La pandemia ci ha così spaventati che nei giorni terribili dell’isolamento abbiamo giurato a noi stessi che saremmo diventati migliori. Come i bambini che giocando si sbucciano un ginocchio: mamma non lo faccio più, piagnucolano davanti a quell’accenno di sangue. Adesso si scopre che neppure durante il cosiddetto lockdown siamo stati così bravi come sembrava: altro che impegnare il tempo della reclusione domestica per leggere: una clamorosa bugia, gli indici di lettura sono crollati miseramente. Forse abbiamo soddisfatto di più la voglia di carboidrati che di sillabe. Abbiamo sbagliato e indietro non si può tornare.
Ma adesso che è il momento più difficile della ripresa su che cosa stiamo puntando? L’impressione, ovunque si guardi, è che stiamo sbagliando nuovamente. Più che una spinta poderosa a guadagnare il terreno perduto ci troviamo di fronte a galleggiamenti intervallati da qualche bracciata di nuoto. La maggioranza traballa a ogni spiffero di Maestrale. È tenuta insieme dalla necessità di bloccare gli altri, non di fare qualcosa e quel poco che riesce a fare spesso lo fa perseguendo lo stesso obiettivo di neutralizzare gli altri.
La logica non è di risolvere i problemi, ma di combattere ogni giorno un nemico. Si guardi al caso autostrade. Il problema è diventato far fuori i Benetton che certamente hanno le loro pesanti responsabilità ed è giusto che paghino. Ma nessun altro ha colpe in questa vicenda che oggi rischia di trasformarsi in una farsa con tutti i viadotti e le gallerie d’Italia in presunta manutenzione? Non c’era per caso un ministero che in tutti questi anni doveva vigilare? Aspettiamo – senza alcuna fiducia, sia chiaro – il lavoro della magistratura e non perché si possa dubitare di chi sta indagando, ma semplicemente perché questi grandi processi in Italia non riescono ad arrivare mai a conclusione. Fosse per il nostro sistema giudiziario staremmo ancora al ricorso al Tar di Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso terrestre.
Ma nel caso Autostrade si è fatto di più: senza dirlo si è tornati allo Stato padrone, alla faccia della concorrenza, del libero mercato, delle privatizzazioni e di tutte le altre favole che ogni tanto ci vengono raccontate. Nei momenti difficili serve sempre un Pantalone che paghi, cioè lo Stato, cioè noi. Magna pars nella nuova architettura di Autostrade sarà la Cassa depositi e prestiti, la cassaforte salvagente di ogni governo. Doveva guidare la cordata per salvare l’Ilva, è nella cordata per salvare l’Alitalia e ora salva le autostrade. Forse non tutti sanno che la Cdp – creatura del Regno sabaudo – raccoglie soprattutto i risparmi postali degli italiani. È lecito usarli con tale disinvoltura in una sorta di battaglia per fini politici? Piuttosto che fare la guerra ai Benetton non sarebbe stato meglio stangarli a dovere facendo pagare loro fior di miliardi piuttosto che mandarli a casa ma con la necessità di trovare ora altri investitori. Una soluzione che ricorda il famoso marito che per far dispetto alla moglie decise di evirarsi.
La storia sembra insegnare poco. Ora si applaude per Autostrade come qualche anno fa si applaudiva per l’uscita di scena dei Riva dalla gestione dell’Ilva. Tutto sarebbe cambiato in meglio: dall’inquinamento all’occupazione eppoi, c’era la magistratura di mezzo, non potevano esserci giochetti. Giusto, però la realtà qual è oggi? Che l’Ilva produceva di più e meglio proprio quando c’erano i Riva, i quali forse – se fossero stati strizzati a dovere – erano gli unici a poter fare investimenti seri ed efficaci per la sicurezza e la tutela dell’ambiente. Adesso spunta la sirena dell’idrogeno. Bellissima idea. A gente appena appena navigata sembrerebbe una presa per il tubo, tenuto conto che questa è una tecnologia tutta da realizzare, che ridurrebbe i posti di lavoro, che maneggiare l’idrogeno è assai più rischioso del carbone, che forse si produrrebbe acciaio di scarsa qualità. Senza contare che su Taranto hub dell’idrogeno girano già i dubbi che possa essere in contrasto con le norme sulla concorrenza. Però è una bella idea che accontenta gli ambientalisti, permette di fare le campagne elettorali, tacita le giuste richieste di chi vorrebbe la sua città senza veleni, se poi è realizzabile o no si vedrà.
Ecco, detto in poche parole, anche dopo il Covid stiamo utilizzando i vecchi metodi, che col tempo ci hanno anche incattiviti, e cavalcando i vecchi vizi. Non siamo diventati né peggiori né migliori, siamo sempre gli stessi, abituati ormai a guardarci solo la punta delle scarpe, senza mai riuscire ad alzare gli occhi verso il cielo, verso l’orizzonte. Proprio come da bambini continuavamo a guardarci il ginocchio sbucciato e a piagnucolare «non lo faccio più».
MICHELE PARTIPILO
[ LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ]