Il tema della giustizia ed in particolare della tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi dei cittadini è uno dei punti fondamentali della nostra Carta costituzionale (art. 24 Cost.). Nel patto tra Cittadini ed Istituzioni la giustizia integra l’elemento principale della società civile. Con l’articolo 111 della Costituzione lo Stato è impegnato ad erogare la tutela mediante “giusto processo”, in un tempo ragionevole, nel rispetto del contraddittorio. Detto giusto processo deve essere gestito da un giudice terzo ed imparziale, precostituito per legge (art. 25 Cost.), il cui operato va valutato, alla luce del controllo esercitabile sulla sua attività, in virtù della analisi della motivazione delle sentenze, che consente un controllo di logicità sull’operato del giudice stesso, attraverso il sistema delle impugnazioni (di merito e di legittimità).
Se questo è l’impianto costituzionale della tutela, in particolare della tutela civile (che fa meno notizia, ma che incide in modo rilevante sugli interessi personalissimi ed economici delle persone e delle imprese) è indubbio che esso non è, attualmente, in grado di rispondere efficacemente alle esigenze dei cittadini e del mondo economico (nazionale ed estero). Pertanto, è necessaria una profonda riforma del nostro “sistema giustizia” per portarlo ai livelli dei sistemi operanti nell’Unione europea.
Il P.N.R.R., avendo tra i suoi principali obiettivi la funzionalità della giustizia, costituisce l’occasione per approntare una ampia riforma del sistema della tutela, investendo su di esso, al fine di mettere in grado la giustizia di utilizzare al meglio le tecnologie, pur nel rispetto del diritto alla difesa.
Invero, tutte le ultime riforme della macchina processuale, essendo state fatte a costo zero, hanno prodotto un risultato insignificante.
Potendo, ora, investire i denari del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sulla funzionalità della giustizia, è auspicabile che ne possa scaturire una riforma della tutela dei cittadini, idonea a fornire una migliore sistematica e funzionalità del suo impianto nell’interesse della collettività.
La legge n. 206, del 2021, ha dettato interessanti deleghe, da attuarsi entro il 2022, in tema di giustizia civile: in precedenza era già stata emanata la delega all’Esecutivo per la riforma del processo penale (L. del 24 settembre 2021, n. 134) ed il 17 maggio 2022 il Consiglio dei Ministri si è occupato della riforma del processo tributario (altro punto assai dolente del nostro ordinamento giudiziario).
In questo quadro di riforme (che si occupano anche: di soluzioni alternative al giudizio; di Ordinamento giudiziario e di regole per il funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura), sommariamente descritto, si collocano i cinque referendum sulla giustizia, che hanno superato il vaglio della Corte Costituzionale (come è noto i due referendum proposti in tema di responsabilità dei magistrati non sono stati promossi dall’esame dei giudici della legittimità delle leggi).
Prima di esaminare il portato di ognuno dei essi, chiarisco subito il mio pensiero relativo ad una consultazione referendaria in tema di gestione del sistema giustizia.
Sappiamo che il referendum, del prossimo 12 giugno, è di natura abrogativa, esso cioè incide sul sistema operando dei tagli all’impianto normativo vigente con l’accortezza di produrre poi un sistema idoneo a funzionare, ma pur sempre frutto di amputazioni. Pertanto, ritengo che detto modo di procedere non sia utile al sistema giustizia che, invece, necessita di riforme organiche e coordinate per accrescerne la sua efficacia e la sua funzionalità. Tali riforme, come si è visto, sono già all’attenzione del Parlamento o dell’Esecutivo da esso delegato ed alcuni dei decreti legislativi, in fase di emanazione, renderanno inefficaci i risultati della consultazione popolare, qualsiasi esito derivi da essa.
Alla luce di queste ulteriori brevi considerazioni, ribadisco la mia contrarietà ad operare con un referendum di natura abrogativa sull’impianto della tutela dei cittadini e delle imprese.
Espresso, dunque, il giudizio generale di sistema, veniamo ora all’analisi dei cinque quesiti referendari.
Il primo ed il secondo, aventi ad oggetto la valutazione dei giudici, in un previo giudizio del Consiglio Giudiziario ed il numero delle firme necessarie per la presentazione della candidatura alle elezioni per il C.S.M., sono meramente coreografici e privi di ogni ricaduta, di natura concreta, sul sistema giustizia. Basti pensare che il giudizio disciplinare e la valutazione dell’operato dei giudici sono di competenza del C.S.M., per nulla vincolato da ciò che, preliminarmente, fanno i vari Consigli giudiziari, sedenti presso tutte le Corti d’appello. Analogamente non risolve lo scottante tema della “correntizzazione” della magistratura, il numero delle firme raccolte per presentare la propria candidatura al Consiglio Superiore: sono, come si è detto, aspetti non rilevanti di un tema invece assai delicato che deve essere regolato in modo organico, avendo particolare attenzione all’impianto costituzionale.
Invero, i temi sollevati sono importanti, ma le soluzioni che possono ottenersi dall’esito positivo della consultazione referendaria sono prive di ogni rilevanza concreta.
Di contro appaiono pericolose e fuorvianti le ipotesi offerte dai quesiti referendari riguardanti l’abolizione della “legge Severino” nonché quello relativo alla modifica delle regole in tema di misure cautelari in sede penale.
Pericolose e fuorvianti poiché con il referendum abrogativo vengono travolte una serie di statuizioni, in particolare sulle misure cautelari di natura personale (quale l’allontanamento), che è molto pericoloso rimuovere dal sistema della tutela.
Resta il quesito referendario in materia di separazione delle funzioni tra magistratura giudicante e magistratura inquirente. Il tema proposto dal quesito è condivisibile ed al fine di attuare la piena terzietà dei giudici, nel campo penale, appare assai utile che tale separazione venga regolata, tuttavia, dette norme non possono essere il prodotto di una operazione di amputazione dell’attuale normativa, ma ad esse deve giungersi a seguito di un ampio riordino della organizzazione giudiziaria nel nostro Paese.
In definitiva se la raccolta di firme, per indire i referendum in tema di giustizia, ha avuto il merito di fermare l’attenzione sul problema della tutela accordata ai cittadini nel nostro Paese, tuttavia non è lo strumento referendario, per la sua natura abrogatrice che non consente profonde riforme del sistema giustizia in Italia, lo strumento idoneo a dare la risposta all’annoso tema della giustizia (civile, penale e tributaria) nel nostro Paese.
E’ auspicabile che il movimento di opinioni suscitato dalla campagna referendaria sia di stimolo al Parlamento, in grado di usare i fondi del P.N.R.R., per dar vita ad una riforma organica dell’ordinamento giudiziario e della tutela nel Paese in grado di portare la risposta alla domanda di giustizia avanzata dai cittadini e dalle imprese al livello di quella fornita dagli altri Stati membri dell’Unione Europea, sotto il profilo della indipendenza dei giudici, della qualità dei giudizi e dei tempi di emanazione delle sentenze definitive.
PIERO SANDULLI
[ professore, avvocato ]