venerdì, 29 Novembre 2024

G20, ecco le pagelle degli otto leader

di Paolo Valentino, disegni di Emilio Giannelli [ CORRIERE DELLA SERA ]

Mario Draghi: voto 9. Il premier tessitore che consolida i nuovi equilibri

È di nuovo in missione, il presidente del Consiglio, dieci anni dopo aver salvato l’euro. Questa volta per consolidare il nuovo ordine multilaterale. E quando gli viene chiesto se anche adesso farà «whatever it takes»Draghi si schermisce: «È facile suggerire cose difficili, è molto difficile eseguirle. Questo è il primo passo di una lunga e complessa transizione». Certo sul clima non tutte le aspettative sono state esaudite, ma non era mai successo che l’obiettivo di limitare a 1,5 gradi il surriscaldamento entro metà secolo fosse scritto nero su bianco su un comunicato del G20 : «Abbiamo ascoltato il punto di vista degli altri, condividendo le ambizioni». Ma il premier tessitore ha anche condotto in porto la Global minimum tax, i nuovi Diritti speciali di prelievo del Fmi (650 miliardi di dollari) a favore dei Paesi più poveri, gli aiuti per 100 miliardi di euro per la riconversione ecologica. Difficile negare il successo del G20. Voto 9.

Joe Biden: voto 8,5. Dialogante all’estero per rafforzarsi nelle sfide in casa

(di Viviana Mazza) Era arrivato venerdì a Roma, partendo in ritardo da Washington nella speranza di vedere il suo piano per la spesa pubblica e il clima approvato al Congresso. Lo aveva dimezzato ma non era servito. Eppure non è da presidente dimezzato che Joe Biden è stato accolto a Roma, tanto che un commentatore della Cnn suggeriva che se più americani guardassero il G20 forse questo potrebbe aiutare il presidente a risalire nei sondaggi. Biden ama la politica estera e durante il G20 ha tentato costantemente di «venderla» agli americani concentrati sui problemi interni, facendo notare i benefici della «politica estera per il ceto medio». È vero — come ha sottolineato lui stesso — che il mondo continua a cercare l’America: non solo gli alleati ma anche i rivali. E Biden ha mostrato che il dialogo è un modo per evitare sorprese che possano far deragliare le sue priorità, che restano la competizione con la Cina e un’agenda interna con una miriade di sfide. Voto 8,5.

  • G20,  le immagini: la giacca di lady Johnson, la “Bestia” di Biden, la mortadella di Bolsonaro
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Angela Merkel e Olaf Scholz: voto 10. La regina madre media sottotraccia e benedice l’erede

Come la diva di Viale del Tramonto in visita agli «studios» che per anni la videro protagonista tra gli applausi delle maestranze, la cancelliera tedesca al G20 è venuta soprattutto per congedarsi in stile e dare la sua benedizione al suo probabile successore. Olaf Scholz è stato il suo Doppelgänger in tutti i momenti del vertice: «Abbiamo voluto sottolineare che è molto probabile sia lui il prossimo cancelliere», ha detto Merkel. Più regina-madre che sovrana, la signora di Berlino ha lasciato volentieri a Mario Draghi il ruolo di campione del nuovo ordine multilaterale. Il suo contributo in favore del risultato finale, lo ha dato comunque nell’ombra, lavorando fra gli altri su Erdogan. Ora Merkel può fare proprio il motto di San Paolo: «Bonum certamen certavi, fidem servavi, cursum terminavi», ho combattuto una buona battaglia, ho conservato la fede, ho completato il mio cammino. Come le ha detto Draghi: «Faremo tesoro della tua eredità». Voto 10.

Emmanuel Macron: voto 7. Il presidente distratto, prima c’è la difesa della «grandeur»

Era distratto, il presidente francese, rispetto ai temi del vertice romano. Due problemi lo assillavano: l’onore perduto della Francia di fronte allo sgarbo americano sull’Aukus, l’accordo degli Stati Uniti con Regno Unito e Australia sui sommergibili nucleari. E la disputa sulle violazioni dei diritti di pesca da parte britannica in acque francesi. Nel primo caso una sola parola — «clumsy», maldestri — pronunciata da Joe Biden per giustificare lo stile (ma non la sostanza) della sua Amministrazione, è bastata a salvare la grandeur francese. A credito di Macron va l’aver strappato al capo della Casa Bianca un sostegno alla creazione di una difesa europea. Nel secondo, l’incontro con Boris Johnson è servito solo a far abbassare la tensione: ma Londra non ha cambiato posizione, la querelle rimane e Parigi lascia aperta l’ipotesi di varare misure di rappresaglia. Sui contenuti del G20, Emmanuel Macron ha seguito il lead di Mario Draghi. Voto 7.

Recep Tayyip Erdogan: voto 8. Il Figaro del vertice, cercato da tutti sui dossier più caldi

«Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono/Donne, ragazzi, vecchi e fanciulle/Uno alla volta per carità». Come il Figaro di Rossini, il Sultano è stato, insieme al padrone di casa, l’altro mattatore del G20. Tutti hanno voluto vederlo: Draghi, Biden, Macron, Boris Johnson e perfino Ursula von der Leyen, che ad Ankara in aprile era rimasta in piedi perché Erdogan non aveva previsto una sedia per lei. Il presidente turco è interlocutore ineludibile su tutti i dossier più caldi: Afghanistan e Nato, flussi migratori, Libia e Balcani. Lui, da vero neo-ottomano, ha alternato blandizie e velate minacce, concessioni e impuntature. Ha promesso che prenderà in considerazione il sistema di difesa missilistica franco-italiano Samp-T, ha incassato un’apertura da Biden sull’acquisto degli F-16 americani, ha detto che la Turchia «non ha intenzione di aprire le porte a una nuova ondata di profughi afghani». Ma come il Figaro, anche il Sultano ora è qua, ora è la. Voto 8.

IL G20 A ROMA

Xi Jinping e Vladimir Putin: senza voto. Lontani e vicini, così rivendicano le loro condizioni

Così lontani, così vicini. Come divinità distanti, i due convitati di pietra si sono appalesati soltanto sullo schermo. Un modo per muoversi senza spostarsi, partecipare al G20 senza starci dentro fino in fondo. Il presidente cinese e quello russo hanno rivendicato una leadership nella decarbonizzazione, sorvolando sul fatto che i loro due Paesi sono tra i maggiori «produttori» di emissioni nocive al mondo. La cosa positiva è che abbiano firmato il comunicato finale, anche se Xi Jinping e Putin hanno ribadito che per Cina e Russia la data ultima in cui raggiungere la neutralità climatica è il 2060. E anche se Pechino accetta di porre fine al finanziamento di centrali a carbone all’estero, rifiuta al momento ogni data per spegnare quelle domestiche. Quanto al multilateralismo, Xi e Putin lo sostengono, ma per «opporsi ai piccoli gruppi», alla «falsa democrazia», alla «nuova guerra fredda». Quale che sia la grammatica, senza Cina e Russia non c’è salvezza climatica. Senza voto.

di Paolo Valentino, disegni di Emilio Giannelli
[ CORRIERE DELLA SERA ]