Si è molto parlato di famiglia nelle ultime settimane, con manifestazioni polarizzate su fronti contrapposti. Su entrambe le sponde però mancava una figura importante: la famiglia migrante, separata dai confini o ricongiunta in Italia.
Per alcuni, la famiglia da salvaguardare ha precise connotazioni etniche: è la famiglia di stirpe italiana, minacciata da più parti. L’insediamento di famiglie immigrate e la loro fecondità non sarebbero una risorsa, ma un pericolo. Per alcuni, le famiglie immigrate farebbero addirittura parte di un fantomatico complotto volto alla sostituzione etnica della popolazione italiana con immigrati africani, mediorientali o asiatici.
Per altri il problema è dare riconoscimento a svariate forme di famiglia, oltre che ai diritti e ai desideri individuali. Ma stranamente tra le forme familiari e i diritti da tutelare le famiglie immigrate non compaiono. Anzi, a livello internazionale da tempo i diritti delle donne vengono inalberati contro i diritti degli immigrati. Si prestano egregiamente infatti alla costruzione di inedite coalizioni trasversali. “Loro”, gli immigrati, sarebbero portatori di visioni maschiliste e retrograde, che proprio in famiglia si esprimono nei modi peggiori, mentre “noi”, democratici e moderni, saremmo gli alfieri dell’emancipazione femminile e di una civiltà superiore. Femminicidi, molestie e disuguaglianze di casa nostra non sarebbero altro che piccoli incidenti di percorso.
Queste amnesie sono tanto più sorprendenti se si pensa che l’immigrazione, in Italia come in Europa e negli altri Paesi avanzati, assume sempre più caratteri familiari. Nel nostro Paese tra i titolari di un permesso di soggiorno temporaneo (1.325.000) il 39,3% l’ha ottenuto per ragioni familiari, contro il 35,2% per lavoro e il 18% per asilo. Tra i titolari di permessi per lungo soggiornanti (2.390.000) e gli immigrati comunitari (circa 1,5 milioni) la componente familiare è ancora più importante. Anche negli ultimi anni i permessi per famiglia hanno sopravanzato i permessi per asilo. Nel 2017, il 44,3% dei nuovi permessi sono stati concessi per ragioni familiari, il 38,3% per asilo. Dovremmo aggiornare il celebre aforisma di Max Frisch, osservando: «Volevamo delle braccia, sono arrivate delle famiglie».
Di famiglie immigrate si parla invece quasi soltanto in occasione di sciagurati episodi di cronaca nera, come le circoncisioni casalinghe dall’esito tragico, o di tragedie della povertà. Oppure a livello locale se ne paventa l’assalto alle esangui risorse delle politiche sociali, in termini di misure per l’assistenza o per l’edilizia sociale, tanto che fioriscono duri (eppure giuridicamente fragili) provvedimenti per limitare l’accesso delle famiglie immigrate ai benefici del welfare.
Andrebbe invece ricordato che il passaggio dall’immigrazione di persone sole all’immigrazione familiare è un’evoluzione che favorisce l’integrazione, la sicurezza e la mescolanza, oltre che il benessere degli individui. Le famiglie con figli, anche mediante la scuola, sono stimolate ad accrescere le relazioni con le famiglie italiane, con le istituzioni pubbliche, con il vicinato. Mancano delle pensioni e dell’aiuto dei nonni, ma cercano di aiutarsi fra loro mediante i legami orizzontali, tra sorelle, cognate, cugine. A volte si auto-organizzano per l’accudimento dei bambini piccoli, come in varie comunità filippine, sopperendo alla difficoltà di accesso ai servizi pubblici.
Sempre più spesso stabiliscono legami di parentela ‘sostitutiva’ con vicini italiani, soprattutto anziane ‘nonne’ rimaste sole. Queste in tanti palazzoni di periferia si prendono cura dei bambini degli immigrati al ritorno da scuola, mentre i genitori sono ancora al lavoro. Le nonne italiane adottano silenziosamente migliaia di nipoti delle più varie provenienze. Le periferie non sono solo luoghi di disagi contrapposti e di conflitti striscianti, ma anche il teatro in cui tra le difficoltà si costruisce ogni giorno una società nuova. E proprio le famiglie immigrate ne sono protagoniste.