L’Italia è un Paese liquido, seduto su 1.396 miliardi di depositi e risparmio postale, di cui 960 in capo alle famiglie (dati Bankitalia). Una tendenza, quella della liquidità sui c/c, che sembra non conoscere fine e che ha fatto perdere agli investitori molte opportunità sui mercati finanziari. I motivi del fenomeno? «Incertezza e poca fiducia nel futuro da parte soprattutto delle famiglie – spiega Guido Tirloni, senior manager di Kpmg Advisory – In più vi è un basso livello di cultura finanziaria rispetto ai Paesi anglosassoni. Un mix che è alla base della crescita della liquidità sui depositi italiani a tassi di quasi il 5% annuo».
La liquidità costa
Tenere i soldi sul conto corrente però ha un costo anche se il c/c è online. La riprova è nella tabella elaborata per Plus24 da ConfrontaConti.it (gruppo Mutuionline). Il saldo annuo di 7 conti selezionati su 8 è negativo sia per il profilo del correntista con 10mila euro sul conto sia per quello con 20mila euro (il saldo annuo è la differenza tra gli eventuali interessi corrisposti sulle giacenze di conto e i costi totali). C’è poi da ricordare un costo occulto: è l’inflazione. L’aumento dei prezzi al consumo, anno per anno, corrode il potere d’acquisto dei soldi sul c/c.
«Il conto corrente è uno degli strumenti bancari più diffusi perché ci permette di effettuare operazioni quotidiane con evidenti vantaggi di tempo e di sicurezza delle transazioni – spiega Maria Cristina Pintor, responsabile partnership gruppo Mutuionline – Tuttavia resta sempre vivo il dubbio sulla sua utilità come strumento di risparmio e ancora più di guadagno per coloro che hanno una somma di denaro da far fruttare. Come emerge dalla tabella elaborata da ConfrontaConti.it, possiamo valutare che gli elementi di risparmio e guadagno non siano tra i punti forti del conto corrente».
L’altra faccia della liquidità
Avere i soldi cash sul c/c consente poi a molti italiani di non dover disinvestire da strumenti di risparmio con tutte le problematiche annesse. Questione di cultura finanziaria? Sicuramente sì. C’è però un grande «attaccamento» al contante che ci mette agli ultimi posti nella classica mondiale (vedi tabella a fianco) per «intensità di utilizzo del cash»: dallo studio The European House – Ambrosetti, emerge che siamo subito prima di Qatar, Repubblica Ceca e Guatemala. «Per disincentivare l’utilizzo del contante, alcuni Stati hanno per esempio ridotto il numero degli Atm, gli sportelli dei bancomat», sottolinea Gianmarco Zanetti, director di Pwc. A tal proposito, sempre nel dossier Ambrosetti, viene evidenziato che in Italia, dal 2008 al 2016, il valore dei prelievi di contante da Atm è aumentato a un tasso medio annuo dell’8,9% contro il +2,3% della Germania e il +2,5% della Francia.
Effetto Psd2
C’è infine da valutare un possibile impatto sul cash della Psd2, la direttiva Ue che ha come scopo di creare un mercato unico dei servizi di pagamento e che muterà le abitudini di molti. «I cambiamenti vi saranno – conferma Zanetti – non credo però che saranno veloci. La Psd2 va a impattare su persone che già usano strumenti alternativi di pagamento. Il percorso è lungo e bisognerà che anche i negozi si attrezzino. Le banche italiane si stanno muovendo in modo rapido su questo versante. Vedremo gli sviluppi».