
Pur potendo esibire un curriculum fuori dal comune, l’attuale presidente del Consiglio si è presentato in punta di piedi sul palcoscenico politico nazionale. Anzi. Per i primi giorni è letteralmente sparito dai radar nazionali, tanto da provocare più di un disorientamento tra coloro che, o per mestiere o per curiosità, non riescono nemmeno a concepire l’idea di un leader impermeabile alle esigenze della visibilità a 60 pollici e della politica spettacolo. Poi, con lo scorrere dei giorni, Mario Draghi è via via entrato nella parte, rilasciando qualche dichiarazione, ora illudendo ora disilludendo i sovranisti, ora spingendo ora pungendo alcuni big dell’Europa.
Il curriculum speciale consente a Draghi di concedersi quelle libertà invano sognate dai suoi predecessori. Gli europeisti doc non possono mettere certo in discussione il tasso di attaccamento, all’Ue, di chi, da presidente della Bce, ha salvato l’euro e il suo club di nazioni aderenti. I sovranisti a oltranza non possono mettere in dubbio l’onestà intellettuale di un premier che non soffre alcun complesso di inferiorità nei confronti dei suoi parigrado del Vecchio e del Nuovo Continente.
Era da tempo che l’Italia non disponeva di un capo del governo libero di muoversi con marcata autonomia sul fronte interno e sul fronte esterno.
Fino a quando durerà? Fino a quando sarà possibile tenere insieme una coalizione formata da sigle apertamente in contrasto tra loro? Finora il carisma professionale di Mister Euro è riuscito a raffreddare i bollori dei più scalpitanti (leggi Salvini). Sarà così anche a medio termine?
La questione vaccini è decisiva. Se l’Italia riuscirà a recuperare il ritardo nelle inoculazioni, ritardo che la vede, per la prima volta, appaiata alla formidabile (per definizione) Germania, il presidente del Consiglio in carica potrà aggiungere un’altra medaglia al suo ricco palmarès. In caso contrario, anche Draghi dovrà ritirarsi in buon ordine e, tanto per iniziare, rinunciare da sùbito alla corsa in cui da anni viene considerato il favorito numero uno: la scalata al Colle.
Draghi, col suo prestigio, è chiamato a sfatare alcuni dogmi sulla gestione della cosa pubblica in Italia. Primo dogma: guai quando le maggioranze di governo contengono e comprendono tutto e il contrario di tutto, non si capisce nulla, i veti incrociati bloccano ogni decisione, la paralisi regna sovrana. Secondo dogma: guai quando le maggioranze di governo sono più risicate delle vittorie calcistiche per uno a zero, ottenute all’ultimo minuto e pure su autorete. In queste ultime circostanze, il potere di interdizione di ciascun parlamentare o di gruppetti di parlamentari è così esaltato da rendere pressoché impossibile sperare di governare in santa pace
Si dirà che in democrazia funziona così e che le repubbliche parlamentari devono rispettare procedure e prassi codificate. Giusto. Ma non per questo dev’essere precluso, a un sistema parlamentare, il momento, la funzione della decisione.
E però. La sua atipicità può permettere a Draghi di ignorare i riti della rappresentazione/mediazione politica permanente e di imporre il suo imprinting all’azione dell’esecutivo. Il Pd ha già dichiarato, attraverso il neosegretario Enrico Letta, di considerare quello di Draghi il governo del Pd, ossia quello auspicato.. Il M5S non può consentirsi neanche uno sgambetto sulla strada di Palazzo Chigi, pena lo scoppio di una crisi politica ad alto rischio. La Lega di Salvini deve fare attenzione a non tirare troppo la corda, perché la Lega di Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia potrebbe distaccarsi dal percorso del Capitano. Il partito di Berlusconi deve pregare e tifare minuto per minuto per il presidente del Consiglio allo scopo di scongiurare i rischi di fuoriuscite (a causa delle frizioni interne) in caso di rottura dell’attuale equilibrio politico.
Insomma, vuoi per storia e carisma personali, vuoi per la contingenza e le combinazioni temporali, Draghi ha l’opportunità di governare da primo ministro, non da presidente del Consiglio. La differenza non è formale o terminologica, ma sostanziale. Il primo ministro decide e va avanti. Il presidente del Consiglio media e, a volte, segue o, addirittura, insegue. Il primo ministro indica la linea. Il presidente del Consiglio la contratta e, in certi casi, la subis
L’Italia ha conosciuto molti presidenti del Consiglio e pochissimi primi ministri, anche perché la Costituzione non prevede quest’ultima figura, non avendo, la Carta, dotato gli inquilini di Palazzo Chigi dei cospicui poteri affidati, in altre nazioni, a premier e cancellieri vari. Con Draghi si potrebbe provare a cambiare, a verificare strada facendo i vantaggi (o gli svantaggi) di un primo ministro di fatto.
Ma – insistiamo – perché ciò possa verificarsi, è necessario che la campagna di vaccinazioni recuperi il tempo perduto e che il virus ammorbidisca l’assedio alla Penisola. In caso contrario, anche Draghi dovrà sottostare alle forche caudine, già attivate contro i «chigiani» del passato, e forse anche lui, come altri presidenti del Consiglio in 75 anni, dovrà rinunciare in partenza alla volata per il Quirinale, dove oggi, con largo anticipo, Super-Mario viene indicato come lo sprinter più possente per bruciare tutti sul traguardo.
GIUSEPPE DE TOMASO
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]