Cos’ è il Covid19? Creato in laboratorio, come dichiarato da Luc Montagnier, oppure naturale? Epidemia o endemia? Ci spieghi le differenze.
«Nel 2002- 2003 c’è stata la Sars; poco dopo, c’è stata una malattia pressoché identica, la Mers, in Medio-oriente, proveniente dai cammelli; oggi c’è il Covid19, una forma di polmonite atipica. Tutto inizia il 31 dicembre 2019, quando viene comunicato dalle autorità cinesi all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un focolaio epidemico di polmonite in corso di diffusione nella città di Wuhan (11 milioni di abitanti). Il 7 gennaio 2020 gli studiosi cinesi sono in grado di identificare un nuovo coronavirus (2019-nCoV) come causa dell’epidemia. Dopo tre settimane dalla prima comunicazione all’OMS viene confermata la trasmissione interumana del virus. Nel giro di poche settimane vengono rilevati nuovi casi in nazioni diverse, in tutto il mondo e in tutti i continenti. Il 16 gennaio, i ricercatori del Centro tedesco di Ricerca infettiva di Berlino sviluppano una nuova metodica di laboratorio per diagnosticare il nuovo coronavirus, e l’OMS ne pubblica le linee guida. Il 28 gennaio, i ricercatori del laboratorio di identificazione virale dell’Istituto australiano per l’infezione e l’immunità “Peter Doherty” di Melbourne dichiarano di aver cresciuto il nuovo virus in colture di tessuto dopo il suo isolamento dalla prima persona da loro diagnosticata con questa nuova infezione. Anche questa ricerca viene condivisa con l’OMS. L’epidemia a febbraio inizia a diffondersi rapidamente. L’11 marzo 2020, l’OMS dichiara la COVID-19 pandemia, in quanto l’epidemia è diffusa in vastissimi territori e continenti. Per la Sars, la Mers e il Covid19 c’è sempre stato un intermediario, ossia un’animale. Nel caso del Covid19 pare sia stato un pipistrello.
È noto a tutti ormai che questa sindrome è cominciata dal mercato del pesce di Wuhan. Ma c’è anche un’altra possibilità, come rilevato da alcuni miei illustri colleghi, ossia che questo virus provenga dal laboratorio di Wuhan. Non c’è nessuna evidenza scientifica per cui possiamo affermare che il virus sia stato creato in laboratorio. Numerosi ricercatori sono andati a predire le sequenze genetiche del Covid19 evidenziando una percentuale di differenza dal virus del pipistrello ma ciò probabilmente è dovuto al fatto che ci sono stati vari passaggi con un animale intermedio come il pangolino, non perché sia stato modificato artificialmente. Quindi io escludo l’origine artificiale. Tuttavia, non è impossibile che un ricercatore o un tecnico possa portare fuori, ovviamente si presume inconsciamente, un virus dal laboratorio».
Si cura il Covid19?
«Senz’ altro il virus si può combattere, anche nei casi più gravi, con i diversi antivirali utilizzati ad oggi, c’è addirittura un antimalarico che va per la maggiore. Per i casi più clinici la risposta più efficace si trova negli anticorpi: gli anticorpi dei guariti per quelli che sono malati in fase critica, prima di passare al ventilatore».
Ci parli della sieroterapia.
«Ha senso concentrarsi su questa terapia perché abbiamo già a nostra disposizione gli anticorpi dei guariti che possiamo ricavare con la plasmaferesi, una tecnica di separazione del sangue che viene usata per diversi scopi. La cura con il plasma dei pazienti guariti da Covid19 si sta sperimentando in tutto il mondo. È una terapia, dimostrata con lavori scientifici pubblicati, che consiste in 200 ml di plasma i quali in 48 ore azzerano il virus. Non sono notizie campate in aria, ma pubblicate su giornali scientifici. Prassi utilizzate in particolare dai cinesi che hanno avuto un’esperienza recentissima e che si usavano già nelle esperienze con la Mers e in altri Paesi, come Germania, Stati Uniti, Israele. In Italia si stanno ottenendo dei risultati positivi. Voglio ricordare che non ci troviamo di fronte a una terapia sperimentale da dover studiare. È una pratica conosciuta da secoli, utilizzata anche da Pasteur nell’Ottocento: si sono sempre prelevate le gammaglobuline dai guariti per curare i malati.
La trasfusione di plasma è stata utilizzata con successo nelle altre due epidemie da coronavirus, la Sars del 2002 e la Mers del 2012, – riuscendole rapidamente a circoscrivere – immettendo il plasma in uno stadio preciso della malattia; e cioè quando già si evidenzia una scarsa ossigenazione e il paziente è sottoposto a ventilazione assistita con casco C-pap, ma non è ancora intubato. È una terapia che, come molte, presenta rischi ma, francamente, non si capisce proprio perché l’Oms – che ne aveva confinato l’utilizzo “solo nel caso di malattie gravi per cui non ci sia un trattamento farmacologico efficace” – non ne abbia suggerito, almeno, la sperimentazione durante questa emergenza Covid19. Le posso dire che oltre alla sieroterapia, anche l’antimalarico sta dando ottimi risultati».
Il mondo è alla ricerca spasmodica di un vaccino. È una soluzione?
«Nell’affrontare le epidemie servono due cose: competenza e ordine, soprattutto nelle vaccinazioni. La soluzione non sarà il vaccino anche perché in questo momento non ce l’abbiamo. Per un vaccino efficace e “privo di rischi” ci vogliono “almeno diciotto mesi” e non è detto che in questo caso funzioni perché non esiste un solo Covid19. Un virus può mutare in appena cinque giorni. Sulla sostanziale differenza del virus presente qui da noi con quello di Wuhan, già a fine febbraio c’era uno studio, riportato anche nella dichiarazione del dottor D’Anna, che evidenziava come ben cinque nucleotidi del ceppo padano risultassero differenti rispetto al ceppo cinese di Wuhan. Il vaccino, per principio, è un metodo di prevenzione. Quello contro l’Aids lo aspettiamo da 30 anni e non siamo riusciti a trovarlo. Siamo in presenza di un virus estremamente mutevole. Esistono più versioni del virus ed è per questo motivo che non può esserci un vaccino in grado, come nell’influenza, di metterci al riparo completamente. Difatti, se il virus ha come sembra più varianti, sarà complicato avere un vaccino che funzioni in modo efficace, esattamente come avviene per i vaccini antinfluenzali che non coprono tutto».
Il virus sta realmente perdendo virulenza? Quando ce ne libereremo?
«Il Covid19, più che perdere virulenza, si comporta come i virus influenzali che dapprima si espandono con l’epidemia, poi dopo che la popolazione sviluppa gli anticorpi e si immunizza, il virus non può più circolare. Questo vale in linea di principio per tutti i virus naturali. Ritengo che in estate, quasi sicuramente, saremo abbastanza immunizzati. Col caldo tutto dovrebbe tornare alla normalità. Nella stagione successiva, se dovesse ripresentarsi, il virus potrebbe attaccare solo quei pochi che non hanno ancora sviluppato gli anticorpi. Secondo uno studio inglese, più del 60% degli italiani è stato contagiato ed ha sviluppato gli anticorpi. Per il prossimo autunno noi saremo, in larghissima parte, naturalmente immunizzati. A mio avviso, il Covid19 potrebbe sparire completamente come la prima SARS, oppure ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Per questo serve una cura più che un vaccino». Come mai un virus appartenente alla famiglia dei coronavirus ha generato così tanti problemi.
Ritiene realmente che ci sia un collegamento tra le vaccinazioni antinfluenzali e la pandemia? «Per rispondere a questa domanda sono necessarie delle premesse e delle argomentazioni, partendo da alcuni numeri, tra l’altro al centro di alcune ricostruzioni giornalistiche negli scorsi mesi e motivo di discredito nei miei confronti e di alcune mie dichiarazioni, fondate e non campate in aria. Esiste un famoso lavoro dell’esercito americano che indica l’aumento del rischio di contrarre il coronavirus del 36% nei soggetti che hanno effettuato il vaccino antinfluenzale. Interessante è anche uno studio della scuola olandese, pubblicato nel 2008, su un’epidemia da pneumococco e da meningococco attivata dal virus dell’influenza e dal virus respiratorio sinciziale. A Bergamo, il vero epicentro dell’emergenza come sottolineato da più parti, dove si è verificato qualcosa di ingestibile e che francamente ha stupito anche me, che mi trovo a lavorare con epidemie da decenni, c’è stata una richiesta di ben 185mila dosi di antinfluenzale. In concomitanza c’è stata un’endemia da meningococco per cui sono state richieste 34mila dosi. Tutti questi eventi sono sicuramente importanti, specialmente se messi a confronto con quello studio sull’esercito americano e quello olandese sul virus respiratorio sinciziale».
L’inquinamento, oltre che le temperature, come da Lei già sottolineato, influiscono sul virus?
«Ci sono sicuramente delle relazioni e a ciò aggiungerei una cosa forse sottovalutata da molti. Il fatto che i focolai di coronavirus italiano siano nella Pianura Padana, principalmente in Lombardia e Veneto, potrebbe dipendere da fattori ecologici, come alcuni tipi di concime industriale. Questi potrebbero aver alterato l’ecosistema vegetale e, quindi, animale nel quale uno dei tanti coronavirus normalmente in circolazione può aver avuto una inaspettata evoluzione».
Pensa che si possa incolpare la Cina di quello che è successo?
«Il discorso è molto più complesso. È facile voler trovare un responsabile, è tipico dell’uomo. Mi sono già espresso in merito all’origine naturale del virus ed eviterei di trasformare la Cina in un capro espiatorio, per giustificare inefficienze che sistemi sanitari all’avanguardia non dovrebbero avere. È necessaria un’argomentazione. Sulla diffusione del Sars-Cov 2, conta la zoologia correlata a una certa latitudine geografica. I virus influenzali hanno origine o da alcuni animali volatili o da alcuni animali acquatici. In primis i pipistrelli: è stato calcolato che nell’intestino di un pipistrello della Cina meridionale si celino almeno 50 tipi di coronavirus diversi. E, considerando che il pipistrello ha anche una grande importanza alimentare nel Paese, non ci si può certo stupire che il 3% degli agricoltori di tutta la Cina risulti positivo ai coronavirus: nella stragrande maggioranza dei casi fortunatamente si tratta di forme benigne. Coronavirus e Sars sono due parenti stretti, in quanto fanno parte della stessa famiglia e hanno la stessa derivazione animale.
La “prima” Sars però, in rapporto a quello che fu il suo livello di diffusione, probabilmente può considerarsi anche più temibile: durata sei mesi, in Cina colpì 8mila persone e ne uccise 774, giungendo così a un tasso di mortalità totale del 10%. Il Covid19 invece, pur con un’estensione epidemica maggiore (in Cina è stata colpita una popolazione di circa 81mila persone), a circa quattro mesi dall’inizio dell’epidemia ancora non supera il 3-4% di mortalità. Le vittime accertate finora infatti sono qualcosa in più di 4mila. In Italia l’indice di mortalità non è da sottovalutare, tuttavia bisogna tener conto che riguarda pur sempre i contagiati ospedalizzati, che sono meno dei contagiati asintomatici o che non hanno bisogno di cure ospedaliere.
Un virus che crea qualche grattacapo: richiede una larga e pronta disponibilità di postazioni per la terapia intensiva e in un certo senso inchioda alle loro responsabilità pregresse coloro che hanno gestito la Sanità pubblica nel passato, autorizzando tagli senza criterio. Tuttavia, anche i trattamenti d’emergenza riguardano uno spicchio molto ridotto della popolazione, e cioè il 4,7%. Con l’ebola chiaramente non ci sarebbero paragoni».
L’Italia come ha gestito l’emergenza?
«Ritengo che siano state decise misure con una tempistica poco felice: varate in ritardo sull’effettiva convenienza ma al momento giusto, se vogliamo dire così, per aumentare stress e panico. Stress e panico di cui qualcuno sicuramente dovrà pagare il conto. È acclarato che in Italia il virus circolava probabilmente già da moltissimo tempo. In Lombardia è scoppiata una “bomba atomica”, tutto in un lasso di tempo troppo breve a fronte della capacità del Sistema Sanitario. L’Italia ha chiuso i voli diretti con la Cina, senza controllare gli arrivi indiretti attraverso gli scali e quindi è stato possibile aggirare il divieto. A tutto questo si aggiunge lo sfascio del nostro Sistema Sanitario Nazionale: dal 1997 al 2015 sono stati ridotti del 51% i posti letto delle terapie intensive. A gennaio quando si è saputo dell’epidemia in Cina, l’Italia non ha fatto nulla. La Francia – che non aveva nel tempo ridotto le terapie intensive – a inizio anno si è preparata e le ha raddoppiate. Noi no, siamo arrivati tardi. Sarebbe stato opportuno per esempio pensare per tempo a un raddoppio dei reparti di terapia intensiva. A ciò si deve aggiungere l’esistenza dei tuttologi, ma soprattutto le tante, troppe, divisioni nell’ambiente scientifico, a tratti perfino pretestuose».
Il “lockdown” era l’unica soluzione? L’immunità di gregge, inizialmente auspicata dal Regno Unito si è rilevata un fallimento: lo stesso Boris Johnson si è ammalato e ha cambiato rapidamente strategia.
«Su questo si è fatta molta confusione. Inizio col dire che io sarei stato favorevole alla ricetta utilizzata in Israele e quindi alla protezione degli anziani, lasciandolo però circolare tra i più giovani, che hanno maggiori difese immunitarie verso questo virus. Al riguardo possiamo fare un confronto con la madre di tutte le pandemie, la Spagnola. La Spagnola, al contrario del Covid19, era un virus influenzale che arrivava in un periodo, quello della Prima Guerra Mondiale, di per sé già drammatico – con persone denutrite e in condizioni di igiene e salute molto precarie – che nella seconda ondata, colpì soprattutto i giovani e risparmiò in gran parte gli anziani, già immunizzati perché avevano maturato gli anticorpi di virus precedenti. Il Covid19, al contrario, è un virus che è meno aggressivo sui giovani e sui bambini. I casi di polmoniti interstiziali e trombo-embolici polmonari registrati sono soprattutto su soggetti anziani e con patologie pregresse. Sarebbe stato auspicabile parlare di immunità di gregge partendo dai giovani. L’immunità di gregge è quella che normalmente si cerca di ottenere con una vaccinazione verso un determinato agente che può essere un virus o un batterio. Attraverso questa si riesce ad ottenere il 95% della risposta immunologica delle varie persone, per questo si parla di “gregge”.
Il che vuol dire arrivare ad un numero che ci rende abbastanza tranquilli sul fatto che quell’agente non circolerà più, perché troverà gente vaccinata e quindi verrà bloccato. Inizialmente, il primo ministro inglese ne parlò, poi ha cambiato idea, essendo egli stesso protagonista del contagio. In merito al lockdown dico semplicemente che a mio avviso non ha senso, quantomeno non più e sarebbe insensato riproporlo nuovamente, come più volte si minaccia di fare. Il virus, così come tutti i virus, prolifera in spazi chiusi. Il sole e il mare sono gli antivirali per eccellenza. La stagione estiva e la salsedine sono ottimi alleati. Ad ogni modo consiglio a tutti di stare all’aperto. Aiuterà a curare anche le ferite dell’anima provocate dal lockdown»
Possiamo riaprire e se sì come?
«Sì che possiamo riaprire tutto, sarebbe sciocco fare diversamente. Io riaprirei i teatri, i cinema, gli stadi, insomma tutto. Il buon senso nell’affrontare la vita rappresenta già un’ottima precauzione contro il virus, o meglio contro i virus e batteri con cui quotidianamente veniamo a contatto. Hanno già riaperto tutti, non capisco perché noi in Italia non lo facciamo. Bisogna riaprire, certo con intelligenza e buon senso, ma non possiamo morire di fame o sviluppare malattie mentali per questo motivo».
Cosa pensa dei protocolli e del distanziamento?
«Trovo esagerato il tutto. Le malattie infettive si sono, da sempre, combattute con l’isolamento dei “soli” soggetti infetti. Nell’affrontare il Covid19 si sono isolate, in teoria, milioni di persone non isolando de facto i soggetti infetti. Il sistema di monitoraggio si è rilevato molto poco efficiente. Le abitazioni, gli ospedali ma soprattutto le RSA si sono rilevati ambienti assai confortevoli per il virus. A mio avviso si è fatto il contrario di quello che andava realmente fatto».
Il calcio e lo sport un rischio?
«Ritengo che pur con le debite distanze da rispettare sempre, almeno in questa fase inziale, si potrebbe tornare allo stadio già da domani. Idem per cinema, teatri, concerti e persino per le manifestazioni».
Sono veramente utili le mascherine e i guanti?
«Penso che ci siano tutte le condizioni per non indossare le mascherine all’aperto. Meno che mai sono consigliabili per un anziano che con queste temperature potrebbe subire aumenti pericolosi dell’anidride carbonica».
È concreto il rischio di una seconda ondata?
«Il Sars-CoV2 fa parte della popolazione virale dei coronavirus. E come tale si comporta, con un inizio ed una fine. Queste persone che fanno previsioni anche sull’ipotesi di una seconda ondata, sono le stesse che dicevano che in Germania, dopo appena due giorni dall’inizio della fase 2, il valore R0 era di nuovo salito a 1. Cosa non vera, perché due giorni non bastano per osservare un incremento del valore di riproducibilità virale di cui stiamo parlando. Il valore R0 in Germania è salito a 1,1? Sì, quindi un infettato può contagiare un’altra persona in caso vi siano stati contatti fra i due. Oppure se l’infettato ha avuto contatti con più persone, può averle contagiate tutte. Questo valore R0 però ha una validità sensibile nel momento in cui la fase epidemica è al massimo della sua diffusione, non ora. Quando ci si trova in un momento di decrescita, come in Italia o in Germania, le cose non vanno più considerate in modo così grave e pessimistico. Quindi non credo che una seconda ondata ci sarà. O presumibilmente, se ci dovesse essere, troverebbe molta parte della popolazione già immunizzata».
Di numeri se ne sono dati tanti: può spiegarceli? Alta mortalità?
«L’alta mortalità è dovuta non certo a un virus più cattivo, ma alla sottostima del numero dei contagiati, soprattutto nel Nord Italia. In Italia, i contagiati da Covid19 non sono quelli conteggiati dalla Protezione civile, basandosi solo sui pochi tamponi diagnostici effettuati dalle Regioni. Assolutamente no. Le stime più attendibili prospettano, al pari delle periodiche epidemie influenzali dai sei ai dieci milioni di contagiati da Covid19, solo in Italia. A questo dato sicuramente non marginale, se ne deve aggiungere un altro. Credo e lo dico convintamente, che vi sia un’eccessiva enfasi nella divulgazione dei numeri. In base ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità di cartelle cliniche relative ad esami autoptici eseguiti su presunte vittime da Covid19 abbiamo che in 909 casi solo 19 sono da attribuirsi come causa diretta e reale al Sars-CoV2. Sottolineo che col tempo, rispetto alle analisi iniziali, dove vi era un’attenta analisi delle cartelle cliniche dei pazienti, si è forse fatto confusione tra persone con coronavirus e persone morte di coronavirus».
A proposito di esami autoptici: le cremazioni che sono state effettuate per rispettare un’apposita ordinanza del Ministro della salute erano indispensabili?
«La vicenda autopsie, per altro molto ridotta nell’epidemia cinese a Wuhan, è stata inizialmente molto importante per i casi italiani. Infatti ha dimostrato che la mortalità non avveniva per la polmonite interstiziale, ma soprattutto per un meccanismo trombo embolico dei piccoli vasi di diversi organi vitali e pertanto l’importanza, ovvia per un pronto soccorso o letti in reparti di terapia intensiva, di utilizzare l’eparina ed il cortisone. Il “consiglio” del Ministero della Salute a non effettuare autopsie non poteva certo riferirsi ad un rischio di contagio per un virus che non sarebbe sopravvissuto su cellule non più viventi, ma ha permesso poi con l’eccessivo uso della cremazione di togliere quella che è sempre stata la base di una diagnosi anatomopatologica in grado di distinguere una morte da epatite virale in confronto ad una epatite da blocco di calcolo del coledoco non diagnosticato, questo vale ovviamente in particolare per le morti da tromboembolia dei piccoli vasi degli organi vitali, che non venivano salvati dalla somministrazione di ossigeno».
Sistema immunitario, controllo dello stress e vitamine. Sono alleati preziosi?
«Sicuramente e mi faccia dare un consiglio “prezioso”: noi dobbiamo staccare la spina ad una “informazione” ansiogena e ipocritamente intrisa di appelli a “non farsi prendere dal panico”. Bisogna considerare che oltre il 99% delle persone che vengono contagiate dalla malattia guariscono ed i loro anticorpi neutralizzano il virus e possono pertanto essere utilizzati per i contagiati più gravi. Come prevenzione si suggerisce quanto già conosciamo per il raffreddore e l’influenza: frequente ed approfondito lavaggio delle mani e del viso, coprirsi con il gomito da tosse e starnuti, stare a casa se ammalati, richiedendo l’immediato intervento sanitario se intervengono difficoltà respiratorie. Le vitamine sono alleate preziose, non solo per combattere il Coronavirus. La vitamina C potenzia il sistema immunitario e non deve mancare».
La sua posizione sulle vaccinazioni è controversa. Dicono sia un “No Vax”, è vero?
«Nella vita io ho studiato per cercare vaccini, quindi declino fermamente questo appellativo. Tuttavia, l’obbligo vaccinale di massa non ha alcun senso ed è a mio avviso controproducente. È chiaro che la vaccinazione, in generale, è un fatto positivo per la salute delle popolazioni ma bisognerebbe fare un’anamnesi di ogni caso, capire quale è la storia di ogni paziente. Noi siamo invece al cospetto di campagne di massa e di medici che per principio dicono che i vaccini non hanno effetti collaterali. Ma è assurdo. Il vaccino è di per sé un farmaco e può avere effetti collaterali, anche gravi».
Paolo Becchi
[ Libero ]
Giulio Tarro, nato a Messina il 9 luglio 1938, si è laureato con lode in Medicina e Chirurgia all’Università di Napoli nel 1962. Già professore di Virologia Oncologica dell’Università di Napoli, primario emerito dell’Ospedale “D. Cotugno”, è stato “figlio scientifico” di Albert B. Sabin. Per primi hanno studiato l’associazione dei virus con alcuni tumori dell’uomo presso l’Università di Cincinnati, Ohio. Tarro ha scoperto la causa del cosiddetto “male oscuro di Napoli”, isolando il virus respiratorio sinciziale nei bambini affetti da bronchiolite. In questa intervista Giulio Tarro risponde in modo molto articolato sull’emergenza Covid19.