Quando le hanno fatto la domanda di rito sul suo essere «la più giovane leader al mondo», Sanna Marin ha alzato le spalle: «Non ho mai pensato alla mia età. O al mio genere» . Nel resto del mondo, e in larga parte dell’Europa, un governo capitanato (quasi) solo da donne under 35 può sembrare uno scenario avveniristico.
In Finlandia è cronaca dei giorni scorsi. Marin, 34 anni, è stata scelta dai delegati del Partito socialdemocratico finlandese come il nuovo premier del paese dopo il passo indietro di Antti Rinne, il leader affossato da una serie di scioperi e dalla sfiducia degli alleati liberali del Partito di centro finlandese. È la più giovane al mondo a ricoprire quell’incarico, anche se il primato dovrebbe essere (presto) scalzato dal cancelliere uscente dell’Austria Sebastian Kurz: 33 anni e destinato alla riconferma dopo il raggiungimento di un’intesa per il prossimo governo di Vienna.
Ora si insedierà alla testa di una coalizione di centrosinistra formata da cinque partiti, tutti guidati da donne, quattro di loro sotto ai 35 anni: Katri Kulmuni, 32 anni, leader del Partito di Centro e ministro degli Affari economici; Maria Ohisalo, 34 anni, a capo della Lega Verde e ministro dell’Interno; Li Andersson, 32 anni, leader dell’Alleanza di sinistra e ministro dell’Istruzione; Anna-Maja Henriksson, unica “fuori quota” a 55 anni, prima segretaria donna del Partito popolare svedese di Finlandia e ministro della Giustizia.
Anche l’ex primo ministro (conservatore) Alexander Stubb, oggi numero due alla Banca europea degli investimenti, si è congratulato per la svolta dell’esecutivo: «Il mio partito non è al governo, ma mi rallegro del fatto che le leader dei cinque partiti di maggioranza siano donne – ha scritto su Twitter – Dimostra che la Finlandia è un paese moderno e progressista».
Perché la parità di generi (e generazioni) viene da lontano
Non che la presenza di donne e giovani abbia qualcosa di inedito sulla scena politica finlandese, a dir poco pionieristica quando si parla di uguaglianza di generi e generazioni. Per usare l’espressione del parlamento di Helsinki, un organismo monocamerale da 200 seggi, la quota di deputate fra gli scranni è «lievitata» fino a sfiorare una parità esatta dei sessi nell’ultimo secolo.
Il totale di donne deputate è passata dalle 19 del 1907 (il 9,5% del totale) alle 94 del 2019, un record assoluto che ha portato le deputate a occupare il 47% dei seggi. In proporzione si tratta del quinto valore più elevato su scala mondiale, dopo il 61,3% del Rwanda, il 53,2% deI Cuba, il 53,1% della Bolivia, il 48,2% del Messico e il 47,3% della Svezia. La quantità di parlamentari donne si è accompagnata alla crescita, progressiva, della qualità degli incarichi assegnati.
Anche se la prima donna a ricoprire il titolo di ministro risale al 1926-1927, quasi 20 anni prima dell’estensione del diritto di voto alle italiane, la percentuale di politiche in ruoli governativi-politici di alto livello ha iniziato ad accelerare negli anni ’90 del secolo scorso. La prima presidente della Repubblica, la socialdemocratica Tarja Halonen, è entrata in carica nel 2000.
Tre anni dopo sarà il turno di Anneli Jäätteenmäki come primo premier donna della storia finlandese, anche se il suo incarico sarebbe durato solo 69 giorni prima di cadere sotto al peso di uno scandalo per l’uso improprio di documenti riservati contro il suo avversario Paavo Lipponen.
Nelle ultime squadre governative, la presenza di donne ha sempre raggiunto e superato il 50% del totale. L’apice si era raggiunto nel 2007, quando il secondo governo del liberale Matti Vanhanen ha iniziato il suo mandato con 12 donne su 20 ministri. Lo stesso numero di ministre nell’esecutivo che sarà guidato da Marin.
La crescita di donne si è accompagnata a un’età media sempre più giovane. La Finlandia vantava già nel 2018 una quota del 10% di parlamentari sotto i 30 anni (in Italia erano fermi al 6,59%), del 36% di parlamentari under 40 (in Italia non si andava oltre il 32,8%) e del 47% di parlamentari under 45 .
Lo scenario si è rinforzato con il voto del 2019. Oggi il 48% del parlamento è occupato da deputati sotto i 45 anni di età, con il primato dell’esponente dei Verdi Iiris Suomela: 24 anni, in politica dal 2013 e già vicepresidente del Consiglio comunale della sua città, Tampere.
Il paradosso demografico e la sfida con i sovranisti
Marin ha ribadito che la sua età è irrilevante, interessandosi semmai ai tanti nodi in agenda sulla politica nazionale. Uno di questi riguarda, ironicamente, proprio l’anagrafe dei suoi concittadini.
La Finlandia è alle prese da anni con una bomba demografica che sta facendo crescere la quota di anziani sulla popolazione, mettendo a repentaglio la tenuta del suo sistema di welfare e in particolare della sanità. Secondo i dati dell’Ufficio di statistica finlandese, l’Istat locale, la popolazione inizierà a calare nel 2030, per arrivare a 100mila cittadini in meno (su una popolazione di 5,5 milioni di persone) entro il 2050.
La quota di under 15 è destinata a cadere fino a 688mila unità entro il 2040, 178mila persone in meno rispetto al 2015, sottraendo 111mila cittadini dall’età lavorativa (15-64 anni). All’estremo opposto, la quota di over 65 è lievitata dal 13,5% del 2000 al 19,2% del 2018, mentre quella di over 85 è passata nello stesso periodo dall’1,5% al 2,7%.
Un incrocio sfavorevole di fattori che rischia di gonfiare le spese del sistema sanitario nazionale, non a caso al centro di svariati (e fallimentari) proposte di riforma negli ultimi esecutivi di Helsinki. Il timore di una voragine nella protezione sociale è anche un viatico per la forze della destra sovranista come il Partito dei finlandesi, un partito nazionalista che ha conquistato 39 seggi nelle elezioni di aprile con un’agenda che mescola una strenua difesa del welfare con toni xenofobi, euroscetticismo e una robusta vena anti-ambientalista.
Il cavallo di battaglia del partito, affiliato in Europa alla sigla sovransita Identità&Democrazia, è che la spesa sociale vada mantenuta ma «protettata» dall’allargamento dei servizi ai cittadini stranieri.
Il governo di Marin va in direzione contraria con politiche mirate a integrazione, equità sociale e contrasto del cambiamento climatico. L’obiettivo è «ricostruire la fiducia», ribaltando sondaggi che proiettano la destra nazionalista fino al 24% dei consensi. Quasi un quarto degli elettori, nel cuore del Nord Europa che si era ritenuta immune dalla proliferazione dei nazionalismi. Forse serve uno sguardo giovane, e lei spera che sia il suo.
Alberto Magnani
[ Il Sole 24 ORE ]