolo». E poi decideva il comitato centrale.
Ecco, quindi, perché il negoziato in corso tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico sarà difficile, ma lo conosciamo: ricorda quello tra la vecchia sinistra e la nuova sinistra, che crede — o dice di credere — al Parlamento, all’Europa, all’Alleanza Atlantica, alla concorrenza, all’impresa,alla semplificazione, alla riduzione del ruolo pubblico nell’economia. Sarà un caso che tanti coetanei grillini che conosciamo, da giovani, erano movimentisti e di sinistra, spesso extraparlamentare?