Continua la serie di Focus, in uscita ogni mercoledì, con cui ISPI approfondisce i principali dossier di politica estera che hanno segnato i 4 anni di presidenza Trump, provando a farne un bilancio e a tracciare alcuni scenari futuri.
Stati Uniti e Italia ieri: amici d’oltreoceano
L’occhio statunitense si posa sull’Italia fin dai primi anni del secondo Dopoguerra. La penisola uscita dal conflitto è un paese da ricostruire economicamente e socialmente, percorso da forti tensioni politiche. La possibilità che le prime elezioni della nuova Repubblica, previste per il 1948, siano vinte dalla sinistra – di cui il Partito Comunista è la prima forza – sono concrete. Mentre in Europa si vanno definendo due sfere di influenza rivali, gli Stati Uniti temono che Roma possa finire a fianco dell’Unione sovietica.
Washington trova però un interlocutore nel primo ministro italiano, il centrista Alcide De Gasperi, che nel gennaio 1947 vola negli USA per chiedere aiuti economici. Il tour di dieci giorni, organizzato da Henry Luce, il fondatore di Time Magazine, e dalla moglie Clare Boothe (futura ambasciatrice USA in Italia) è un successo politico e mediatico: De Gasperi è il primo premier italiano a parlare davanti al Congresso americano e si accredita come l’uomo che può sconfiggere il più grande partito comunista dell’Europa occidentale. De Gasperi torna in Italia con un assegno da 100 milioni di dollari, meno di quanto sperasse, ma comunque utile per rafforzarsi politicamente e presentarsi come principale interlocutore degli Usa. Nell’aprile 1948, due settimane dopo la firma di Harry Truman che autorizza il Piano Marshall, l’ambizioso programma di assistenza economica per i paesi europei, la Democrazia Cristiana di De Gasperi vince il 48% dei voti e la maggioranza relativa dei seggi nel nuovo parlamento italiano.
Scongiurato il pericolo di una svolta filosovietica, gli USA contribuiscono a consolidare la posizione dell’Italia nel blocco occidentale. Nel 1949 il paese è tra i fondatori dell’Alleanza Atlantica e, due anni dopo, della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA), la prima tappa del processo d’integrazione europea. Allungata al centro del Mediterraneo, l’Italia è una “portaerei naturale” dalla quale si possono raggiungere aree calde e cruciali come il Nord Africa e il Vicino Oriente. Così, nei decenni successivi gli Stati Uniti ottengono di poter stanziare sul territorio italiano diverse basi militari: le caserme di Vicenza e Livorno, gli aeroporti di Sigonella e Aviano (sede dell’unica brigata aerea USA a sud delle Alpi), le basi navali di Gaeta e Napoli – dove ha il suo quartier generale la Sesta Flotta, con responsabilità su tutto il Mediterraneo e l’Atlantico.
Dopo la fine della Guerra Fredda, Stati Uniti e Italia collaborano a diverse operazioni, in ambito NATO e non: dalla Guerra del Golfo all’intervento in Libano, dalle operazioni di peacekeeping in Somalia e Mozambico al bombardamento NATO sulla Jugoslavia. L’allineamento in politica estera tra Washington e Roma è massimo durante i governi di Silvio Berlusconi, quando una profonda frattura sembra venirsi a determinare all’interno del fronte atlantico. In contrapposizione a Francia e Germania, il premier italiano prende infatti posizione a fianco dell’amministrazione di George W. Bush sull’intervento in Iraq; il contingente italiano impegnato in Iraq tra il 2003 e il 2006 è il terzo più grande dopo quello di USA e Regno Unito. Gli anni di Berlusconi vedono anche l’Italia in sintonia con gli Stati Uniti rispetto all’amicizia con Israele, al quale Roma si avvicina abbandonando una consolidata postura pro-araba e filo-palestinese.
Insediatasi in coincidenza con la bolla dei subprime americani, la Casa Bianca di Barack Obama si ritrova pochi anni dopo testimone di un’altra crisi, quella dei debiti sovrani dell’Eurozona, in cui l’Italia è nell’occhio del ciclone. Come racconterà successivamente Timothy Geithner, il Segretario del tesoro di Obama, l’amministrazione democratica fa da sponda alle richieste italiane di una maggiore flessibilità europea e spinge per un intervento di quantitative easing della Banca centrale europea, sul modello di quanto fatto dalla Federal Reserve americana. Nei suoi ultimi anni di presidenza, Obama si fa anche sostenitore del governo di Matteo Renzi, visto come un riformatore in grado di rafforzare i fondamentali economici e istituzionali italiani – e come un leader al tempo stessa europeista e atlantista, capace di fare da argine alla crescita di forze populiste ed euroscettiche. Non a caso, l’ultimo ricevimento ufficiale della Casa Bianca di Obama è proprio quello del premier italiano, alla vigilia del referendum costituzionale del 2016. Come nel caso del suo sostegno per Cameron nel voto su Brexit, l’endorsement di Obama non sortisce però per Renzi gli effetti sperati. Pochi mesi dopo, alla Casa Bianca arriva un nuovo presidente, Donald Trump, che appare decisamente meno interessato alla stabilità europea e a coltivare relazioni amichevoli con i partner d’oltreoceano.
La situazione attuale: Pechino corteggia, Washington ammonisce
Nel maggio 2017, l’Italia è il primo paese europeo visitato dal presidente Trump, alla vigilia del G7 di Taormina. Se, con il cambio di governo in Italia l’anno successivo, i toni ostili di Trump verso l’Unione europea trovano una eco nell’atteggiamento euroscettico della coalizione tra Movimento 5 Stelle e Lega, la “bussola geopolitica” di Roma diventa però anche più ondivaga, con ripetute aperture del governo italiano a rivali di Washington come la Russia e, soprattutto, la Cina. Proprio quest’ultimo aspetto finisce per rendere la penisola un’area di primo piano nella politica americana di contenimento dell’espansione dell’influenza di Pechino in Europa.
A destare particolare preoccupazione a Washington è la visita a Roma del presidente cinese Xi Jinping nel marzo 2019, che porta alla firma di un memorandum d’intesa con cui l’Italia entra a far parte della rosa di paesi coinvolti nei progetti della Belt and Road Initiative (BRI) portata avanti da Pechino. L’Italia è il primo paese del G7 a diventare partner nella realizzazione della “nuova Via della Seta”, nella quale i porti italiani (in particolare di Genova e Trieste) diventerebbero sbocchi fondamentali delle rotte marittime che collegano l’Asia all’Europa. Secondo la Casa Bianca, i progetti cinesi nascondono però più di un’insidia, per la sovranità italiana e per il mantenimento della sua lealtà atlantica: dal rischio per i partner della BRI di finire vittime di una “trappola del debito” che ne aumenterebbe la dipendenza dai capitali di Pechino ai dubbi sulla vulnerabilità delle reti 5G di Huawei allo spionaggio cinese.
Da parte italiana, il dialogo aperto con Pechino non è in realtà una novità recente. I governi italiani degli ultimi venticinque anni hanno infatti generalmente intrattenuto relazioni cordiali con la Cina – partner commericale di primo piano per l’Italia non meno che per altri paesi europei. Un sentimento condiviso anche dalla popolazione: tra i cittadini di 14 paesi alleati degli USA, gli italiani hanno l’atteggiamento meno sfavorevole verso la Cina, un dato rimasto costante negli ultimi 20 anni nonostante l’attuale pandemia. La vicinanza tra i due paesi è emersa anche nel mondo dei media: a margine della firma del memorandum Italia-Cina, un altro accordo di collaborazione è stato concluso tra l’agenzia di stampa italiana ANSA e Xinhua News, outlet ufficiale del regime cinese, per lo scambio di informazioni e la diffusione in italiano dei contenuti dell’agenzia di Pechino.
In risposta alla charm offensive di Pechino, l’amministrazione americana ha voluto tenere alta la pressione sugli alleati europei: nella recente visita in Italia di Mike Pompeo, i colloqui del Segretario di Stato americano con le autorità italiane si sono concentrati proprio su dossier cinesi, dalla BRI al 5G alla situazione nello Xinjiang. A ottobre 2019, nell’incontro con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Trump ha definito l’Italia un alleato e partner NATO con cui lavorare su temi di interesse comune, come la lotta al terrorismo e la difesa di infrastrutture e catene del valore critiche. Se i leader italiani hanno in più occasioni ribadito che l’Italia resta ancorata ai due pilastri dell’UE e dell’Alleanza atlantica, certo è che l’atteggiamento della Casa Bianca di Trump verso l’Europa non ha contribuito a riaccendere la fiamma dell’amicizia transatlantica in molti paesi europei, che sembrano sempre più guardare Washington e Pechino con occhio equidistante.
Quali scenari per il futuro dei rapporti USA-Italia?
Trump 2.0: Cooperazione disincantata. Le relazioni con Italia durante una seconda presidenza Trump sarebbero influenzate soprattutto dal corso che la Casa Bianca seguirebbe nella sua politica verso l’Europa, specialmente in tema di commercio e sicurezza; sempre però nell’ottica del privilegio dell’interesse americano.
Da un lato, vista l’attenzione posta dal presidente USA sull’aggiustamento della bilancia degli scambi, rimane il rischio che tornino le tensioni commerciali viste negli anni passati e sfociate nella salva di dazi dell’estate 2018. In questo senso l’Italia, con un avanzo commerciale di oltre 30 miliardi di dollari rispetto agli Stati Uniti, rischia di essere un bersaglio vulnerabile. A dissuadere dall’incamminarsi su questa strada sono però diversi elementi, dalla fragile congiuntura economica dovuta alla pandemia a un recente segnale di distensione sull’importante dossier della disputa Boeing-Airbus.
Dall’altro lato, nonostante i toni ambigui di Trump rispetto alla NATO, la cooperazione tra Italia e Stati Uniti in ambito militare rimarrà strategica per Washington. Un maggiore disimpegno USA dal Medio Oriente aumenterebbe infatti la rilevanza delle installazioni militari statunitensi in Italia, dalle quali lanciare eventuali operazioni mirate nel bacino mediterraneo. In questo senso, non è un caso che una parte consistente delle truppe USA ritirate dalla Germania siano state trasferite in Italia, con un intero squadrone aereo spostato alla base di Aviano.
Biden: Patti chiari, amicizia lunga. Se a vincere a novembre sarà il democratico Joe Biden, ci si può attendere un ritorno dei rapporti tra Roma e Washington allo status quo ante Trump e forse il rilancio, su basi aggiornate, dei progetti di ulteriore integrazione commerciale transatlantica. Tuttavia, su questioni come le relazioni con Russia e Cina, una presidenza Biden potrebbe chiedere agli alleati europei – Italia inclusa – una presa di posizione più chiara; un passo di cui molte capitali europee farebbero volentieri a meno.
Quasi certamente, una Casa Bianca democratica proverebbe a rilanciare la cooperazione con l’UE su temi di interesse comune e, come già mostrato da Obama, vedrebbe di buon occhio un ruolo propositivo per l’Italia in Europa. Altrettanto probabile, tuttavia, è che Washington continui a richiamare gli alleati sulla necessità di tenere alta la guardia nei confronti di Pechino: nello specifico caso italiano, ciò significherebbe probabilmente un invito a uno screening più attento degli investimenti cinesi in entrata e a uno stop alla collaborazione con Huawei per la realizzazione delle reti 5G.
A differenza di Trump, un Biden presidente tornerebbe invece a irrigidire i rapporti con la Russia, assecondato in questo anche dal sostegno bipartisan del Congresso USA. Per un paese legato a Mosca da interessi economici e soprattutto energetici come l’Italia, questo costringerebbe a cercare una non facile mediazione con una Casa Bianca poco disposta a tollerare iniziative russe percepite come aggressive o destabilizzanti. Come già settant’anni fa, gli Stati Uniti potrebbero quindi chiedere all’Italia una scelta di campo nei prossimi anni; stavolta, però, in un contesto globale ben più integrato, complesso e imprevedibile.
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Focus a cura di:
Paolo Magri, Vice Presidente Esecutivo ISPI
Elena Corradi, Redazione USA2020
Alessia De Luca, Responsabile Weekly Focus USA2020
Mario Del Pero, ISPI e SciencesPo
Fabio Parola, Redazione USA2020
Grafiche a cura di Francesco Fadani, ISPI