lunedì, 25 Novembre 2024

EMERGENZA SOYUZ. LA “BRUSCA DISCESA” NEL RACCONTO DELL’ASTRONAUTA NICK HAGUE

Focus

«I primi due minuti sono andati lisci, tutto è avvenuto come mi aspettavo. Poi è scattata l’emergenza e a quel punto siamo stati scagliati piuttosto rapidamente e violentemente lontano dal booster dal sistema di sicurezza» a raccontare alla Associated Press l’incidente che l’11 ottobre ha tenuto il mondo intero con il fiato sospeso è uno dei due occupanti della Soyuz MS-10, l’astronauta della NASA Nick Hague.

Il 43enne americano è sopravvissuto, insieme al collega russo Alexey Ovchinin, al rientro balistico della capsula russa previsto dalla procedura di aborto di lancio. Poco dopo la partenza del razzo che avrebbe dovuto spedire la Soyuz in orbita, si è verificato un malfunzionamento a uno dei quattro booster, i vettori ausiliari che si separano dal veicolo dopo aver fornito la spinta iniziale. Secondo le prime indagini, uno di essi non si sarebbe staccato come dovuto e avrebbe urtato il nucleo centrale della Soyuz.

OBIETTIVO: SOPRAVVIVERE. Le luci di emergenza si sono accese a 50 km dal suolo, quando si cominciava a vedere la curvatura dell’orizzonte e l’atmosfera si tingeva di nero. «Quando ho visto le spie ho capito che avevamo un’emergenza con il booster e che non avremmo raggiunto l’orbita quel giorno: la nuova missione è diventata arrivare sani e salvi a Terra» dice Hague.

NIENTE PANICO. I due sono stati strattonati di lato e sbattuti di nuovo sul sedile durante il distacco del booster. Subito sono iniziate le procedure che gli astronauti imparano nei due anni di addestramento per pilotare la navicella. «Sapevamo che se volevamo avere successo, dovevamo rimanere calmi ed eseguire le procedure davanti a noi nel modo più lineare ed efficiente possibile».

Tra questo momento e il touchdown, Hague, che ha dettagliato le manovre e comunicato in russo, ha guardato fuori per capire se il rientro balistico stesse procedendo come previsto. Dopo un momento di assenza di peso, è iniziato un accumulo di decelerazione che ha portato la navicella fino a 7 g.

UNA MACCHINA PERFETTA. L’impatto sulla pianure kazake non ha ferito nessuno: «Potete immaginare la scena. Stavamo praticamente capovolti e appesi alle cinture, ci siamo guardati, con un grande sorriso. Mi ha teso la mano, l’ho stretta. E poi abbiamo iniziato a scherzare su quanto breve fosse stato il nostro volo». Dopo aver comunicato con il centro di comando e le famiglie – Hague ha lasciato un messaggio in segreteria – finalmente il momento di uscire.

Hague, che era al suo primo lancio, non si sente fortunato: il sistema di salvataggio “è previsto per ogni volo, e nelle missioni umane con la Soyuz non è mai stato utilizzato per 35 anni. Ma è sempre stato lì, pronto, e quello che ci è accaduto ne è la prova. La Soyuz è una meraviglia ingegneristica”

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