sabato, 23 Novembre 2024

Genitori e figli. «Rispettare la differenza. Per educare ripartiamo da qui»

Luciano Moia [ Avvenire.it ]

La psicologa Anna Maria Bertoni: la proposta dell’Università Cattolica per rispondere alla sfida culturale dell’educazione all’affettività. Il ruolo dei genitori e degli educatori.

Da almeno trent’anni gli allarmi sull’emergenza educativa tornano periodicamente a interrogare famiglie, insegnanti, educatori, esperti. Perché non sappiamo più educare? Perché l’esperienza dei padri e delle madri non risulta più interessante per i figli?

La colpa del disastro viene di volta in volta attribuita alle famiglie disgregate, alla comunità che non riesce più ad essere “educante”, alla scuola che vive anni di disorientamento, alla Chiesa che propone modelli ormai superati, alla società troppo tollerante oppure troppo esigente. Ma come intervenire concretamente? Abbiamo ascoltato di tutto. Ipotesi talvolta corrette, talvolta parziali, punti di vista tanto reiterati da diventare luoghi comuni. Poi l’esplodere del digitale, con tutte le conseguenze che ben conosciamo, ha offerto lo spunto – e che spunto – per puntare il dito contro il mostro on line, per convincere e convincersi che il problema sia tutto lì: troppo virtuale fa perdere il senso della realtà e confonde le menti dei giovanissimi. Tutto vero, ma per risolvere l’emergenza educativa basta spegnere il pc e vietare lo smart phone ai ragazzi? I terribili episodi di violenza sessuale delle scorse settimane che hanno visto come protagonisti gruppi di giovanissimi in varie città italiane, raccontano che il problema è molto più complesso di quanto ci immaginiamo.

Accanto al degrado sociale c’è sempre quello umano e valoriale. C’è l’assenza di testimoni credibili, di adulti capaci di accompagnare con le parole e con gli esempi. Ma anche noi “grandi” avremmo l’urgenza di comprendere e di crescere. Anzi, prima ancora di capire. Chi ci pensa però? Ecco perché iniziative come quelle dell’Università Cattolica sono il segno di una volontà positiva che va sostenuta e incoraggiata. Anche in ambito educativo non si può intervenire senza conoscere, senza formare chi poi dovrà a sua volta aiutare e sostenere le persone impegnate sul fronte più difficile e più delicato, quello in cui i più giovani imparano a misurarsi con le difficoltà della vita.

L’INTERVISTA

Le relazioni umane si fondano sulla differenza. E oggi l’impegno più urgente e più drammatico che genitori ed educatori devono affrontare – anche alla luce dei ricorrenti episodi di violenza sessuale – è proprio quello di educare al rispetto delle differenze. Lo spiega Anna Maria Bertoni, docente di psicologia sociale all’Università Cattolica, responsabile del corso sulle relazioni affettive e sull’educazione all’affettività che partirà nelle prossime settimane.

Un corso per condurre gruppi di enrichment sulle relazioni affettive aperto ai professionisti e agli operatori di consultori, associazioni, pastorale familiare. Non solo informazioni tecniche ma un aiuto per la costruzione di un’identità matura. Come mai l’identità sessuale ed affettiva è diventata oggi un’emergenza?

È un’emergenza in quanto è qualcosa di strettamente connesso all’identità della persona, ovvero al “chi siamo noi”, che in questo momento è minacciato. Le sfide culturali e sociali che noi raccogliamo e che tratteremo in questo Corso non sono solo sfide e questioni legate ai comportamenti o ai costumi, ma all’identità stessa della persona che rischia di frantumarsi e di snaturarsi seguendo logiche del relativismo o dell’onnipotenza. Noi non possiamo essere tutto quello che vogliamo, la nostra identità è un’identità incorporata, ha a che fare con il nostro corpo, il suo essere, la sua immagine e i suoi limiti. La mente non può pensarsi senza un corpo, perché è “incorporata” e il corpo non può porsi, proporsi, imporsi senza una mente che lo anima. Il nostro corpo non è solo qualcosa che abbiamo. È qualcosa che siamo, noi siamo il nostro corpo.

Il nostro corpo non è solo qualcosa da curare, da mostrare, da usare, ma è un corpo in relazione e un corpo per la relazione. Oggi assistiamo a due derive opposte che hanno però come matrice comune quella di pensare che il corpo sia qualcosa che abbiamo, di cui disporre, sganciato dal nostro essere più profondo: un corpo da curare fino all’eccesso fino a essere quasi snaturato e un corpo negato nei suoi limiti, nella sua identità fino a essere quasi dimenticato. Come affermano Benasayag e Schmit, nell’Epoca delle passioni tristi, negare chi siamo non ci rende “altro” ma solo più impotenti. Sono questioni cruciali che vanno affrontate e non negate, non abbiamo ricette, ma ci facciamo interpellare e interrogare.

Qual è il background teorico di riferimento?

Il Corso muove da tre presupposti teorici e metodologici che lo orientano: (1) il Modello relazionale simbolico fondato da Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, (2) il metodo dei Percorsi di Enrichment Familiare (PEF) che si occupano di rafforzare il legame di coppia e quello tra genitori e figli messo a punto ormai da una ventina d’anni da un’équipe del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, (3) il Corso Teen Star sull’educazione all’affettività e alla sessualità ideato da Pilar Vigil, medico cileno e dottore di ricerca in fisiologia, che ogni anno viene in Università Cattolica a Milano a formare persone che si occuperanno di educazione all’affettività e alla sessualità. Di fatto, questi presupposti orientano la nostra formazione a un metodo rigoroso e scientificamente fondato come il metodo PEF e sono permeati dalla prospettiva antropologica di una persona che ha un’identità relazionale che si fonda su un’unione inscindibile di corpo e mente; tutti noi abbiamo una competenza relazionale e la nostra stessa identità si forma attraverso l’appartenenza a relazioni, il nostro stesso cervello è relazionale, vedi la presenza dei neuroni specchio, la capacità di relazione non è un’abilità, ma l’abilità che definisce l’essere umano.

Gli esperti che usciranno dal corso dovranno poi confrontarsi con le esperienze concrete dei gruppi che andranno a condurre, anche genitori alle prese con i figli adolescenti. Non c’è il rischio che la complessità della vita reale finisca per mandare in affanno il quadro di riferimento teorico?

I quadri di riferimento teorici, anche i migliori e i più acclarati, non sono mai esaustivi e risolutivi delle realtà che cercano di comprendere. Sono degli orientamenti rispetto a una realtà che è sempre eccedente, sorprendente, a tratti imprevedibile rispetto a qualsiasi quadro teorico. I quadri teorici non vengono messi in affanno dalla vita, ma servono per non farsi trascinare dall’affanno della vita cercando di meglio comprendere quello che accade, trovando un orientamento. La vita non si può risolvere, però si può comprendere e affrontare.

In realtà la mia domanda nasceva alla luce delle scelte di alcune importanti realtà educative cattoliche, come Salesiani, Agesci, Famiglie nuove dei Focolari, che nei mesi scorsi hanno avviato percorsi dedicati ai ragazzi lgbt+ proprio perché esiste una domanda crescente di aiuto su questi aspetti più delicati. Il corso terrà presenti anche queste situazioni?

Certamente, i nostri ragazzi sono interpellati da questi aspetti e il compito dell’adulto è di non rinunciare al proprio ruolo con la sua responsabilità educativa, anche se la realtà è particolarmente sfidante. Non possiamo lasciare da soli i ragazzi a fronte di queste sfide. Al riguardo il Corso prevede una Tavola rotonda aperta con esperti dedicata a questi temi.

Un altro aspetto importante è quello del virtuale. Come rispondere alle domande dei genitori che manifestano una crescente difficoltà rispetto al rapporto spesso contraddittorio e quasi sempre invasivo dei loro figli con il digitale?

Il virtuale è un mondo che è diverso ma non “altro” rispetto al mondo reale e i genitori sono chiamati a educare anche su questo. Sicuramente pone delle specificità e delle sfide particolari che vanno conosciute, anche perché è un mondo che presenta cambiamenti molto veloci che preoccupano moltissimo i genitori. La questione non si riduce a un approfondimento tecnico sul mondo virtuale ma di accompagnare gli adulti a riappropriarsi del loro ruolo educativo anche in questi mondi. Nel Corso tratteremo anche questi aspetti, in una parte dedicata proprio al mondo virtuale. I genitori possono educare anche su questo, non devono abdicare dal ruolo solo perché il virtuale è un mondo meno conosciuto per loro e per noi adulti. Come per altri temi, può essere un contenuto educativo di cui si può parlare, di cui ci si deve interessare e su cui si possono educare i ragazzi per non lasciarli da soli.

In quest’ottica intendiamo invitare gli adulti a riappropriarsi del loro ruolo educativo su questi temi, ruolo che non attiene tanto o solo alla conoscenza “tecnica” di ogni singolo mezzo o fenomeno online, quanto alla capacità di offrire ai ragazzi la propria “competenza” in termini di “sguardo lungo” sul loro futuro. Sebbene sia opportuno, infatti, che l’adulto si attrezzi per conoscere gli ambienti di vita, i contesti e gli interessi dei ragazzi che accompagna (online esattamente come offline), ciò che i ragazzi chiedono, è un accompagnamento di senso nell’abitare il loro ambiente di vita, fatto al contempo di offline e online.

Quanto contano per l’educazione all’affettività e alla sessualità gli esempi relativi al rispetto e alla promozione della parità di genere che arrivano dalla famiglia e dalla società?

Gli episodi di cronaca sempre più numerosi ci dicono delle derive a cui può arrivare una cultura in cui il corpo della donna è qualcosa di cui disporre e non una realtà da incontrare e con cui relazionarsi. Seppure dietro a questi fatti ci sono spesso fragilità psichiche evidenti, disturbi psichiatrici e tessuti relazionali distrutti, questa violenza che sembra inarginabile deve interrogare tutti. A mio avviso non si tratta solo di educare alla parità, complementarietà e reciprocità tra i generi, ma anche e soprattutto di educare al rispetto della differenza che l’altro, che sia uomo o donna, porta con sé. Oggi spesso la differenza è negata o temuta – due facce della stessa medaglia- ma la relazione umana si gioca proprio sulla differenza.

La relazione non è possesso né simbiosi, l’altro non è qualcuno da cui difendersi o da possedere, l’altro è qualcuno da incontrare nella sua diversità irriducibile. Questo è la sfida e la bellezza dello stare in relazione. Anche su questo lavoreremo nel Corso che, come strumento di lavoro, propone il setting gruppale che consente di lavorare specificamente sulle differenze tra le persone.

Luciano Moia

[ Avvenire.it ]