Nei 27 stati membri dell’Unione Europea, gli elettori sono chiamati alle urne dal 6 al 9 giugno per rinnovare il Parlamento comune. Il conto alla rovescia – già iniziato nei corridoi di Bruxelles e Strasburgo da almeno un anno – è cominciato pubblicamente ieri sera, quando gli Spitzenkandidaten dei principali gruppi europei, ovvero i candidati alla presidenza della Commissione, hanno dibattuto a Maastricht sui temi chiave per il futuro del continente: dal Green Deal, alla guerra in Medio Oriente e dall’immigrazione irregolare all’intelligenza artificiale.
All’incontro, durato un’ora e mezza, oltre all’attuale presidente Ursula Von Der Leyen, candidata per un secondo mandato del Partito popolare europeo, c’erano Nicolas Schmit del Partito dei socialisti europei, Marie-Agnes Strack-Zimmermann dei liberali di Alde, Bas Eickhout dei Verdi, Anders Vistisen del Partito di estrema destra, populista e euroscettico Identità e Democrazia, Walter Baier della Sinistra Europea, Maylis Roßberg di Alleanza Libera Europea e Valeriu Ghilețchi del Movimento politico cristiano europeo. Unico assente, il partito euroscettico e sovranista dei Conservatori e Riformisti (Ecr), a cui nelle ultime settimane Viktor Orbàn e il suo partito Fidesz hanno manifestato l’intenzione di aderire.
“Se aprirò una cooperazione con il gruppo Ecr dipenderà da come sarà la composizione dell’Eurocamera e da chi ci sarà in quel gruppo” ha detto Von der Leyen nel corso del dibattito, organizzato da Politico, ribadendo anche che l’Europa non accetterà “le interferenze di Putin, anche attraverso i suoi proxy in Europa”. Un riferimento chiaro al gruppo Identità e Democrazia, al centro di diversi scandali che hanno coinvolto i suoi esponenti accusati di spionaggio e disinformazione e ritenuti vicini ai governi di Russia e Cina.
Per cosa si vota?
L’attuale Parlamento europeo è composto da 705 seggi che diventeranno 720 a partire dalla prossima legislatura. Gli eurodeputati possono rientrare in uno dei sette gruppi parlamentari che compongono lo spettro politico dell’emiciclo di Strasburgo o risultare come ‘non iscritti’. Il Partito popolare europeo (Ppe) e i Socialisti e democratici (S&D) sono attualmente i gruppi più grandi. Insieme a Liberali, di fatto, costituiscono da sempre la maggioranza dell’Eurocamera. I paesi membri eleggono un numero diverso di deputati in base alle dimensioni, con un massimo di 96 e un minimo di 6 seggi per paese. Attualmente, con 96 seggi a sua disposizione, la Germania ha il maggior numero di rappresentanti, seguita dalla Francia (79) e Italia (76). Le elezioni europee sono naturalmente influenzate fortemente dalla politica nazionale, ma i diversi sistemi e regole elettorali tra i paesi membri aggiungono ulteriori elementi di complessità. Ad esempio, l’età minima dei candidati varia da paese a paese e alcuni stati prevedono una soglia di sbarramento che i candidati devono superare per entrare nel Parlamento europeo. Oltre a far avanzare l’agenda legislativa dell’UE insieme alla Commissione, il Parlamento ha il compito di eleggere a maggioranza il presidente della Commissione e valutare le nomine dei commissari.
Affluenza è la prima sfida?
Indipendentemente dai sistemi di voto dei vari paesi, la bassa affluenza alle urne è un problema annoso per le elezioni europee tanto che nel 2019 l’affluenza del 50,7% degli aventi diritto, il tasso di partecipazione più alto in oltre due decenni, fu accolto da osservatori e media come un trionfo. “Le elezioni del 2019 sono state un punto di svolta”, ha affermato Philipp Schulmeister, direttore delle campagne al Parlamento europeo. “È stato l’inizio di un cambiamento che mi aspetto continui nel 2024”. In un’intervista a Politico, Schulmeister sostiene che eventi come la Brexit, la crisi migratoria e il Covid hanno indotto gli elettori a prendere atto dell’impatto dell’Ue sulla loro vita quotidiana e dei vantaggi derivanti dall’appartenenza del loro paese all’Ue. “Attraverso queste crisi, le persone hanno imparato che l’Unione può agire nei momenti in cui è necessario”, ha affermato.
Tuttavia, anche se in aumento rispetto al passato il numero di elettori che hanno partecipato all’ultimo voto solleva un problema di legittimità per un sistema politico che rappresenta quasi 450 milioni di persone provenienti da 27 paesi e che è responsabile dell’approvazione di leggi che influiscono sulla loro vita quotidiana, dall’agricoltura al commercio e all’ambiente. Molti – è l’osservazione ricorrente – percepiscono l’Ue come un’entità troppo distante e troppo complicata. Eppure, in vista dell’ascesa di partiti euroscettici e sovranisti, il voto di giugno appare determinante per il futuro del continente. In molte parti del mondo processi democratici sono minacciati e l’Unione Europea, in cui le sfide alla democrazia provengono sia dall’esterno che dall’interno, non sembra fare eccezione.
Elezioni in tempi di crisi?
Secondo diversi osservatori la parola chiave che definirà il prossimo parlamento europeo sarà “frammentazione”. L’indebolimento dei due principali gruppi politici, Ppe e S&D, con ogni probabilità andrà a vantaggio delle formazioni più piccole e marginali e ci sarà bisogno di una maggioranza più ampia per portare avanti l’agenda strategica, il programma d’azione per i prossimi cinque anni che i capi di Stato e di governo dovranno adottare nel corso del consiglio del 27 e 28 giugno a Bruxelles. A fissare l’asticella della posta in gioco, in un lungo discorso all’Università della Sorbona, è stato pochi giorni fa il presidente francese Emmanuel Macron.
“Dobbiamo essere consapevoli che la nostra Europa oggi è mortale. Può morire, e questo dipende unicamente dalle nostre scelte. Ma queste scelte bisogna farle adesso”, ha detto il presidente francese, tracciando un quadro delle sfide che l’Europa deve affrontare e sostenendo la necessità di cambiamenti radicali nelle politiche del blocco. Sottolineando che l’ordine mondiale è apertamente messo in discussione da Cina e Stati Uniti, in modi diversi ma entrambi intenti allo scontro e pronti a minare il sistema multilaterale, Macron ha sottolineato la necessità di investire in nuove tecnologie, creare una difesa più forte e decarbonizzare l’economia. Infine, l’affondo ai nazionalisti e agli ‘anti-europeisti’ che, ha detto, “restano nel palazzo europeo senza pagare l’affitto e senza rispettare le regole della comproprietà”. Questioni tanto più urgenti in vista di elezioni cruciali. “Questo è un momento decisivo – ha detto Macron – È giunto il momento che l’Europa decida che cosa vuole essere”.
Il commento
Di Antonio Villafranca, direttore della ricerca ISPI
“Con il Covid, l’Ue è riuscita a vincere le proprie divisioni e a coniugare ambizione e concretezza. Oggi la crescente competizione economica globale in un quadro geopolitico sempre più conflittuale richiede un ulteriore sforzo di sintesi tra ambizione e concretezza. Decisioni strategiche sulla difesa Ue, sul completamento del Mercato Unico (anche dei capitali), sulle nuove politiche commerciali e di concorrenza e sulle ambizioni in merito alla transizione verde e digitale devono essere accompagnate da risorse pubbliche e private adeguate. Le elezioni Ue potrebbero, tuttavia, consegnarci un quadro politico europeo anche più frastagliato di quello odierno per cui queste decisioni strategiche potrebbero dar luogo a ulteriori divisioni tra gli Stati membri. Se così fosse, proseguire quanto meno con ‘chi ci sta’ non sarebbe certo la direzione più auspicabile, ma potrebbe rappresentare un inevitabile ‘second best”.
ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale)