Il primo governo del «nuovo mondo» politico nato dalle elezioni del 4 marzo è dunque una realtà. Ci sono voluti 88 giorni passati sull’ottovolante, con colpi di scena, soluzioni bruciate a ripetizione, veti incrociati e alla fine uno scontro istituzionale senza precedenti per arrivare al varo di questo «strano» esecutivo. È tempo di bilanci e di trarre qualche insegnamento dalla crisi più lunga dell’Italia repubblicana.
La reazione dei mercati dimostra che i timori più forti si concentravano su due punti: la possibilità di una lunga fase di instabilità e di incertezza e la preoccupazione che l’indicazione di un ministro dell’Economia dichiaratamente anti-euro aprisse scenari drammatici per la tenuta dell’Unione, i risparmi degli italiani e il rispetto degli obblighi che l’Italia ha verso chi ha sottoscritto il nostro debito. La scelta di Giovanni Tria, la marcia indietro di Salvini sul nome di Savona sembrano aver rassicurato. Ora si aspettano i passi successivi per valutare nel concreto il nuovo governo.
La chiave del passo indietro del leader leghista, esaltato da sondaggi che lo vedono viaggiare verso il 30 per cento dei consensi, è stata sicuramente l’eventualità della convocazione di elezioni anticipate a fine luglio o agli inizi di agosto: una data particolarmente sgradita a tutto il Nord del Paese, a chi deve andare in vacanza e a chi è impegnato nelle attività economiche legate al turismo.
Matteo Salvini ci ha abituati in questi mesi a mosse sorprendenti e a un’altalena di posizioni che contraddicevano le affermazioni di pochi giorni prima, ma alla fine il Salvini di governo ha avuto la meglio su quello di piazza. Lascia sul terreno una coalizione di centrodestra divisa come mai: Lega al governo, Fratelli d’Italia che si asterrà, Forza Italia che voterà contro.
Il governo che nasce, sostenuto da forze che avevano esaltato la discendenza diretta dal «popolo» votante e contrarie agli esecutivi tecnici (tecnocratici), ha dentro di sé ben sei non eletti dal popolo e si affida a un professore che non ha partecipato alle elezioni e che diventa «esecutore» del contratto pentaleghista. Una novità assoluta, un vero e proprio esperimento da laboratorio. Ma anche un tentativo di mitigare le preoccupazioni verso gli «spiriti populisti».
Per il presidente della Repubblica sono stati i giorni più difficili che il Quirinale abbia mai dovuto affrontare. Mattarella lo ha fatto con pazienza, dando tutto il tempo possibile agli interlocutori ma ponendo condizioni non aggirabili sulla nostra collocazione internazionale e sull’adesione all’euro. Al momento del tentato «diktat» su Savona ha esercitato i suoi poteri con fermezza, nonostante la surreale e avventata minaccia di impeachment. Il ruolo di equilibrio e di guida del Quirinale ne esce sicuramente rafforzato.