domenica, 24 Novembre 2024

GLI STUDENTI? QUELLI DI OGGI SONO MEGLIO. SEMPRE

PAOLO FASCE (IL SECOLO XIX)

La settimana scorsa sono stato invitato a parlare di scuola in una televisione locale. Il conduttore, ad un certo punto, mi ha chiesto se erano meglio gli studenti di un tempo, o quelli di oggi. Ho risposto: «Quelli di oggi», ma le dinamiche della discussione mi hanno impedito di argomentare. Mi permetto di farlo in questa sede.

Per prima cosa mi pare di poter dire che, per un insegnante, questa sia l’unica risposta accettabile. Con quale spirito entrerei in classe ogni giorno, senza questa convinzione?

Poi occorre rilevare il fatto che le opportunità didattiche attuali si sono ampliate, l’aula non è più uno scrigno asfittico e richiuso in se stesso, ma ha porte e finestre tecnologiche che portano il mondo in classe. L’inclusione scolastica ha fatto molti passi avanti se siamo passati dall’inserimento selvaggio all’inclusione progettata che fa dei nostri figli cittadini adulti e consapevoli delle proprie fortune e attenti ai bisogni degli altri.

Poi c’è una personale idiosincrasia con la retorica del passato.

Antonio Fini, dirigente scolastico e ricercatore, in un post su un ben noto social network provoca e chiede quando è stata scritta questa frase: «La tragedia di tanti studenti universitari incapaci di scrivere in forma sintetica e chiara» che si apprende sia stata pronunciata da Paul Ginsborg, componente della Commissione dei “saggi” di Berlinguer, coordinata da Roberto Maragliano nel 1997.

Orbene, ridendo e scherzando, in quegli anni frequentavo ancora l’Università e – devo dedurre – Ginsborg parlava anche di me. Una piccola ricerca in rete mi ha fatto trovare questa frase: «La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…». Sul meme “bambini tiranni”, il pedagogista Daniele Novara ha costruito una fortuna professionale, ma la frase è attribuita a Socrate.

Sempre in rete si trovano affermazioni similari fatte da antichi egizi e babilonesi che non riporto perché non ne so valutare l’attendibilità. Perché, mi sono domandato, nel corso dei millenni, addirittura, ogni generazione ha una così grande disistima delle generazioni successive?

Nella nostra epoca immagino che l’innalzamento dell’età media produca una società abitata da anziani e le persone, nel corso della vita, inevitabilmente imparano. E dimenticano (di essere stati giovani). Un diciassettenne di oggi ha avuto solo 17 anni per imparare, mentre un cinquantenne ha avuto tre volte tanto tempo. Il distacco nel campo delle opportunità di acquisizione delle informazioni è quindi significativo.

Leggo che i Måneskin non sanno chi sia Alberto Tomba che oggi ha 51 anni e che vinceva tra 30 e 20 anni fa. Non erano ancora neppure nati.

Mi domando, infine, tutto questo vociare contro i giovani: cui prodest? Perché così tanti ragazzi che io incontro a scuola hanno bisogno di incoraggiamento, di sentirsi riconosciuti e non sviliti? Non è troppo facile, sbrigativo, perfino crudele ripetere loro che “non hanno futuro”? E, mi domando: è vero? È utile?

Discutevo con un’amica del dibattito sul futuro in Cina. Si discetta del fatto che la scuola deve preparare ad un futuro di opportunità che cambiano nel tempo. Ci vuole fantasia, capacità di adattamento ed inventiva. La scuola di oggi le fornisce? Si discute, quindi, di cambiare la scuola per affrontare le sfide di domani. Qui, invece, si piange su un passato mai identificato con precisione e ogni novità viene avversata come se fosse prodromo della fine del mondo. Riflettiamoci seriamente.

CODICE ETICO E LEGALE