Dalla diffusione internazionale del prodotto alla presenza di piattaforme globali; dalle industrie nazionali a un’industria globale; dal monopolio del piccolo schermo all’integrazione fra televisione e telecomunicazioni. Il 2018 ha tutte le carte in regola per presentarsi come l’anno dello showdown per un’industria i cui confini sono diventati sempre più sfumati, in un’osmosi fra contenuti e tecnologie che se da un lato è ovviamente il comune denominatore del momento, dall’altro è anche la vera sfida del futuro.
Un tempo c’era la Tv, la cara vecchia Tv, l’audiovisivo per eccellenza del secolo scorso. Oggi c’è un sistema mediatico estremamente complesso, in cui a farla da padrona è una globale stratificazione, una commistione divenuta sistema. Cinema, videogiochi, fiction, televisione: sono tutte tessere di uno stesso mosaico, capaci di influenzarsi reciprocamente e di sopravvivere in un sistema di video entertainment dove continuo è lo scambio di ruoli, e dove velocità e competizione sono le parole d’ordine. Per primi a saperlo sono gli stessi protagonisti del mercato. E quello che è accaduto a cavallo fra fine 2017 e questi primi mesi del 2018 ne è una inconfondibile cartina di tornasole, in una corsa alle alleanze e a fare sistema che travalica confini territoriali e industriali.
L’intesa Sky-Netflix
Basti pensare a giovedì scorso, quando è stata comunicata l’intesa strategica fra Sky e Netflix. Dal punto di vista pratico il risultato sarà visibile nella creazione di un pacchetto tv ad hoc con all’interno contenuti della pay tv della galassia Murdoch e del colosso del videostreaming. Il tutto attraverso la punta più avanzata della tecnologia Sky in questo momento: la piattaforma Sky Q. Si partirà il prossimo anno in Uk e Irlanda. Poi la novità approderà in Italia, Germania e Austria.
Detta così potrebbe apparire una banale intesa commerciale se non fosse che a fidanzarsi sono proprio questi due soggetti. Da una parte Sky, player che rappresenta l’operatore di pay tv più importante in Europa. Dall’altra Netflix, piattaforma con 118 milioni di abbonati in giro per il mondo, che unendo al modello di video on demand un massiccio investimento in contenuti originali – sono previsti investimenti per 8 miliardi di dollari nel 2018 – ha scompaginato le carte nell’intera industria dell’audiovisivo. «Con questo accordo Netflix si assicura la partnership dell’operatore di pay Tv più importante in Europa generando una massa critica di film e di serie non indifferente», conferma Emilio Pucci, direttore della società di ricerche e-Media.
Lo spauracchio Amazon
Sky e Netflix legano a vicenda le rispettive customer baseconsolidando quelle aree di sovrapposizione già esistenti e facendo passare il messaggio che si può essere complementari e non alternativi. L’accesso diretto ai contenuti Netflix all’interno del menu Sky Q ha sicuramente il sapore di una mossa con cui si uniscono le forze in un mercato in cui se per Sky la minaccia viene dalle piattaforme Ott e dal cosiddetto “cord cutting” (spostarsi dalla tv via cavo o satellite al meno costoso video on demand), per Netflix più di qualche timore arriva dall’impegno finanziario crescente per i contenuti originali, ma anche da un concorrente ormai convitato di pietra nel mercato dei media. Inutile nascondersi: Amazon fa paura, alle pay tv come ai player del video on demand. Del resto il colosso di Seattle punta direttamente a un vero approccio Tv (contenuti sportivi, live streaming, canali) che è più insidioso per i broadcaster della free e della pay tv rispetto a Netflix, la cui vocazione resta quella dell’home video. Amazon ha dalla sua anche l’integrazione fra offerta video e offerta e-commerce (Prime) e grazie ai forti investimenti in produzione di contenuti originali nonché grazie a partnership con importanti broadcaster (Itv, Discovery) ha fatto passi importanti sul mercato che sono valsi una crescita di abbonati nel 2017 pari al 41%.
La lotta sull’asse Usa-Ue
L’operazione Sky-Netflix è uno dei tasselli di un puzzle che andrà composto, ma di cui al momento non è chiaro il risultato finale che, paradossalmente , passa proprio attraverso i destini della pay di casa Murdoch. A dicembre infatti The Walt Disney Company ha raggiunto un accordo per l’acquisizione di 21st Century Fox con il passaggio a Disney di 20th Century Fox (tra i franchise “X-Men”, “Avatar” ed “Alien”), le attività via cavo (FX Networks e National Geographic Partners) e quelle internazionali, compreso il 39% di Sky Plc.
Tutto deciso? Neanche per sogno, visto che Comcast, uno dei leader della tv via cavo in Usa proprietario di Nbc Universal e Dreamworks ha messo in scena il classico coup de théâtre: l’assalto al “gioiello della corona” dell’impero Murdoch, proprio quella Sky che nel suo essere “paneuropeo” ha il suo punto di forza. Se l’operazione andasse in porto Comcast diventerebbe il principale operatore di pay tv nel mondo – esclusi quelli sul mercato domestico cinese – con oltre 45 milioni di abbonati nell’offerta pay, entrando da protagonista in mercati come Italia, Uk, Germania, nonché Irlanda e Austria. A completare il quadro c’è il takeover di 21st Century Fox sul 61% di Sky ancora non posseduto che è stato lanciato a fine 2016, che arriverà al redde rationem regolamentare il prossimo 1° maggio, ma che in Uk sta incontrando sul versante delle Authority, non poche difficoltà.
Un quadro composito in cui la cifra comune è la ricerca di massa critica, al di fuori dei propri mercati. Del resto se dimensione e capacità di presidio globale diventano le condicio sine qua non, allora il mercato statunitense non basta neanche ai colossi come AT&T (ora in possesso di Direct Tv in attesa di uno sblocco dell’affare Time Warner) o Comcast. «Il livello della competizione si è spostato su una dimensione globale. L’Europa è solo uno dei campi da gioco dove le nuove alleanze si costruiscono e si sviluppano, in vista di futuri scenari che troveranno la loro definizione solo nei prossimi anni», spiega Augusto Preta, di It Media Consulting.
Considerando che il grande mercato cinese è di fatto impenetrabile – con le sue piattaforme locali fortissime in casa e quasi del tutto assenti sui mercati esteri – e che l’India è un mercato grande ma complicato, l’Europa diventa il vero territorio da conquistare dove una piattaforma distributiva può trovare spazi di mercato per sviluppare o completare quella globalizzazione che già Netflix e Amazon hanno sviluppato. In questa dinamica viene naturale pensare a quello che poteva essere e che (almeno finora) non è stato fra Vivendi e Mediaset. Il progetto di un campione europeo dei contenuti si è infranto sullo scoglio di una contesa approdata in tribunale dopo la decisione di Vivendi di non dar seguito all’acquisto, ufficializzato ad aprile 2016, della piattaforma Premium.
La spinta della convergenza tv-tlc
Tempo perso che potrebbe risultare drammaticamente prezioso alla fine di una trama in cui a giocare un ruolo da protagonista è anche la convergenza fra i mondi di tv e tlc. Questa integrazione appare sempre più necessaria, con impatto positivo su alcuni indicatori importanti del business delle telco: incrementa l’Arpu (il ricavo medio per cliente), riduce i costi di acquisizione degli utenti (Cac) e soprattutto il churn rate (tasso di disdetta degli abbonamenti) con customer base più stabile perché fruisce di servizi integrati a valore aggiunto. Un po’ di casistica non manca. Il gruppo Vodafone si è spostato su un’offerta convergente in Spagna (con l’acquisizione di Ono) e in Germania (Kabel Deutschland). In Italia la joint venture fra Tim e Canal+ (la pay tv di casa Vivendi) ne sarebbe stata un’altra significativa declinazione pratica, ma al momento non sembra avere futuro. In definitiva, comunque, l’analisi dello stato di “osmosi” fra tv e tlc nei principali mercati europei restituisce comunque una fotografia dai toni contrastanti, fatta finora di pochi successi, anzi pochissimi.
E qualche campanello d’allarme sembra scattare per il futuro. In Spagna, per esempio, che pure è un caso di successo dopo che nel 2014 con l’acquisizione di Dts dal Gruppo Prisa (e poi completando il controllo con l’acquisizione del 22% da Mediaset) Telefónica è diventata il primo attore della pay tv spagnola, integrando in un unico marchio (Movistar) l’offerta broadband e quella di pay tv. Nei giorni scorsi le telco hanno puntato i piedi contro quello che considerano un aumento “irrazionale” e “infondato” dei prezzi dei diritti di trasmissione del calcio sia in Spagna sia in Europa. Vodafone, Telefónica, Orange, hanno iniziato a far capire che a prezzi troppo alti non intendono stare in partita. «Content is king», diceva Bil Gates. Tutto sta a vedere chi darà le carte.