L’Olanda ha rinunciato alla pretesa di condizioni rigide per l’uso del Fondo salva-Stati, ma ha ottenuto di vincolarli solo alle spese sanitarie. L’Italia ha messo da parte le richieste di «un Mes senza condizionalità» e ha accettato la proposta franco-tedesca che prevede condizioni minime. Roma si è dovuta arrendere anche sul passaggio che cita il piano per la ripresa, quello in cui il ministro Roberto Gualtieri voleva un riferimento esplicito ai Coronabond.
Non c’è stato verso: il comunicato vergato dall’Eurogruppo parla solo di un fondo «temporaneo», «commisurato ai costi straordinari della crisi» che devono essere sostenuti «da un adeguato finanziamento». Ognuno ha dovuto fare un passo indietro e solo così la situazione si è sbloccata nel mini-vertice tra i cinque principali Paesi dell’Eurozona (Italia, Olanda, Francia, Spagna e Germania) che ha preceduto l’Eurogruppo vero e proprio. Nel pomeriggio c’era stato anche un giro di chiamate tra i rispettivi capi di Stato e di governo che aveva dato la spinta all’intesa. Per Roma un’intesa che lascia un po’ di amaro in bocca.
Toccherà al Consiglio europeo di settimana prossima lavorare sui dettagli del Fondo per la Ripresa, visto che nel documento approvato non si parla di emettere bond comuni. I ministri passano la palla ai leader, ai quali chiedono di fornire le linee-guida in merito agli «aspetti pratici e legali, inclusa la sua relazione con il bilancio Ue, le sue fonti di finanziamento». In un passaggio si parla di possibili «strumenti finanziari innovativi, coerenti con i Trattati Ue». Ed è in questa frase che l’Italia e la Francia vedono gli spiragli per lavorare sugli strumenti per emettere debito comune. Ma Angela Merkel ieri è stata chiara: in una videoconferenza con i gruppi parlamentari della Cdu-Csu ha escluso l’ipotesi di eurobond. Un paletto che anche il parlamento olandese ha fissato con una nuova risoluzione. Mario Centeno, presidente dell’Eurogruppo, si limiterà a comunicare ai leader del Consiglio europeo che alcuni Paesi hanno chiesto di introdurre i Coronabond, ma la parola è stata tenuta lontana dal testo di conclusioni ufficiali approvato da tutti i ministri.
Il fronte del Sud ha ottenuto un capitolo che in sostanza chiede di mettere più soldi nel bilancio dell’Unione europea, tema che nelle scorse settimane ha visto la Germania e gli altri Paesi del Nord sulle barricate. «Il prossimo bilancio – si legge nel testo di compromesso – giocherà un ruolo centrale nella ripresa economica. Dovrà riflettere l’impatto di questa crisi e la dimensione delle sfide che abbiamo davanti».
Via libera al meccanismo anti-disoccupazione “Sure” (100 miliardi di prestiti ai governi) e al fondo dell’emergenza della Banca europea per gli investimenti (200 miliardi per le imprese). Per quanto riguarda il Mes (oltre 200 miliardi), si è deciso che le linee di credito precauzionali «saranno aperte a tutti gli Stati» in una misura pari al 2% del loro Pil. Gli Stati potranno usarle soltanto per finanziare i costi sanitari, diretti e indiretti. Ma non per le altre spese socio-economiche indirettamente legate all’emergenza.
A Roma la prima reazione non è stata di grande entusiasmo, soprattutto sul Mes e sulla possibilità di usarlo solo per le spese sanitarie. «L’importante adesso sarà spiegare bene che noi non lo attiveremo» ha fatto sapere il premier Giuseppe Conte. L’intesa rischia di lasciare forti scottature nella maggioranza: ieri 21 deputati, un senatore (Lannutti) e un eurodeputato (Pedicini) hanno condiviso un documento che ha molto preoccupato il governo. Una sorta di piattaforma programmatica parallela nel quale c’è scritto che «in una crisi sistemica come questa non c’è fondo salva-Stati che tenga». E che avanza l’ipotesi di un piano per emettere eurobond garantiti dalla Bei soltanto tra i Paesi del Sud Europa.
MARCO BRESOLIN
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