L’approvazione della norma sull’equo compenso è la prima grande vittoria politica dei professionisti dai tempi delle lenzuolate di Visco-Bersani, cioè dal 4 luglio 2006. Non si può certo dire che la disciplina contenuta nel decreto legge fiscale collegato alla legge di bilancio 2018, votata giovedì scorso dal parlamento, sia un esempio di chiarezza o di completezza, o che risolva tutti i problemi legati all’abuso di posizione dominante di certi enti o società nei confronti dei professionisti. Al contrario, è una norma scritta in condizioni di evidente affanno, durante le concitate votazioni notturne che hanno preceduto la prima approvazione della legge di conversione del dl 148. E si vede. Ma si tratta comunque di un importante baluardo che il parlamento ha voluto concedere nei confronti di una categoria che, negli ambienti politicamente corretti, era considerata portatrice di interessi corporativi e di anacronistici privilegi da smantellare.
Portabandiera ideologico di questa visione è l’Antitrust. L’Autorità garante della concorrenza e il mercato è sempre stata contraria a tariffe, parametri o qualsiasi elemento che potesse disturbare la libera contrattazione del valore della prestazione professionale. Tanto che pochi giorni dopo l’approvazione della norma sull’equo compenso ha diffuso un parere non richiesto nel quale prende posizione contro l’intervento legislativo citando a suo sostegno alcune posizioni prese dalla commissione europea o dalla Corte di giustizia, omettendo però di citare altre sentenze della stessa Corte che invece confermano la legittimità di misure normative per disciplinare i compensi dei professionisti. L’Antitrust cerca poi di farsi scudo con la tutela degli interessi dei professionisti più giovani, che verrebbero danneggiati dall’introduzione dell’equo compenso. Peccato però che tutte le associazioni rappresentative dei giovani professionisti nei giorni successivi abbiano manifestato, in modo più convinto di quanto non abbiano fatto gli ordini professionali, a favore della riforma.
Un intervento quindi decisamente partigiano che sembra di fatto collocare l’Antitrust dietro il comodo paravento delle liberalizzazioni, a difesa delle banche, delle assicurazioni o delle grosse società che in questi anni sono riuscite a imporre ai legali contratti decisamente vessatori. Oppure a difesa delle pubbliche amministrazioni che sempre più numerose stanno emanando bandi di progettazione o per la fornitura di altri servizi (addirittura per servizi di assistenza sociale!) a un euro.
Ciò non toglie che la norma sull’equo compenso sia solo un primo passo e non possa certamente considerarsi soddisfacente. Non è un caso che gli stessi politici che maggiormente si sono spesi per la sua approvazione, abbiano affermato tutti che continueranno a lavorare per le necessarie correzioni.
Le questioni più urgenti si riferiscono alla parziale sovrapposizione delle norme dell’equo compenso con quelle molto simili dettate dall’articolo 36 della Costituzione, dal Jobs act del lavoro autonomo (legge 81/2017) e dal nuovo codice degli appalti (dlgs 56/2016). C’è inoltre il problema legato alla prescrizione dell’azione di nullità del contratto, che è di soli 24 mesi a partire dalla sottoscrizione dello stesso. E poi quello della estensione a tutti i professionisti di norme che in origine erano state pensate solo per far fronte ai problemi degli avvocati. Questo crea almeno due problemi: non si capisce come si possano applicare i parametri che, per le professioni non ordinistiche, semplicemente non esistono; infine ci sono dubbi, che emergono chiaramente dalla relazione di accompagnamento, anche sull’applicazione della disciplina alle pubbliche amministrazioni.
Resta tuttavia il fatto importante che per la prima volta si mettono nero su bianco le clausole vessatorie dalle quali consegue la nullità parziale del contratto, specificando meglio rispetto al Jobs act del lavoro autonomo il procedimento della tutela e le regole sull’onere della prova, dando chiare indicazioni al giudice sulle loro conseguenze. Si tratta quindi di un importante passo in avanti.
Da un punto di vista politico, è la sconfitta della linea Visco-Bersani-Antitrust-Confindustria.