«Non c’erano che venduti, che corrotti, che violenti, che gaglioffi, che bricconi, che malviventi…». Facile, davanti all’ondata di arresti per lo stadio di Roma che gettano ombre pesanti anche su chi sventolava la bandiera del cambiamento, recuperare lo sfogo apocalittico dello scrittore Paolo Valera che nel «Cinquantenario», 1911, urlava contro «lo straripamento della corruzione». Per carità: Dio ci scampi dal qualunquismo di chi fa di ogni erba un fascio. Al pari dello scandalo colpisce però l’uso strumentale delle notizie, degli interrogatori e delle intercettazioni che via via vengono a galla. E sono all’istante raccolti e scagliati su questo o quel bersaglio a seconda di chi impugna la fionda.
Come fosse una rissa fra casacche: il mio corrotto sarà pure corrotto ma è meno corrotto del tuo. Quasi che il tema di fondo, cioè il quadro deprimente che emerge dalle indagini di un Paese sempre alle prese con nuovi scandali intorno alle bustarelle, fosse secondario rispetto alla guerra insanabile tra partiti, schieramenti, alleanze, bande clientelari. Peggio, emerge ancora una volta la tentazione di denunciare la «giustizia a orologeria». Cioè la formula strillata nei decenni, da Vittorio Sbardella e Bettino Craxi e Achille Occhetto e Silvio Berlusconi e giù giù fino ai giorni nostri, da Gianfranco Micciché a Patrizio Cinque, il sindaco grillino di Bagheria… Complotti. Sempre. Solo complotti.
Dice l’ultimo Indice di Percezione della Corruzione di Transparency International che l’Italia negli ultimi anni avrebbe recuperato 18 posizioni nel ranking mondiale risalendo dal 72° posto del 2002 al 54° del 2017. Evviva. Ma non si tiene conto, scrivono due studiosi del tema, Lucio Picci e Alberto Vannucci, nel libro in uscita Lo Zen e l’arte della lotta alla corruzione, che dal ’95 al 2007 i paesi censiti son passati da 40 a 167. In quel ’95, mentre s’aprivano i processi di Mani Pulite, eravamo al 33° posto: fate voi i conti sui nostri «progressi».
Né consola l’ultimo report del Consiglio d’Europa, curato dall’Università di Losanna e dal criminologo Marcelo Aebi, sulla popolazione carceraria europea. Dove «colletti bianchi» nelle nostre prigioni, condannati per reati economici e finanziari, risultano essere 363 contro i 1.971 della Spagna, i 2.268 della Francia, i 6.511 della Germania, gli 11.091 della Gran Bretagna… Sarà poi una coincidenza se troppe imprese straniere decidono di investire non da noi ma in paesi dove certe regole sono fatte rispettare?
I costi causati dalla corruzione, infatti, non sono solo etici. Se ormai appare datata la stima della Corte dei Conti di 60 miliardi di euro l’anno buttati in mazzette, è ormai accertato, infatti, uno spreco immenso. Spiega un recente studio di Ugo Arrigo, della Bicocca, che ha confrontato un decennio di spese italiane e francesi nelle infrastrutture ferroviarie, studio ripreso sul Sole 24 Ore da Claudio Gatti, «se si adottassero in Italia i parametri di spesa francesi si sarebbero dovuti spendere 8,9 miliardi all’anno. Esattamente la metà dei 17,8 miliardi che si sono invece spesi». La metà.
Allargando ulteriormente il campo, lo stesso Lucio Picci già citato, economista all’Ateneo di Bologna, è arrivato a calcolare sulla base di vari parametri che «il costo del differenziale tra costi della corruzione in Germania e costi in Italia» è tale che se i soldi risparmiati fossero ridistribuiti ai cittadini italiani «il loro reddito pro capite non solo aumenterebbe di 10.607 euro all’anno ma supererebbe quello dei tedeschi di circa mille euro».
Non è infatti solo una questione di mazzette. Come dimostrano alcune intercettazionidi questi giorni, ha un costo politico, economico ed elettorale anche lo scambio di favori sulle assunzioni. «Su 6.700 denunciati, 3.200 sono nella sanità, dove ci sono importi straordinari», ha detto giorni fa il procuratore antimafia Renato Nitti a un seminario sugli appalti di Libera, «Nella sanità si gioca con le assunzioni, con gli incarichi e con le commesse. La lottizzazione politica condiziona quasi tutte le nomine della sanità. Tutte le scelte a valle potrebbero essere condizionate. Perché il politico fa tutto questo? Per denaro? Qualche volta. Ma spesso farà tutto questo perché la moneta più preziosa che può chiedere all’imprenditore sono le assunzioni».
Il punto è chiaro: la guerra alla corruzione, forse mai combattuta sul serio, ha bisogno di una svolta vera. Dunque? Il contratto Lega-M5S dedica al tema 227 parole, meno d’un quarto di quelle dedicate ai profughi, ma più ancora colpiscono i vuoti: mai citate le parole appalti, mai commesse, mai gare, mai aste, mai ribassi, mai grandi opere… Può darsi che, come ha sostenuto più volte Piercamillo Davigo, le uniche cose che servano davvero siano una semplificazione burocratica e l’introduzione dell’«agente sotto copertura» e dell’«agente provocatore» che si offra come corrotto o corruttore. Ma certo, l’assenza totale di ogni riferimento agli appalti e alla necessità assoluta di modificare le regole… Quanto all’obiettivo dichiarato di «inasprimento delle pene», quella prevista dal codice Rocco del 1930 per la corruzione era da 1 a 5 anni di carcere. Quella attuale, dal 2015, è da sei a dieci anni. I corrotti sono forse diminuiti? Non sarà più importante, piuttosto, la certezza che chi sbaglia paga sul serio?