Se a un pianificatore fosse affidato il compito di fare il panificatore, cioè di stabilire la produzione di pane giornaiero per i cittadini, difficilmente il Nostro riuscirebbe nell’impresa. Cosa saprebbe, lui, dei gusti dei consumatori, delle nuove linee alimentari richieste dalle famiglie? Il pianificatore-panettiere, a un certo punto, sarebbe costretto a gettare la pala, come, per altri versi, capitò al leader sovietico Michail Gorbaciov che gettò la penna davanti a una lunga lista di prodotti cui doveva attribuire un prezzo. Meno male che la produzione del pane è affidata all’incrocio tra domanda e offerta, il che consente di scongiurare sul nascere le code e lo svuotamento dei magazzini tipici delle economie di comando.
Altrimenti succederebbe come in Venezuela, dove la gente scende in strada perché in casa ha il frigorifero vuoto e senza corrente.
Anche la pianificazione dei rifiuti sfugge ai radar di ogni Grande Pianificatore. Infatti ogni anno, in Italia, specie al Sud, si aggrava puntualmente l’emergenza spazzatura, che si aggiunge all’incremento inesorabile dei costi economici, sociali e sanitari che la questione ambientale comporta.
Non si può pianificare il volume dei rifiuti perché nessuno sa come nel corso degli anni evolveranno le abitudini dei consumatori e le attitudini dei produttori. Fino a qualche lustro addietro, per dire, nessuno immaginava che i teli di copertura delle coltivazioni agricole si sarebbero sovrapposti a larghe fasce delle nostre pianure. Ovviamente, quel materiale rappresenta un surplus di rifiuti che nessuna mente umana avrebbe potuto calcolare preventivamente.
Per decenni hanno provveduto le discariche ad accogliere le montagne di immondizia e di sostanze di scarto. Poi sono arrivati gli inceneritori. Successivamente si sono fatti strada i termovalorizzatori, cioè gli inceneritori di ultima generazione, in grado di generare energia riducendo gli scarichi inquinanti. Nel frattempo si è affermata la cultura della raccolta differenziata, il cui pregio è anche quello di alimentare la sensibilità ambientale dei cittadini. Ma non basta. Sia perché la «fabbricazione» di spazzatura elude ogni previsione, sia perché la raccolta differenziata non risolve definitivamente il problema. Avanzano, pur sempre, sostanze da inviare in discarica o nei termovalorizzatori.
Di emergenza in emergenza, l’andazzo ha ripercorso questa falsariga: le eccedenze inquinanti, quelle che avrebbero, come a volte è pure accaduto, inondato di pattume e sudiciume intere città, sono state affidate all’opera di smaltimento garantita dalla criminalità organizzata che, con i suoi metodi (illegali) e i suoi costi (più bassi perché basati su un caporalato endemico), ha potuto svolgere un «servizio» collaterale, e arricchirsi, in barba al diritto e alla salute della collettività (vedi il caso della Terra dei fuochi in Campania).
Il che ha contribuito e contribuisce ad aggravare una situazione sempre più paradossale. Il partito trasversale del no ai termovalorizzatori si ritrova, involontariamente, alleato dello status quo, ossia del monopolio criminale sulla gestione dei rifiuti all’ultimo stadio. I politologi, in proposito, potrebbero adoperare la dizione di etoregenesi dei fini o di conseguenze in-inintenziali di obiettivi intenzionali. Ma il tema è troppo delicato per essere ricondotto (e sminuito) in una disquisizione lessicale. Sta di fatto che il no ai termovalorizzatori favorisce «oggettivamente» – avrebbe detto il compagno Josif Stalin (1878-1953) – gli affari delle varie mafie. E siccome l’appetito viene mangiando, e siccome, sotto sotto, l’ambizione dei clan rimane quella di mimetizzarsi nelle attività legali, può succedere che la gestione dei rifiuti sia affidata dai Comuni a imprese di dubbia moralità (eufemismo), le cui reti corruttive a volte riescono a imbrigliare tutti i controlli. Fino a quando non provvede la magistratura a fare chiarezza e pulizia. Anche le società miste, per lo smaltimento dei rifiuti, non sono modelli di trasparenza.
Così dimostrano le inchieste giudiziarie condotte negli anni.
E che dire delle discariche abusive? Spesso sono state localizzate in aree demaniali, teoricamente controllate dallo Stato. Che, invece, controlla poco o nulla. E anche quando i cumuli di spazzatura finiscono in aree private, si verifica una sorta di demanializzazione automatica: di fronte allo scempio dei loro terreni, i proprietari non si curano affatto di rimuovere le mini-discariche a cielo aperto. Risultato: uno spettacolo visivo repellente, un pericolo continuo per la salute dei cittadini e per la sanità nel territorio circostante.
In nessun settore, come in quello dei rifiuti, vale forse il detto che il meglio è nemico del bene. A furia di indicare soluzioni miracolistiche e avveniristiche, non si utilizzano quelle che già si conoscono, come, nel caso in esame, sono i termovalorizzatori. Strumenti, peraltro, sempre in via di ammodernamento, visto che gli ultimi nati potrebbero dire la loro pure nella raccolta differenziata.
Non è bello rischiare di diventare la pattumiera d’Italia. Non è bello anche perché il no al male minore (il termovalorizzatore) può trasformarsi trasformarsi nel doppio sì ai mali maggiori: più inquinamento ambientale e più fatturato criminale.