Con il Memorandum of Understanding (MoU) firmato a Roma nel marzo 2019, l’Italia è entrata a far parte della rosa dei partner della Cina nel progetto Belt and Road Initiative (BRI) – noto anche come “nuova via della seta” -, inaugurato dal Presidente cinese Xi Jinping nel settembre 2013.
Originariamente volto a connettere la Cina ai mercati dell’Europa Occidentale via terra e via mare, la BRI ha ormai esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina, e i suoi obiettivi ben oltre le reti di trasporto: la BRI persegue infatti l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale della Cina non solo sul piano infrastrutturale, logistico e commerciale, ma anche culturale, energetico e finanziario fino a diventare un vero e proprio strumento di politica estera.
Mentre Hong Kong, ancora scossa dagli scontri tra manifestanti e autorità, si prepara ad ospitare il Belt and Road Summit (una piattaforma internazionale che promuove la collaborazione commerciale tra i partner BRI), questo fact-checking cerca di far luce su alcune questioni chiave per BRI e i paesi coinvolti.
1) La BRI: solo ambizioni economiche?
No
La BRI rientra nella strategia cinese che mira ad aumentare l’influenza e il peso di Pechino nel mondo, sia sul piano economico che su quello politico-militare. Benché venga ufficialmente presentata come un progetto infrastrutturale di sviluppo economico attraverso una maggiore integrazione regionale e internazionale del paese, la BRI ha infatti un legame ormai acclarato con l’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) e il suo braccio navale (PLA Navy). Attraverso i progetti BRI, la Cina si sta dotando della capacità di estendere il proprio braccio geo-strategico oltre i confini regionali. Per esempio, la costruzione nell’aprile 2016 della prima base navale d’oltremare a Doraleh, un’estensione del porto di Gibuti, fornisce alla Cina accesso a vie marittime distanti dal territorio cinese che hanno permesso alla PLA Navy di stabilire una presenza nel Mar Rosso, avvicinandosi così anche al Mar Mediterraneo. La solida logistica fornita dalla BRI permette peraltro alla Cina di supportare la propria potenza militare a distanza.
Inoltre, all’interno del Corridoio Economico Sino-Pakistano (uno dei progetti di punta della BRI) è stata istituita una zona economica speciale per la produzione congiunta di aerei da caccia, sistemi di navigazione e hardware militari, con l’obiettivo di facilitare lo scambio di tecnologia militare tra Cina e Pakistan con conseguenze potenzialmente serie per la stabilità regionale.
Secondo il Libro Bianco del Congresso Nazionale del Popolo del marzo 2015 (il documento che delinea la visione e il piano d’azione di BRI), lo scopo ultimo del progetto è l’istituzione di “uno spazio strategico stabile e favorevole allo sviluppo a lungo termine dell’economia cinese”. A causa del numero crescente di investimenti cinesi nel mondo, questa stabilità è strettamente legata a quella dei partner BRI e delle regioni interessate dal progetto. Il PLA è pertanto chiamato a espandere i propri limiti di azione per far fronte al crescente numero di minacce che circondano gli interessi all’estero della Cina: tra queste, per esempio, quelle rappresentate dai fenomeni di opposizione violenta alle infrastrutture e al personale legato ai progetti BRI, come nel caso del Vietnam nel giugno 2018 e del Pakistan nell’agosto 2018.
2) Investimenti BRI: solo reti di trasporto?
No
Solo una parte degli investimenti BRI si è tradotta nella realizzazione di reti di trasporto: il 24% del totale, ovvero 301 progetti che valgono $179.9 miliardi e includono sia i trasporti su gomma sia il comparto ferroviario.
Su un totale di 1.247 progetti realizzati nel mondo nel contesto della BRI, il 32% (401) riguarda il settore energetico e ha l’obiettivo di aumentare l’interconnessione della Cina con le reti dei principali fornitori di risorse energetiche, nonché di acquisire competenze tecnologiche per gestire in modo più efficiente le proprie reti. In questo contesto, per esempio, nel 2014 la State Grid Europe Limited (SGEL), società del gruppo State Grid Corporation of China, ha acquisito una partecipazione del 35% dell’italiana CDP Reti, società che controlla Snam, Italgas e Terna, le reti di distribuzione elettrica e del gas. Sempre nel Sud Europa, nel 2016 la società cinese ha acquisito il 24% di ADMIE, società elettrica greca, con un investimento di 350 milioni di euro. Nel luglio 2018 un’analoga iniziativa nei confronti del distributore tedesco 50Hertz è stata invece impedita attraverso l’acquisto del 20% della società da parte della banca pubblica tedesca KfW. In Africa, a partire dal 2013, sono stati realizzati 59 progetti legati all’energia, all’acqua e all’estrazione di minerali (per un valore di 21,53 miliardi di dollari), con ingenti investimenti nell’ambito della costruzione di impianti di generazione idroelettrica, dell’estrazione di carbone e nella realizzazione di impianti petroliferi.
Merita inoltre particolare attenzione il settore delle telecomunicazioni che, sebbene ancora relativamente marginale (3% del totale dei progetti), ricopre un ruolo sempre più importante. Nel corso del 2018 è stata completata la Pak-China Optical Fibre Cable, una rete a fibra ottica tra Cina e Pakistan, lunga 2.950 km, che velocizzerà sensibilmente lo scambio di dati e di informazioni tra i due paesi. L’interesse cinese per la costruzione delle infrastrutture per le telecomunicazioni era già chiaro in Africa, dove il 70% delle reti 4G è stato realizzato dal colosso cinese Huawei.
Gli investimenti in telecomunicazioni all’interno del progetto complessivo della BRI sono probabilmente destinati ad aumentare, anche in considerazione della leadership tecnologica cinese nell’ambito del 5G, dove Huawei e ZTE dispongono per il momento delle soluzioni più competitive a livello internazionale. In questo settore, la Cina ha vissuto uno sviluppo particolarmente rapido anche grazie a sussidi pubblici generosi e a un mercato interno protetto dalla concorrenza estera.
3) Gli stati che aderiscono alla BRI aumentano la loro connettività?
Sì
Gli investimenti cinesi nell’ambito della BRI hanno portato grandi benefici nella forma di un aumento della connettività dei paesi riceventi, in particolare della connettività marittima, misurata in termini di integrazione di un paese (a prescindere dal fatto che esso abbia o meno accesso diretto al mare) nella rete esistente delle rotte di trasporto marittimo (oltre il 90% degli scambi mondiali avviene via mare). Molti dei paesi interessati soffrono di scarsa connettività, uno dei principali ostacoli al loro sviluppo: una connettività carente, infatti, fa lievitare i costi dei beni importati e rende meno competitivi i beni esportati. Per esempio, oggi in Tagikistan l’incidenza del costo di trasporto sul valore di un container importato è la più alta al mondo: $10.000 rispetto a una media mondiale di $1.877. Tutti i paesi destinatari di un numero elevato di progetti BRI hanno registrato aumenti significativi della loro connettività tra il 2013 e il 2018: tra questi, per esempio, l’Iran (99%), l’Indonesia (74%), lo Sri Lanka (68%), il Vietnam (59%) e il Qatar (11%).
4) I paesi BRI esportano oggi di più verso la Cina?
Sì, ma…
Tra i paesi che hanno ricevuto il maggior numero di progetti targati BRI, non vi è un andamento univoco dell’export verso la Cina. Dal grafico sottostante, che riporta i paesi con almeno 15 progetti BRI, emerge che alcuni di essi – Myanmar, Sri Lanka, Cambogia, Serbia, Laos e Vietnam – hanno in effetti registrato aumenti considerevoli dell’export verso la Cina (fino a quasi il 300%). Tuttavia, altri paesi destinatari di molti progetti BRI, per esempio l’Indonesia, non hanno registrato alcun aumento dell’export verso la Cina, e alcuni hanno addirittura registrato forti riduzioni, come il Pakistan, il Kazakistan e l’Arabia Saudita. In questi ultimi, è significativo il divario tra i risultati concreti e la narrativa che prevale internamente sui benefici della BRI quale canale per aumentare l’accesso al mercato cinese, che evidentemente non dipende soltanto da questioni puramente infrastrutturali.
5) I paesi attraversati dalla BRI importano di più dalla Cina?
Sì
L’import dalla Cina è aumentato significativamente e in misura tanto maggiore quanto più elevato il numero dei progetti BRI nei paesi considerati. La correlazione tra progetti BRI e import dalla Cina è alta e positiva, vale a dire che per ora i benefici in termini di accesso al mercato sono stati generalmente maggiori per la Cina che per gli altri paesi che hanno aderito all’iniziativa. A questo proposito, è bene ricordare che gli obiettivi commerciali prefissati dalla Cina con i paesi partner sono sempre formulati in termini di “interscambio” (cioè la somma di export e import) e non invece in termini di relazioni commerciali equilibrate che imporrebbero di considerare anche reciprocità, regolamentazione su pratiche non concorrenziali e violazioni di copyright.
6) La BRI può spingere i paesi a indebitarsi troppo?
Sì, ma…
I finanziamenti dei progetti BRI possono, in alcune circostanze, aumentare anche in modo preoccupante l’indebitamento dei paesi riceventi.
Tra i partner BRI che si sono maggiormente indebitati con la Cina, si possono distinguere tre gruppi. Il primo gruppo è formato da quei paesi che avevano già un elevato debito estero su PIL e che, ricevendo ingenti finanziamenti da Pechino, hanno ulteriormente aggravato la loro posizione debitoria. Questi paesi (rappresentati in arancione nel grafico) rischiano ora di incorrere in una crisi del debito. Il secondo gruppo di paesi (in giallo) presenta invece un rapporto di debito estero su PIL contenuto, ma ha contratto un forte debito verso la Cina (per esempio, Afghanistan e Cambogia), rischiando così di diventare dipendenti da Pechino dal punto di vista finanziario. Infatti, essere indebitati nei confronti di un solo grande creditore risulta più rischioso rispetto al caso di una maggiore frammentazione di paesi creditori. Infine, un terzo gruppo di paesi (in blu) registra un elevato rapporto debito estero su PIL ma pochi finanziamenti cinesi (per esempio l’Egitto). La crisi del debito che questi paesi rischiano non è quindi imputabile solo ai finanziamenti cinesi ricevuti, ma alle preesistenti condizioni del rapporto di debito estero su PIL.
Non è dunque detto che la maggior esposizione verso la Cina si traduca necessariamente in un rischio di insostenibilità del debito. Il preesistente stock di debito accumulato e il numero di paesi verso cui si contrae il debito rappresentano infatti due variabili fondamentali.
7) Gli investimenti BRI si concentrano soprattutto in Asia?
Sì
Gli investimenti BRI in Asia (centrale, meridionale, sud-orientale e nord-orientale) sono circa la metà del totale degli investimenti BRI nel mondo (pari a $321 miliardi distribuiti su 570 progetti). In particolare, fino al 2018 l’Asia Centrale ha ricevuto $96,6 miliardi (148 progetti), mentre all’Asia meridionale e sud-orientale sono stati destinati $158,22 miliardi (322 progetti). I paesi che ne hanno beneficiato maggiormente sono stati Malesia e Indonesia (rispettivamente $32,4 miliardi e $27,2 miliardi). In particolare, la Malesia ospita 55 progetti di cui 9 nel settore energetico ($8,48 miliardi) e 9 nel settore dei trasporti ($9,47 miliardi). Anche in Indonesia sono attivi 55 progetti, distribuiti tra settore energetico (19 pari a $12,6 miliardi) e dei trasporti (4 pari a $4,9 miliardi). In Asia nordorientale solo la Corea del Sud ha ricevuto investimenti targati BRI (15 progetti per un totale di $10,2 miliardi).
In Asia Centrale, il Pakistan è il paese che ha ricevuto il maggior numero di investimenti, pari a $39,6 miliardi per 52 progetti di cui 31 rivolti al settore energetico ($27,5 miliardi) e 14 al settore dei trasporti ($10,6 miliardi). Il Pakistan ospita infatti il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), uno dei progetti di punta della BRI che mira a connettere il sud-ovest cinese con il mar arabico (si veda la mappa sottostante).
Oltre al Pakistan, anche la Russia ha beneficiato di ingenti investimenti BRI, pari a $25,33 miliardi (37 progetti, concentrati per la maggior parte nel settore energetico).
Il Kazakistan, la porta della Cina verso l’Asia Centrale, ha ricevuto investimenti pari a $10,44 miliardi, suddivisi in settore energetico (6 progetti per $2,5 miliardi), chimico (2 progetti per $2,4 miliardi) e dei trasporti (2 progetti per $2 miliardi).
Infine, la Cina ha destinato all’Iran 18 progetti per un totale di $12,47 miliardi. Di questi, 6 progetti riguardano il settore dei trasporti per un valore di $4,2 miliardi, mentre altrettanti progetti si sono concentrati nel settore energetico ($3,5 miliardi). L’Iran ha acquisito una sempre maggiore importanza strategica per la Cina poiché la sua posizione geografica permette l’incontro dei corridoi Nord-Sud ed Est-Ovest.
8) L’Italia è un paese importante per la BRI?
Sì
L’Italia è uno snodo terminale strategico nella BRI, uno dei più importanti tra i 65 paesi coinvolti. Innanzitutto, insieme a Olanda e Polonia, è uno dei principali punti di ingresso delle merci cinesi in Europa.
Il vantaggio geostrategico dell’Italia quale accesso all’Europa continentale è aumentato dopo gli ingenti investimenti cinesi nel porto del Pireo di Atene (i due terzi del quale sono stati acquisiti dalla cinese COSCO), che è diventato ormai il principale hub dei commerci cinesi in Europa. Infatti, dal Pireo i container cinesi devono proseguire la loro strada verso i mercati europei più ricchi. Per questo, la Cina ha iniziato a guardare all’Alto Adriatico come sbocco strategico per collegare i commerci marittimi nel Mediterraneo con Austria, Germania, Svizzera, Slovenia e Ungheria. Il mar Adriatico ha certamente un vantaggio rispetto al mar Tirreno, la cui conformazione orografica e le difficoltà infrastrutturali (in particolare, le numerose gallerie ferroviarie e stradali) non facilitano lo sviluppo di ulteriori linee logistiche nell’entroterra.
Tra Pechino e il versante Adriatico della penisola esiste già da tempo un’intensa cooperazione. Trieste, per esempio, fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. La China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino, mentre il gigante CCCC intende impegnarsi con un’ingente esposizione finanziaria (pari a circa 1,3 miliardi di euro) nella realizzazione di una banchina ad alti fondali nel porto di Venezia. Sempre nell’Adriatico, nel 2018 la China Merchant Group ha investito 10 milioni di euro nel porto di Ravenna con l’obiettivo di rendere la città l’hub europeo dell’ingegneria navale e dell’Oil & Gas.
Nonostante la suddetta conformazione orografica meno vantaggiosa del Tirreno, la Cina non si limita all’Adriatico e si è interessata anche al panorama logistico ligure, che rappresenta un potenziale snodo per raggiungere i mercati della Francia e della penisola iberica. A tal proposito dal 2016 Pechino si è assicurata una presenza diretta attraverso una partecipazione del 49,9% del container terminal di Vado Ligure (40% attraverso COSCO Shipping e 9,9% in capo al Porto di Qingdao). La nuova piattaforma di Vado Ligure sarà operativa per la fine del 2019, verrà dotata delle più recenti tecnologie in termini di automazione e potrà accogliere navi di grandi dimensioni.