Diverse città israeliane sono state colpite da razzi provenienti dalla Striscia di Gaza, provocando decine di morti. Immediata la risposta di Israele che lancia raid sulla Striscia, annunciando l’inizio di una nuova guerra contro Hamas.
Almeno 50 morti, oltre 740 feriti, più di 2.200 razzi. Questi i numeri, provvisori, dell’attacco contro Israele rivendicato da Hamas iniziato stamattina alle 6:30 dalla Striscia di Gaza. Si tratta di un’operazione senza precedenti, che starebbe avvenendo anche con incursioni via terra e con diversi ostaggi israeliani catturati dai militanti palestinesi, e che Hamas giustifica per difendere la moschea Al-Aqsa di Gerusalemme. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che il paese è “in guerra” e che “il nemico pagherà un prezzo altissimo”. Le forze israeliane hanno risposto lanciando un’operazione contro il territorio palestinese chiamata “spade di ferro”, che avrebbe già ucciso 160 persone, secondo i dati forniti dal ministero della Sanità di Gaza.
Mentre scriviamo, le informazioni non sono ancora del tutto confermate, ma gli elementi e le dinamiche degli attacchi in corso lasciano pensare che sia l’inizio di un nuovo conflitto tra lo stato di Israele e Hamas. Nel pomeriggio il Consiglio di Sicurezza Nazionale israeliano ha approvato l’inizio di operazioni di terra nella Striscia di Gaza. Ciò che distingue gli attacchi in corso dai precedenti è l’effetto a sorpresa e l’alto numero di vittime nei territori israeliani, attaccati anche con incursioni via terra dalla Striscia prendendo di mira i civili dei vicini kibbutz. Secondo alcuni commentatori, si tratterebbe di gravi mancanze dell’intelligence israeliana, sulle quali il governo avrebbe già aperto un’inchiesta.
Quale risposta di Israele?
Al momento, la risposta israeliana agli attacchi sta avvenendo sia via cielo sia via terra. Le Israeli Defense Forces (IDF) avrebbero già colpito diversi obiettivi nella città di Gaza con raid aerei in un’operazione chiamata “spade di ferro”. Come riporta Al Jazeera, all’ospedale di Al-Shifa sarebbero già arrivate decine di vittime provocate dai bombardamenti israeliani e i palestinesi uccisi sarebbero almeno 160. Contemporaneamente, la polizia israeliana ha annunciato che gli scontri sul terreno probabilmente “dureranno diversi giorni”. Come riporta il Guardian, le autorità israeliane non sarebbero in controllo di diverse comunità nel sud del paese, dove sarebbero scomparsi diversi civili, probabilmente catturati come ostaggi dai militanti di Hamas, mentre i morti sarebbero almeno 50. Si tratterebbe infatti di sette tra città e villaggi sotto il controllo del gruppo palestinese.
Alcune notizie non confermate e rilanciate dal quotidiano britannico parlano di 57 israeliani, sia vivi che morti, trasportati nella Striscia. Sia Hamas che l’organizzazione Jihad Islamico hanno dichiarato di avere in ostaggio soldati israeliani. L’infiltrazione e la seguente operazione via terra dalla Striscia, la cui barriera sarebbe stata demolita e i varchi di frontiera non sarebbero più sotto controllo israeliano, rappresenta un’azione militare mai vista da quando Hamas ha preso il potere del territorio nel 2007, e la prima volta in assoluto dagli accordi del 1949 che forze palestinesi prendono il controllo di territori all’interno della Green Line tracciata 75 anni fa.
Perché ora?
Uno degli elementi su cui si riflette in queste ore è perché l’attacco sia avvenuto adesso. Solitamente, infatti, i lanci di razzi dalla Striscia avvengono come ritorsioni dopo scontri o operazioni speciali in altri territori palestinesi. Hamas ha detto che l’operazione in corso, chiamata “tempesta di Al-Aqsa”, è una risposta agli attacchi israeliani contro le donne, la profanazione della moschea Al-Aqsa a Gerusalemme e l’assedio continuo a danno di Gaza. L’organizzazione che controlla la Striscia ha quindi chiamato alle armi la popolazione, rivendicando i target del gruppo, che avrebbe colpito “aeroporti e avamposti militari del nemico con oltre 5.000 missili”. Un altro elemento utile per interpretare l’attacco odierno è la ricorrenza della guerra dello Yom Kippur iniziata esattamente 50 anni fa: il 6 ottobre del 1973 una coalizione di stati arabi lanciò un’offensiva a sorpresa nel Sinai e sulle alture del Golan, ovvero territori precedentemente conquistati e occupati da Israele nella guerra dei sei giorni del 1967.
Sebbene militarmente Israele riuscì a rispondere all’offensiva, l’attacco si rivelò una vittoria politica per la coalizione guidata da Egitto e Siria, che dimostrarono di poter colpire Israele. Gli scontri di oggi avvengono in un contesto geopolitico del tutto trasformato, con i palestinesi molto più isolati sia politicamente sia militarmente rispetto a 50 anni fa, non potendo contare sulla stessa rete di alleanze tra i vicini paesi arabi, molti dei quali nel frattempo hanno normalizzato le relazioni con Israele.
Quali reazioni dal mondo?
Dopo l’inizio dell’attacco palestinese, diversi stati nonché l’Unione europea hanno comunicato il proprio sostegno ad Israele, rilanciandone il diritto alla difesa. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, così come la portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca, hanno condannato gli attacchi terroristici di Hamas. Il segretario alla Difesa USA Lloyd Austin ha detto che gli Stati Uniti garantiranno ad Israele tutto quel che è necessario per assicurarne il diritto alla difesa. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha invece fatto un appello alla comunità internazionale affinché ci sia una condanna unanime di Hamas e dei suoi alleati, nonché dei suoi sostenitori in Iran.
La diplomazia regionale è quella che si sta infatti muovendo più rapidamente. I ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Egitto e Giordania hanno parlato anche con l’Alto rappresentante della politica estera UE, Josep Borrell. Quella dell’Arabia Saudita è una posizione particolarmente interessante, dal momento che gli attacchi avvengono in un momento in cui Riyadh è impegnata in negoziati per la piena normalizzazione dei propri rapporti con Tel Aviv. Il regno saudita ha chiesto ad entrambi gli schieramenti di sospendere i combattimenti, ma è ancora presto per valutare il potenziale ruolo diplomatico saudita nella crisi in corso. Considerato il sostegno ricevuto da Hamas dai propri alleati iraniani e da Hezbollah, non è da escludere che questa guerra radicalizzi ulteriormente i contrapposti schieramenti regionali.
Il commento
Di Valeria Talbot, Head ISPI MENA centre
“Il massiccio attacco di Hamas nei confronti di Israele avviene sullo sfondo dei negoziati per la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, sponsorizzati dagli Stati Uniti nella cornice degli Accordi di Abramo del 2020. Un rapprochement tra Tel Aviv e Riyadh sarebbe di portata storica e avrebbe inevitabili implicazioni sugli equilibri di potere in Medio Oriente. La questione palestinese è uno dei nodi più difficili nel quadro negoziale e l’attacco di oggi sembra inteso a ricordare al mondo che nessun accordo può essere fatto senza tenere in debito conto le aspirazioni e il futuro dei palestinesi. Tuttavia, in un contesto mediorientale in profonda trasformazione, è legittimo chiedersi se Hamas abbia fatto bene i suoi calcoli”.
[ ISPI Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ]