Il Vaticano fa sul serio. Francesco fa sul serio. Non sarà lui a firmare la pace perché la pace possono firmarla solo le potenze terrene, non quelle spirituali. Nel processo decisivo di avvicinamento alla pace, però, il Papa si dimostra molto più importante di quanto pensassero in tanti. In questa giornata storica di Roma è cominciato il dialogo frutto di un discorso che è il risultato maturo del modo razionale di confrontarsi con le diverse parti che ha sempre avuto Francesco. Che parla con i cinesi, non con gli americani. Che parla con Zelensky, non con Putin. Sceglie gli interlocutori che servono davvero per costruire oggi questa pace e, cioè, coloro che hanno più potere per realizzarla.
Perché gli americani seguono Zelensky e i cinesi hanno ascendente su Putin. Tutto ciò che è accaduto ieri a Roma è la dimostrazione che non è vero che non è possibile una iniziativa diplomatica seria, ma è anche la prova tangibile che questa iniziativa diplomatica ora si può fare perché si sono date le armi agli ucraini e gli ucraini non sono crollati. Noi come Paese siamo quello che siamo e non possiamo fare noi la pace, ma ci inseriamo con dignità e rispetto nel circuito positivo per quello che possiamo fare noi.
Se il dialogo vero oggi prende forma e se il Vaticano può costruire l’attesa della pace questo è possibile perché Putin ha visto che il sostegno occidentale all’Ucraina non si è mai interrotto ed è stato costretto a prendere atto che questo sostegno continuerà. Oggi Putin sa che non potrà fare il colpo di sfondamento e che dovrà fare i conti con la guerra lunga. È evidente ai suoi occhi che lo scenario che ha davanti è quello di una guerra costosa che può distruggere tutto vista la già evidente debolezza complessiva dell’economia e della tenuta sociale del suo Paese.
È grazie a queste scelte di politica estera dell’Occidente, per una volta nette e lungimiranti, che hanno determinato la situazione attuale che si può oggi aprire un discorso serio sulla pace nella capitale cosmopolita dei due Stati, Repubblica italiana e Vaticano, da sempre punto di incontro tra i Sud e i Nord del mondo. Qui emerge il ruolo di Roma. Grazie alla posizione netta assunta dall’Italia con Draghi che mette Scholz e Macron su un treno per Kiev e apre prima di tutti e porta con sé gli altri sulla strada che conduce all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea.
Grazie a un ruolo istituzionale e politico stimato e rispettato da tutti del nostro Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che va assimilato all’equivalente di oggi dei Fondatori dell’Europa del Dopoguerra che furono De Gasperi, Adenauer, Schuman. Grazie a una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dai banchi dell’opposizione e da quelli del governo ha fatto della scelta atlantista pro Ucraina la stella polare della sua politica estera. Il suo viaggio a Kiev e quello di oggi di Zelensky che viene a Roma prima di andare a Berlino significa qualcosa.
Oggi si può finalmente aprire una iniziativa diplomatica seria che apre la strada ai potenti della terra, Cina e Stati Uniti, per provare a costruire davvero la pace. È la Cina a dovere fare il suo con Putin come Zelensky dovrà fare il suo con gli Stati Uniti che a loro volta chiederanno a lui di farlo. In un quadro accertato di chiarezza assoluta sulle responsabilità terribili dell’aggressore e le ragioni limpide dell’aggredito e in un contesto di guerra di terra che non invoca ma ordina la pace, Putin non si può più sottrarre a un negoziato di pace di un certo tipo. Se non intende farlo allora bisogna prendere definitivamente atto che si ha a che fare con un pazzo e, in questo caso, l’Occidente farebbe bene a dargliene di più di armi all’Ucraina.
Di fronte alla situazione oggettiva che la guerra non si può vincere come diceva lui, a Putin resta la strada di deporre le armi e fare la trattativa, questo deve capire di suo o glielo deve fare capire qualcuno, altrimenti all’Occidente non resta che isolarlo e sconfiggerlo ancora più pesantemente sul campo con la determinazione che sarà necessaria. L’intelligenza italiana è stata e continua a essere quella di cooperare con le dinamiche internazionali e di non fare il solito grillo parlante che non può che prendersi il solito martello in testa. Questi comportamenti e questo modo di agire hanno contraddistinto la saldezza e la continuità dell’azione delle istituzioni italiane. Tutto ciò ha significato acquisire credibilità e peso perché si è fatto molto bene quello che si poteva fare nel contesto dato. Hanno sbagliato e continuano a sbagliare tutti quelli che lo mettono strumentalmente in discussione.
Mattarella e Meloni hanno il merito indiscutibile di avere accettato questo contesto per essere di sostegno a una dinamica occidentale sacrosanta in modo trasparente e con un ruolo realista che tiene conto di quello che siamo noi. Ovviamente con due esercizi del ruolo completamente diversi. Perché a Mattarella tocca quello di indirizzo generale e di peso europeo che sono legati a una coerenza storica di posizione. Alla Meloni tocca invece il ruolo di muovere le pedine di cui l’Italia dispone e di fare le cose anche se c’è qualcuno che si mette di traverso.
ROBERTO NAPOLETANO
[ il Quotidiano del Sud ]