Ora più che mai, non c’è una sola Europa. Ce ne sono due. Diverse, lontane per mentalità, sospettose l’una dell’altra. Costrette a competere ma a convivere. È una duplice Europa che ha ancora su entrambi i fronti qualche figura capace di guardare agli equilibri generali oltre l’interesse particolare e di agire di conseguenza. Ne ha fra rappresentanti italiani, francesi o spagnoli da una parte, così come ne ha sul fronte opposto fra i burocrati o fra i politici tedeschi o olandesi. Ma il contrasto di idee e narrazioni diverse in questi giorni ha una durezza con pochi precedenti, mentre l’intera architettura europea finisce sotto la pressione immensa dell’epidemia.
Lo si è visto subito all’interno della Commissione dove alcuni politici designati dal centro-destra e nella sfera d’influenza tedesca — il vicepresidente Valdis Dombrovskis, il commissario austriaco Johannes Hahn — hanno rifiutato fino all’ultimo di sospendere le regole di bilancio europee, anche di fronte a una catastrofe sanitaria che sta travolgendo l’economia mondiale. Alla fine, quando era chiaro che il rischio di non cambiare nulla era troppo alto, persino la presidente tedesca Ursula von der Leyen ha smesso di dare copertura ai più rigoristi. Ma la stessa linea di frattura è corsa fino alle stanze del governo a Berlino: a calamità europea ormai evidente, anche contro l’avviso del ministro delle Finanze Olaf Scholz, Angela Merkel ha frenato all’idea di sospendere i vincoli europei sul deficit. Solo all’inizio di questa settimana — riferiscono varie persone informate — la cancelliera ha finito per cedere.
La stessa faglia si è poi aperta subito dopo nel Consiglio europeo, il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione. Di fronte ai colleghi in teleconferenza, Merkel tre giorni fa è rimasta illeggibile: nel cuore di una recessione gravissima, nel suo intervento non ha dedicato una sola parola all’economia. Nel frattempo i leader di Italia e Francia, Giuseppe Conte e Emmanuel Macron, proponevano di lanciare un «coronabond» europeo: un titolo garantito dal bilancio di Bruxelles i cui proventi potessero finanziare la spesa sanitaria. Anche Christine Lagarde si è messa alle spalle gli errori dei giorni scorsi e ha proposto un «eurobond» (parole sue, secondo gli astanti). La presidente francese della Banca centrale europea capisce che questa sarebbe la svolta capace di dare la credibilità istituzionale — la base di un bilancio comune — senza la quale il futuro dell’euro resterà sempre in dubbio.
Altri leader però hanno parlato una lingua diversa, per valori e visione politica. Mentre le colonne di camion dell’esercito trasportavano i morti nelle strade della Lombardia, il premier olandese Mark Rutte invitava l’Italia a chiedere un salvataggio al Fondo salva Stati (Esm): significa impegnarsi ad alcune riforme, ma soprattutto accettare che siano dirette dall’esterno e magari condizionate a un default pilotato del governo. Nella scelta dei tempi e dei toni, quella di Rutte è suonata come una richiesta di sottomissione a chi risponde a priorità e elettori diversi.
Certo oggi a Bruxelles si lavora all’ipotesi che l’Esm offra programmi «precauzionali» leggeri, senza altra condizione se non di finanziare la sanità. Ma anche quelli prevedono prima di tutto una «analisi di sostenibilità del debito» del Paese in crisi: ciò permetterebbe a Olanda, Finlandia o alla stessa Germania — se vogliono — di bloccare l’accesso dell’Italia ai fondi dell’Esm se prima non accetta di sforbiciare il valore dei titoli di Stato o ne rinvia i rimborsi.
È in questo clima che mercoledì le due Europe sono entrate nelle ore decisive. La giornata parte male: il governatore di Vienna Robert Holzmann fa di tutto per confermare e rafforzare la gaffe di Lagarde, che pochi giorni prima si era lavata le mani del compito di contrastare chi punta sullo sfascio dell’euro. L’austriaco, in un’intervista, arriva a definire questa crisi drammatica come «una purificazione». Non sorprende che la mattinata mercoledì diventi difficilissima per i titoli di Stato italiani, fino agli interventi di mercato della Banca d’Italia per conto della Bce: via Nazionale non deve neanche impiegare molta forza di fuoco, perché il crollo della fiducia ha fatto collassare i volumi di mercato sul debito di Roma ad appena 300 milioni sull’intera giornata (meno di un decimo del solito).
Ma ormai nella Bce qualcosa si sta muovendo, perché Lagarde ha capito che deve cancellare la sua gaffe e sta lavorando fianco a fianco con Fabio Panetta, il collega italiano del direttivo. Da Francoforte arriva una dura presa di distanza dalle parole dell’austriaco Holzmann e parte l’accelerazione del piano che era in preparazione da giorni: si convoca un Consiglio direttivo per generare una forza finanziaria schiacciante che tamponi la crisi.
Francesi e italiani da un lato, tedeschi e olandesi dall’altro come fronti avanzati dello scontro che torna a consumarsi in una giornata di tensione alle stelle. Il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, chiama il suo collega tedesco Scholz per dirgli che l’euro è in pericolo se non si permetterà alla Bce di fare il suo dovere. Gualtieri chiama anche Lagarde. Alla fine la francese decide di fare il passo che non aveva osato compiere la settimana prima: mette in minoranza i banchieri centrali di Germania e Olanda, Jens Weidmann e Klaas Knot, e la Bce decide di salvare il sistema senza di loro. Come succedeva ai tempi di Mario Draghi. L’euro e l’economia europea per adesso non vanno in pezzi. Ma le due visioni d’Europa, scontrandosi, ci sono andate vicine.
Federico Fubini
[ CORRIERE DELLA SERA ]